GUIDOBONO, Bartolomeo
Nacque a Savona, da Giovanni Antonio, decoratore di ceramiche, e da Geronima Croce, il 20 ott. 1654, com'è attestato dall'atto di battesimo della parrocchia di S. Giovanni Battista, rintracciato da Castelnovi (1956, p. 243) e successivamente pubblicato da Varaldo (p. 233). Secondo i documenti della Curia vescovile di Savona, tra il 1674 e il 1679 il G. si dedicò agli studi ecclesiastici, donde il soprannome di "prete di Savona" con cui è menzionato nelle fonti.
Non si conosce molto della sua prima attività. Probabilmente lavorò presso la bottega del padre, a Savona, come decoratore di maioliche: attività dimostrata da molte opere ceramiche attribuitegli nonché da testimonianze che lo ricordano quale artista ricercato e apprezzato per lavori di questo tipo (Cameirana).
Al mestiere di tradizione familiare affiancò ben presto l'attività di pittore, per la quale è più celebre. I primi saggi di pittura ad affresco, realizzati tra il 1679 e l'aprile del 1680, sono costituiti dalla decorazione della cappella della Crocetta presso il santuario di Nostra Signora della Misericordia a Savona, eseguita con il pittore di prospettive bolognese Giovanni Enrico Haffner (Castelnovi, 1978).
Qui il G. raffigurò nella cupola La processione al santuario e sulle pareti i Miracoli della Madonna. È abbastanza evidente in questi suoi primi lavori il tentativo di superare i modi peculiari del decoratore di ceramiche - osservava giustamente Castelnovi (1956, p. 243) che la decorazione della cupola "tradisce con quelle figurette iterate le abitudini del maiolicaro" - per tentare di avvicinarsi alla pittura contemporanea, guardando soprattutto alla maniera di Domenico Piola. L'influenza dell'artista genovese sul G. fu tale che la critica ha ipotizzato o un suo apprendistato diretto o quantomeno un soggiorno di studio nel capoluogo ligure: supposizioni, confortate dalla certa amicizia che legava la famiglia dei Guidobono a Piola, il quale aveva tenuto a battesimo il fratello minore del G., Domenico.
Dopo questa prima esperienza, sembra comunque accertato che l'artista intraprese alcuni viaggi volti ad approfondire e migliorare la propria cultura figurativa. Mete pressoché obbligate furono Parma e Venezia (Soprani - Ratti, p. 140), e forse anche Bologna.
A testimonianza di ciò, e specialmente del soggiorno veneziano e di quello parmense, sta il ritrovamento della trascrizione di un processo tenutosi a Genova negli anni 1698-99 contro un pittore, reo di aver venduto a un mercante dei quadri spacciati come autografi di antichi maestri, ma rivelatisi in realtà delle copie. Il G. fu chiamato a deporre in favore dell'accusa e in qualità di esperto. Interrogato circa l'autenticità di un quadro di Tiziano, non ritenne l'opera completamente autografa, rivelando di "aver pratica bastante delle pitture di Tiziano per averne vedute molte in Venetia, Parma et altri luoghi" (Spione, p. 42).
Evidente nell'opera del G. è l'influenza degli artisti emiliani, particolarmente di Antonio Allegri, detto il Correggio, e del Parmigianino, Francesco Mazzola (dal primo desunse modi e stile, copiandone fedelmente alcuni lavori; mentre riferimenti espliciti alla maniera di entrambi si scoprono soprattutto nell'affresco con l'Estasi di s. Francesco per il refettorio del convento dei cappuccini a Savona), nonché di Giovanni Lanfranco, citato nella tela con l'Incredulità di s. Tommaso, rintracciata da Castelnovi (1956, p. 244), eseguita per l'ex chiesa di S. Giovanni Battista e ora nel palazzo vescovile di Savona. Allo stesso modo, sempre grazie ad affinità stilistiche, la critica ha posto l'affresco della volta di una sala in palazzo Gavotti a Savona, raffigurante Il carro del Sole e altre divinità, in relazione con l'opera di Pellegrino Tibaldi in palazzo Poggi a Bologna, ritenendo dunque appropriata l'ipotesi di un soggiorno del G. anche nel capoluogo emiliano (ibid.). Sembra comunque opportuno sottolineare come il pittore potesse attingere a questa cultura figurativa non solo tramite la visione diretta, ma anche grazie alla mediazione degli artisti genovesi quali il già ricordato Domenico Piola, ma anche, e forse soprattutto, Valerio Castello, profondamente legato allo stile emiliano e lombardo (con particolare attenzione all'opera di Giulio Cesare Procaccini), il quale seppe mirabilmente armonizzare tutte le tendenze artistiche che avevano animato il capoluogo ligure nei primi decenni del Seicento, dal Veronese (Paolo Caliari), le cui opere erano presenti in molte collezioni genovesi, a Federico Barocci, Pieter Paul Rubens, Anton van Dyck.
