INTIERI, Bartolomeo
Sono scarsi i dati sulle sue origini: si definì "fiorentino", ma a un secolo dalla morte vi fu chi (Capponi) lo volle originario di Lamporecchio, presso Pistoia; da riferimenti nella corrispondenza l'anno di nascita può collocarsi con sicurezza nel 1677. Di origini ignote, e forse anche umili, a Firenze sarebbe stato "servitor di livrea del cavalier Narvaez" (Tanucci, II, p. 90). Intorno al 1699 giunse a Napoli, dove "erasi ricoverato ancora figliuolo" (Galanti, p. 70). Interessato agli studi di matematica, vi si era dedicato solo dopo la certezza, raggiunta leggendo P. Gassendi, che fossero conciliabili con l'abito ecclesiastico preso nel frattempo. Esordì con brevi trattati su parabole descritte all'infinito nel piano e sulla misura di sezioni coniche, con l'intento di concorrere alla cattedra di matematica nell'Università di Napoli (Ad nova arcana geometrica detegenda aditus, Beneventi 1703 e Apollonius ac Serenus promotus, Neapoli 1704).
Non vi mancano riferimenti alla sua formazione culturale, imperniata su Cartesio, cui affiancò Galileo e G.A. Borelli. Le due operette furono scritte a San Marco dei Cavoti, presso Benevento, come risulta dalla data delle dedicatorie a G. Cavaniglia, marchese di San Marco. Pur senza raggiungere il successo sperato l'I. pose particolare impegno per far conoscere i suoi lavori, rivolgendosi direttamente al compatriota A. Magliabechi, che provvide a diffonderli con successo anche Oltralpe (Acta eruditorum, 1706).
Magliabechi lo mise in contatto con altri toscani del suo larghissimo ambito di letterato internazionale e bibliotecario, tramite onnipresente nella circolazione dei libri. Le opere dell'I. giunsero così ad A. Marchetti, A.F. Marmi, G. Grandi e a professori dello Studio padovano. Al Magliabechi annunciò di lavorare al perfezionamento dell'edizione dell'opera di Apollonio sulle coniche compiuta dal padre Elia Astorino, di cui mancano però ulteriori notizie.
Bisognoso di una guida, gli confidò il conflitto con G. De Cristofaro (o Cristoforo), che l'accusava di plagio in dimostrazioni su equazioni. Distolto da questa polemica, rispose negativamente, poggiando su P. de Fermat, a un quesito del De Cristofaro sull'applicabilità del metodo di Archimede alle parabole di grado superiore (Facilissimo metodo per la quadratura delle parabole di qualsivoglia grado, con la risposta alla… proposta dal sig. G. de Cristoforo, Napoli 1706). Nella corrispondenza informava Magliabechi sui principali avvenimenti culturali napoletani, specialmente quando investivano il mondo toscano, mettendolo al corrente dell'attacco a Galileo di L.A. Porzio e della difesa assunta da P.M. Doria. In questi anni fu essenziale per lui la ricerca di una solida protezione. Aldilà delle dedicatorie, una prova significativa della ricerca di contatti qualificanti è la richiesta al Magliabechi di rendere nota la lettera in cui comunicava di lavorare all'edizione di Apollonio a un "marchese" (Racioppi, p. 337, 8 apr. 1704), da ravvisare nel giovane marchese A. Rinuccini, che presto sarebbe giunto a Napoli. Iniziò così il "virtuoso spettacolo di una lunga e costante amicizia" (Galiani, p. 270) tra l'I. e il Rinuccini, che conclusi gli studi nel collegio Tolomei di Siena si recò nel Beneventano, a Baselice, presso il feudo di famiglia.
