GUINIGI, Bartolomeo
Quarto dei figli maschi di Francesco di Lazzaro, nacque forse dal matrimonio con Filippa di Arbore Serpenti, all'inizio degli anni Settanta del XIV secolo.
Della sua giovinezza poco è noto; fu attivo su varie piazze per conto della compagnia facente capo alla sua famiglia e, tra il 1385 e il 1389, si alternò tra l'Inghilterra e le Fiandre; nel 1391 si trovava a Bruges, come fattore della compagnia a Bruges e Middelburg; sempre a Bruges nel 1386 era stato eletto Operaio della cappella di S. Croce; nel 1391 formava con il fratello Paolo una compagnia su Bruges e Londra; nel 1392 agiva a Londra per conto della società familiare.
Ancora nel 1452 il pronipote Michele di Giovanni ricordava di aver visto da ragazzo, all'epoca della signoria di Paolo Guinigi, "molte obligatorie appartenenti a Bartholomeo […] di suoi debitori di Londra" (Archivio Guinigi, 151, c. 53v).
Il suo nome non compare mai negli atti del Consiglio generale in quel torno di anni che vide consumarsi la sconfitta degli avversari della fazione guinigiana, culminata nel 1392 nell'assassinio del gonfaloniere Forteguerra Forteguerra e del cugino di lui, Bartolomeo; era emersa allora con tutta evidenza l'ambizione di Lazzaro, fratello maggiore del G., che avrebbe guadagnato un ruolo di indiscutibile preminenza nell'ambito della fazione fino alla sua morte avvenuta il 15 febbr. 1400 sotto i colpi di pugnale del fratello Antonio e del cognato Nicolao Sbarra. Il primo incarico istituzionale che il G. ricoprì fu quello di membro del Consiglio dei trentasei, al quale fu designato nel marzo del 1393; ricoprì la carica di anziano per la prima volta nel bimestre maggio-giugno 1396, quindi ancora nel luglio-agosto 1398, quando fu anche designato gonfaloniere in luogo di Giovanni Franchi assente, e nel settembre-ottobre 1399.
All'inizio di agosto del 1396 fu mandato come commissario del Comune con Giovanni Boccansocchi e Ciucchino Avogadri a difendere la Garfagnana attaccata dai fautori del duca di Milano; nel maggio dell'anno seguente fu con Giovanni Sernicolai tra i capitani scelti per riconquistare con 1000 fanti e 60 cavalieri la torre di San Giuliano che i Pisani avevano occupato: in quell'occasione furono lodevoli l'operato dei capitani e la loro prontezza decisionale, ma una mossa errata di Sernicolai si risolse in un mutamento di fronte e i Pisani riuscirono ad avere la meglio sulle brigate lucchesi, determinandone una rotta rovinosa. Distintosi evidentemente nella conduzione delle strategie militari, il G. ricevette nel giugno seguente il comando di un distaccamento di soldati incaricati di attaccare Santa Viviana, ma l'attacco risultò vano; nel secondo semestre di quell'anno fu nominato vicario di Pietrasanta, una zona particolarmente cara alla sua famiglia che vi contava numerose proprietà immobiliari; nel secondo semestre del 1398 detenne il medesimo incarico a Castiglione Garfagnana, e ancora in quella vicaria fu presente tra lo scorcio del 1399 e i primi mesi del 1400.
Nel 1384 aveva avuto luogo la divisione dei beni tra il G. e i suoi fratelli Lazzaro, Antonio e Paolo (un altro fratello, Roberto, era già morto); in base a una complessa vicenda di successione, al G. toccò la terza parte pro indiviso del palazzo di famiglia, posto nella contrada dei Ss. Simone e Giuda, da dividersi con gli zii Nicolao e Michele di Lazzaro: era la parte che era spettata in vita al padre Francesco, il primo piano del palazzo. Risulta da alcuni documenti raccolti poco dopo la metà del Quattrocento dal già citato Michele di Giovanni che egli, insieme col fratello Antonio, aveva contratto con Lazzaro il consistente debito di 998 fiorini; questa era infatti la somma che gli eredi del G. e Antonio erano tenuti a riconoscere "in solido" a Michele, erede all'epoca del patrimonio del defunto Lazzaro; il debito era stato riconosciuto dai due con atto del 20 marzo 1394, quando essi avevano ipotecato a Lazzaro tutti i loro beni.
Quando si sparse la notizia dell'assassinio di Lazzaro il G., affiancato dal fratello Paolo, si mosse alla testa di un gruppo di fedeli per catturare i due assassini, che nel frattempo si erano asserragliati in piazza S. Michele cercando di guadagnare alla propria causa l'ufficiale della guardia con i suoi uomini; a nulla valsero i loro tentativi di sollecitare una rivolta. Dopo una resistenza durata alcune ore essi furono catturati, e giustiziati il giorno seguente. In aprile il G. ebbe, con il fratello Paolo, la tutela dei figli di Lazzaro; i due si mossero guardando alla rete di relazioni in cui la famiglia risultava inserita ormai per una pluriennale consuetudine, promossa in particolare dal padre Francesco. In qualità di curatori del nipote Francesco di Lazzaro, pertanto, i due combinarono il matrimonio di questo con Piera di Buonagiunta Schezza, di cui Lazzaro stesso era stato a sua volta tutore.