In quegli anni l'I. visse proprio nel Beneventano, a San Marco dei Cavoti, maestro dei figli di G. Cavaniglia. Il primo soggiorno del Rinuccini a Baselice fu breve, ma sufficiente per stabilire un legame con l'I., cui lo legavano gli interessi per la matematica e la meccanica e le origini fiorentine. Quando, nel 1711, Rinuccini vi tornò per occuparsi a tempo pieno delle proprietà e dare sviluppo alle colture educando le popolazioni contadine, l'I. lo affiancò. Anche il rapporto assai stretto dell'I. con i principi Corsini, anch'essi proprietari di terreni nell'agro capuano, ebbe inizio in quegli anni, sulla base dei suoi nuovi interessi per l'agricoltura e la gestione degli affari. Da geometra l'I. si trasformò in meccanico, interessato ai procedimenti per la macina del grano e alla lavorazione del ferro per ottenere macchine utili all'economia agricola in terreni quali quelli della Puglia, particolarmente bisognosi di cure.
La prima esposizione delle sue esperienze con le macchine fu la Nuova invenzione di fabbricar mulini a vento… dedicata all'eccellentissimo signore don Wirrigo Daun, Napoli 1716. Negli stessi anni gli fu richiesto un parere da parte di C. Galiani, membro della Commissione delle acque di Roma, sulla possibilità di immettere le acque del Reno nel Po. Nel 1721 tornò a Napoli con il Rinuccini, che aveva spiccato il senso degli affari e del commercio, esercitato indifferentemente su prodotti della terra e su materiali preziosi. Per suo conto aprì uno "studio di negozio" per istruire i giovani nell'amministrazione e gestione economica del commercio, secondo l'esperienza da lui stesso compiuta sul campo, in linea con la propensione commerciale fiorentina. Nello stesso tempo divenne console della nazione fiorentina a Napoli, venendosi a trovare al centro di un vivace mondo di scambi in cui i suoi protettori, i Corsini e i Rinuccini, per i quali continuò a svolgere ancora a lungo compiti di amministratore e di uomo di affari, occupavano posizioni privilegiate. Sempre applicato a ricerche su macchine utili alla società e all'economia, nel 1727 ne approntò una per stampare velocemente le polizze del lotto, con cui il governo napoletano batté la concorrenza dello Stato pontificio e fece risparmiare all'Erario 4000 ducati annui. Fin dal 1728 aveva cominciato a progettare i cassoni per la conservazione del grano, realizzati per la prima volta nel '31, la cui descrizione, pubblicata più tardi, costituì il suo principale titolo di merito.
Intanto nel 1726, dopo la visita del fiorentino G. Bottari a Napoli, aveva iniziato una corrispondenza, protrattasi nei decenni successivi, con questo esponente della cultura cattolica, cui l'avvicinava anche il legame con i Corsini. Dal 1731, quando Bottari si trasferì a Roma assumendo ruoli sempre più significativi in Curia e presso la famiglia papale, quest'amicizia contribuì ad allargare e potenziare il circolo di relazioni dell'Intieri. Nelle lettere dei primi anni appare forte la sua polemica anticuriale, pur nella consapevolezza di un giurisdizionalismo ormai poco praticabile, mentre, benché insofferente dell'autoritarismo del viceré M.F. d'Althan, giudicò il governo imperiale più accettabile di quello spagnolo. L'elezione al papato di L. Corsini, che assunse il nome di Clemente XII, suscitò in lui speranze di miglioramento della situazione morale e sociale specialmente a Benevento che ben conosceva. Inviò a N. Corsini una relazione sul malgoverno nel Beneventano (agosto 1734), dopo la condanna del cardinale N. Coscia.
La nomina di C. Galiani a cappellano maggiore dell'imperatore (1731), cui competeva di sovrintendere agli studi universitari, non portò le riforme sostanziali attese. Unica concessione allo svecchiamento culturale fu la formazione di un'Accademia delle scienze (1733), voluta dal Galiani secondo i principî di J. Locke, cui si era accostato da tempo e che aveva fatto conoscere nella sua cerchia di amici. L'I., alla cui competenza erano affidate le scienze matematiche, e N. Cirillo figurano tra i primi proponenti.