È presumibile che al G. si fosse guardato come all'uomo cui doveva toccare la guida della fazione dopo la morte di Lazzaro, data anche l'età e quindi l'esperienza maggiore rispetto al fratello Paolo.
Questa ipotesi si evince dalle parole di un certo Martino Donnini, "olim targettinus", ricordate in un atto processuale della seconda metà del Quattrocento relativo alle vicende ereditarie del "palazzo grande" dei Guinigi; chiamato in quella circostanza a testimoniare, Martino ricordò che "cum Paulus de Guinigiis iam esset effectus capitaneus populi in civitate Lucana [ottobre 1400], ex quo capitaneatu omnes tenebant et reputabant eum dominum civitatis Lucane et eius districtus, et cum ipse testis quadam die mensis octobris anni 1400 esset Luce, in platea Sancti Pieri Somaldi […], audivit dici a ser Nicolao dello Strego […] hec verba, videlicet: "Hen quid est et quid promittit fortuna! Si Bartholomeus de Guinigiis […] esset vivus sicut est mortuus cepisset ipse tamquam maior annis Paulo de Guinigiis dominationem civitatis Lucane et eius districtus, et non ipse Paulus"" (Libro di processi per la casa grande, c. 326r).
Il G. morì di peste a Castiglione Garfagnana nell'estate del 1400, in agosto o in luglio, e fu quindi trasportato a Lucca. Giovanni di Iacopo Boccella, nipote della madre del G., che come consanguineo fu chiamato a prendere parte alle esequie, affermava di ricordare ancora nel 1460 che aveva visto "extrahi et portari capsam ubi dicebatur esse cadaver ipsius Bartholomei de sala primi solarii dicti palatii deorsum in una apotheca dicti palatii et ipsum una cum multis aliis sociavit ad ecclesiam Sancti Francisci in burgis Lucane civitatis, et quod fuit sepultus in ecclesia seu cappella Sancte Lucie sita in claustro conventus Sancti Francisci in sepulturis de Guinigiis" (ibid., c. 324v). Ciò contrasta in parte con il resoconto di Sercambi, secondo cui il G. morì il 15 maggio e fu sepolto a Castiglione dove si era rifugiato per sfuggire alla peste; un'altra testimonianza tratta dal Libro di processi per la casa grande, quella di Pietro di Domenico merciaio, lo darebbe per vicario di Castiglione all'epoca della morte, che fa risalire al mese di agosto (c. 321). Le carte superstiti per l'epoca informano che egli era stato effettivamente nominato vicario per il secondo semestre del 1399 ma, essendo impegnato come anziano per il bimestre settembre-ottobre, era stato temporaneamente sostituito e aveva cominciato a esercitare le funzioni di vicario nel novembre; l'incarico gli era stato prorogato fino al 7 febbr. 1400 perché il vicario designato, Bernabò di Giovanni Arlotti, ricopriva in quel bimestre l'incarico di anziano: è probabile, dato che Sercambi informa che il G. morì il 15 maggio, che egli abbia esercitato funzioni di vicevicario a Castiglione fino a quel momento: il vicevicario successivo, infatti, Pietro Bernardini, risulta surrogato proprio in data 4 maggio 1400.
Aveva sposato dopo il 1° genn. 1396, ricevendone una dote di 400 fiorini, Maddalena di Luiso Tadolini dalla quale non ebbe alcun figlio. Morendo ab intestato, i suoi beni furono equamente spartiti tra i nipoti figli di Lazzaro (Francesco, Nicolao e Lorenzo) e il fratello Paolo che, stando ad alcune fonti, ne rifiutò in tutto o in parte l'eredità.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, 74 (Libro di processi per la casa grande), cc. 321, 324v, 326r; 151, cc. 49, 52v, 53; 312, c. 199; Consiglio generale, 12, pp. 427, 432; 13, pp. 49, 80, 103, 111, 116, 130 s., 146, 216, 219, 243, 258, 304, 313 s., 322, 332, 335, 339, 344, 349; Vicario poi commissario di Castiglione. Atti criminali, 640, c. 1; 641, c. 2; G. Sercambi, Croniche, a cura di S. Bongi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIX-XXI, Roma 1892-93, ad ind.; Regesti del R. Archivio di Stato in Lucca, II, Carteggio degli Anziani dal 1333 al 1400, a cura di L. Fumi, Lucca 1903, ad ind.; Libro della Comunità dei mercanti lucchesi in Bruges, a cura di E. Lazzareschi, Milano 1947, ad ind.; Storia di Milano, VI, Roma 1955, p. 34 n. 7; C. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and society in an early Renaissance City-State, Oxford 1978, ad indicem.