Morto l'agente mediceo presso la corte di Napoli G.B. Cecconi (6 marzo 1734), l'I. presentò la propria candidatura alla carica e, nonostante la designazione già avvenuta del figlio dello stesso Cecconi, ottenne immediatamente l'incarico. La sua funzione era duplice: amministrare i beni allodiali appartenenti ai Medici e agire come informatore segreto del governo toscano, mantenendo regolari contatti con la segreteria di Stato mediante una "gazzetta" settimanale degli avvenimenti politici più significativi.
Ciò gli consentì maggiori aderenze presso il governo e la corte di Napoli. Le sue informazioni vertevano sui movimenti di truppe, le leve di soldati, le estorsioni occasionali di tributi, gli attriti con la Curia romana e napoletana, le manifestazioni popolari di adesione o protesta verso la monarchia. In questo ruolo fu messo a parte della trattativa per il concordato del 1741 fra Napoli e Roma. Sollevato dall'incarico alla morte dell'ultima esponente della famiglia de' Medici, Anna Maria Luisa, moglie dell'Elettore palatino (1743), mantenne l'appannaggio annuale di 600 ducati sulle rendite dei beni medicei per una raccomandazione di J.J. Montealegre, primo segretario di Stato. Come accompagnatore del Galiani fu tra i primi a incontrare il nuovo re Carlo di Borbone, appena giunto ad Aversa (marzo 1734). Tenne rapporti stretti con il Tanucci finché questi non fu spinto a diffidare dell'informatore segreto lorenese dalle misure punitive adottate nei suoi riguardi dal nuovo governo toscano. Continuava frattanto a essere preso dagli affari, avendo tra gli altri incarichi quello di mediatore dell'acquisto da parte dei Corsini per 40.000 ducati del palazzo Riario, in via della Lungara (1736). Da Napoli informava sugli umori degli ambienti di corte i Corsini residenti a Roma, ma soprattutto Bartolomeo, viceré in Sicilia per 10 anni dal 1737, assistendolo negli affari politici e finanziari. Si ritirò a vita privata sul finire degli anni '40, lasciando al Rinuccini la conduzione dello studio di negozio.
La ricchezza accumulata gli permise di procurarsi un'accogliente residenza sui colli sorrentini, a Massa Equana, dove trascorse lunghe villeggiature circondato da amici con cui dibatteva i temi della nuova cultura. Ne facevano parte, oltre a Galiani e Rinuccini, anche G. Orlandi, N. Fraggiani e i colleghi superstiti della ormai defunta Accademia delle scienze. Soprattutto vi erano due giovani, futuri protagonisti dell'Illuminismo non solo napoletano: A. Genovesi e F. Galiani, nipote di Celestino. Genovesi era allora nel pieno di una crisi culturale; distolto forzatamente dall'insegnamento teologico e perseguitato per eresia, conservava nell'Università l'insegnamento di etica. Sensibile più dei suoi compagni di circolo a Montesquieu, di cui in quei mesi si discuteva a Massa Equana l'Esprit des lois, trovò nell'I. un brillante conversatore "d'intorno al progresso della ragione umana, delle arti, del commercio, della economia dello stato, della meccanica, della fisica […] nemico delle inutili astrazioni come dei pedanteschi studi delle parole" (Genovesi, p. 73). A sua volta l'I. fu attirato dalla limpidezza di ragionamento e dalla profondità del pensiero di Genovesi, che gli consentivano di sorridere delle dottrine più meschine e retrive.
La loro intesa raggiunse l'acme nell'autunno del 1753, quando dopo conversazioni attraversate dall'ardente ottimismo del vecchio patriarca, Genovesi fu da lui designato per coprire la cattedra di commercio e meccanica che già un anno prima l'I. aveva progettato di istituire a proprie spese presso l'Università di Napoli. Genovesi a sua volta manifestò la propria gratitudine scrivendo e dedicando all'I., assunto a interlocutore, il Discorso sopra il vero fine delle scienze e delle lettere, premesso all'edizione napoletana del Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l'agricoltura di U. Montelatici (1753), fondatore della fiorentina Accademia dei Georgofili, di cui anche l'I. era membro. Il Discorso riecheggiava da vicino i suoi convincimenti antimetafisici, sottolineando l'attinenza fra scienza e benessere sociale. Il cammino per l'istituzione della nuova cattedra, intralciato da problemi di salute dell'I. e dall'opposizione di ecclesiastici a Genovesi, procedette grazie alle pressioni dei numerosi amici politici dell'Intieri. La supplica accolta prevedeva, oltre l'assunzione di Genovesi alla nuova cattedra di meccanica e commercio, l'uso della lingua italiana, l'esclusione per il futuro di insegnanti appartenenti al clero regolare, una rendita annua di 300 ducati da ricavarsi dal finanziamento di 7500 ducati messi a disposizione dall'I., il dono della sua scelta biblioteca. Il nuovo insegnamento - la prolusione fu tenuta il 5 nov. 1754 - era una svolta nella ratio studiorum, ma acquistava forza per essere condotto da un professore di teologia, convinto dalle suggestioni antimetafisiche del circolo intieriano della necessità di avviare l'umanità al progresso.
Il rapporto dell'I. e di Rinuccini con F. Galiani era precedente, sebbene egli fosse assai più giovane di Genovesi. Già da fanciullo affidato per l'educazione allo zio Celestino, era stato un frequentatore attento dell'I. e Rinuccini. Il trattato Della moneta, pubblicato anonimo nel settembre del 1751 ma datato 1750, risentiva della forte dimensione pragmatica e innovativa che i suoi maestri andavano proponendo e delle letture da loro suggerite. Con la sua corrispondenza, in cui affettava di non conoscerne l'autore, l'I. favorì il rapido successo del libro presso gli amici, anche in Toscana e a Roma. Solo una volta accreditato, dopo aver lasciato pensare che dietro l'anonimato si celasse il ben più autorevole zio, Galiani si manifestò.
Il suo ringraziamento all'I. fu il libretto Della perfetta conservazione del grano, edito a Napoli nel maggio 1754 in coincidenza con le pratiche per l'istituzione della cattedra di economia per Genovesi. In più luoghi Galiani si attribuì l'operetta e non c'è da dubitarne anche per la limpidezza dello stile, notata anche da Metastasio, impossibile da attribuire a un uomo anziano e gravemente malato; ma il contenuto è tutto dell'I., anche nel proemio. Alcune tracce della linea espositiva, presenti sia nel Discorso sull'utilità delle scienze, sia nella Perfetta conservazione del grano, lasciano intravedere il coordinamento tra i due estensori. L'operetta è composta di un proemio e 4 capitoli. Il proemio esprime soddisfazione per le migliorate condizioni di vita dei popoli e lo sviluppo di arti, commercio e agricoltura, sostenuti dal "lume delle lettere e dalla virtù dei principi" che operano per la felicità dei popoli. Si compiace poi per le migliorate misure di assistenza dei bisognosi e per la pace avveratasi in Europa. L'umanità deve molto alla stampa, che tanto ha contribuito a diffondere le invenzioni più utili e i buoni regolamenti dei costumi cristiani. Conclude con l'auspicio che il paese, guidato stabilmente dal suo principe virtuoso, possa di nuovo raggiungere la grandezza precedente ai Romani. I capitoli successivi riguardano rispettivamente: i modi imperfetti del passato per conservare il grano; l'uso del fuoco per salvarlo dagli insetti senza perdite; gli esperimenti compiuti e quelli in preparazione a Capua, in Francia, in Maremma; la descrizione della stufa del grano e le difficoltà incontrate per superare i pregiudizi verso le macchine. Non manca la descrizione del perfezionamento apportato dall'I. a un attrezzo usato dai boscaioli, il palorcio, per il trasporto di carichi sopraelevati, applicabile anche al trasporto del grano. L'ultimo capitolo espone le difficoltà incontrate per fare accettare dall'Annona la nuova macchina. Seguono accurate tavole della macchina.
Il libretto ebbe grande e immediato successo; ancora nel 1770 ne uscì una traduzione francese. Esso qualificò un intero gruppo, perché essere stati cresciuti alla scuola dell'I. significò essere investiti del suo prestigio, divenuto molto più vasto con la pubblicazione dell'opera. Ripercorrendo la strada dell'invenzione meccanica e dei suoi scopi l'I. introduceva autorevolmente le arti meccaniche, non diversamente, benché in altra dimensione, da quanto in Francia facevano D. Diderot e J.-B. d'Alembert con l'Encyclopédie. In una simile prospettiva si pongono anche sue lettere ad A. Cocchi (1751-54), che nel fornire informazioni sugli investimenti al Monte frumentario di Baselice presero spunto per considerazioni sulla necessità di nuove tecniche per l'agricoltura e di un ammodernamento scientifico della medicina.
Gli ultimi anni dell'I. furono funestati dalle cattive condizioni di salute, che lo portarono ad allontanarsi anche dagli amici più intimi. Morì a Napoli il 27 febbr. 1757.
Fonti e Bibl.: Buona parte della corrispondenza dell'I. è in Roma, Biblioteca dell'Accademia naz. dei Lincei e Corsiniana, Cors., 1608 e in Napoli, Biblioteca della Società napoletana di storia patria, Mss., XXXI.A7 e XXXI.B18; la corrispondenza con la segreteria di Stato di Toscana è in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4139, 4140, 4141; le lettere ad A. Cocchi sono in Firenze, Arch. Baldasseroni; F. Rinuccini, Ricordi storici di Filippo di Cino Rinuccini… seguiti da altri monumenti inediti, a cura di G. Aiazzi, Firenze 1840, pp. 187-190; F. Nicolini, La puerizia e l'adolescenza dell'abate Galiani (1735-45). Notizie, lettere, documenti, in Arch. stor. per le provincie napoletane, IV (1918), pp. 105-132; E. Viviani della Robbia, Bernardo Tanucci e il suo più importante carteggio, I, Firenze 1942, passim; P. Metastasio, Tutte le opere, IV, Lettere, 1753-62, Milano 1951, pp. 1021, 1027 s.; B. Tanucci, Epistolario, I, a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, Roma 1980, ad ind.; II, a cura di R.P. Coppini - R. Nieri, ibid. 1980, pp. 65, 90; III, a cura di A.V. Migliorini, ibid. 1982, p. IX; Lettere e carte Magliabechi. Inventario cronologico, a cura di M. Doni Garfagnini, Roma 1988, passim; G.P. Galanti, Elogio storico dell'abate A. Genovesi… terza edizione accresciuta dell'Elogio del sig. B. I., Firenze 1781, pp. 161-165; A. Genovesi, Opere scelte, Milano 1828, p. 73; Id., Opere, in Illuministi italiani, V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, ad ind.; F. Galiani, Opere, a cura di F. Diaz - L. Guerci, Milano-Napoli 1975, passim; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrinae excellentium, XV, Pisis 1792, p. 299; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, I, Venezia 1838, pp. 73 s.; G. Racioppi, Antonio Genovesi, Napoli 1871, pp. 124-145, 331-342; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, pp. 240 s.; F. Nicolini, Intorno a Ferdinando Galiani. A proposito di una pubblicazione recente, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LII (1908), pp. 1-56; Id., Un grandeeducatore italiano. Celestino Galiani, Napoli 1951, passim; F. Venturi, Alle origini dell'illuminismo napoletano, in Riv. stor. italiana, LXXI (1959), pp. 416-456; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, pp. 149-151; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, ad ind.; R. Ajello, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli 1976, pp. 397-400; V. Ferrara, Scienza natura religione. Mondo e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, ad indicem.