Alcuni pagamenti, il primo dei quali risalente al 31 luglio 1680, emessi per un intervento all'interno di palazzo Rosso dei Brignole, dove il pittore eseguì delle semplici decorazioni ("medaglioni"), testimoniano la presenza a Genova dell'artista a questa data (Marcenaro, 1965, p. 27; Gavazza, 1989, pp. 37, 43). Difficilmente dunque il G. poteva trovarsi a Torino in questo stesso anno come tramandatoci dalle fonti (Soprani - Ratti, p. 144); e più corretta sembra la proposta di Castelnovi (1956, p. 245) che tende a far slittare in avanti la data del viaggio torinese, riconducendola al 1685, anno in cui il pittore firmò e datò gli affreschi con Storie dei Savoia per il santuario di S. Maria di Casanova presso Carmagnola, commissionati dall'abate Innocenzo Milliavacca.
Si riferiscono a questo primo soggiorno piemontese, e sono perciò databili al 1685 o poco più tardi (al 1688 secondo R. Tardito Amerio, p. 181; Castelnovi, 1956, p. 253, seguito da una parte della critica, li ritiene di una fase successiva), gli affreschi per il cosiddetto appartamento di madama Felicita in palazzo reale a Torino, dove il G. dipinse l'Aurora nella volta della camera di passaggio di levante al piano terra e motivi ornamentali per la sala da pranzo, negli sguanci delle finestre.
Nonostante l'attività presso la corte sabauda, il G. non perse i contatti con la città natia. Risale infatti alla metà degli anni Ottanta l'Annunciazione, mandata da Torino a Savona per il santuario di Nostra Signora della Misericordia, ora nella Pinacoteca civica della stessa città. L'opera, spesso confrontata con quella di analogo soggetto dipinta da Piola nel 1679, si caratterizza per una delicatezza e dolcezza maggiore, in evidente contrasto con il "più vigoroso trattamento" riservatole dal maestro genovese (Newcome, 1989; l'autrice firma anche come Newcome Schleier).
Intorno al 1690 il G. tornò a Genova, dove ricevette commissioni di una certa importanza. Realizzò nelle ville suburbane delle famiglie dei Grillo e dei Durazzo, rispettivamente a Pegli e a Pino, dipinti dei quali non è rimasto nulla se non la testimonianza delle fonti (Soprani - Ratti, p. 142). Si conserva poi il saldo, del 1691-92, relativo a tutte le opere eseguite a palazzo Rosso per Giovanni Francesco dei Brignole, fratello di Ridolfo per il quale aveva lavorato già dieci anni prima.
Gli affreschi della galleria e della cappella, nella quale dipinse le Storie di Daniele, sono andati perduti. Rimangono le scene a monocromo con Emblemi e figure di giganti sulle pareti della sala della Fucina di Vulcano, dipinta sulla volta e anch'essa andata distrutta in un incendio forse nel 1719 (Marcenaro, 1965, pp. 20, 32 s.). La decorazione di questi ambienti risulta particolarmente vicina piuttosto all'esperienza dei quadraturisti-decoratori bolognesi con i quali il G. aveva familiarità. E costituì l'inizio di un dominio della struttura ornamentale sul soggetto, di un continuo gioco fra finzione pittorica e plastica, un modo di risolvere la decorazione che avrebbe contraddistinto tutta la pittura ad affresco dell'artista.
Per la medesima committenza e all'incirca negli stessi anni (venne pagato tra il 1694 e il 1696) dipinse le quattro tele con storie di Abramo e di Loth: Abramo che convita i tre angeli, Abramo che licenzia Agar, Loth ubriacato dalle figlie, Loth fatto prigioniero, destinati al salone del secondo piano nobile.
Non è solo un percorso tematico che lega questi dipinti, ma anche la resa stilistica fa sì che l'insieme risulti omogeneo. In tutti e quattro i casi le figure, dal morbido modellato, dominano la scena emergendo da un fondo scuro indistinto, sul quale solo pochi dettagli spiccano con evidenza luministica, componendo talvolta veri e propri piccoli brani indipendenti di natura morta. Questo decorativismo esasperato pare chiaramente indebitato con la grande influenza che una nutrita schiera di artisti fiamminghi e lombardi ebbe sulla cultura figurativa seicentesca genovese, piuttosto che risultato di una presunta, semplicistica indifferenza dell'autore per le questioni di soggetto e contenuto, troppo spesso evocata dalla critica.
Più o meno contemporanei, e comunque ascrivibili a quest'ultimo decennio del Seicento, sono gli affreschi per un altro palazzo genovese: quello dei Centurione, ora Cambiaso, a piazza Fossatello. Qui il G. dipinse nella galleria Venere che incorona Adone e nella sala Il carro di Giunone tra le Metamorfosi.
In entrambe le raffigurazioni è l'apparato scenico a predominare: grandi ghirlande ricche di frutta e fiori, popolate da una nutrita schiera di satiri, amorini, aggraziate ninfe e uccelli, incorniciano le scene in parte debitrici, per l'iconografia, all'Adone di Giovan Battista Marino, testo scelto come programma forse in occasione di un matrimonio (Gavazza - Lamera - Magnani, p. 245). E proprio a proposito di questi affreschi sono state riconosciute nel pennello del G. quelle caratteristiche tipiche dello stile rococò che di lì a poco avrebbe predominato nella decorazione dei palazzi nobiliari e presso le corti europee (Puccio; Gavazza, 1978).
Risulta ancora più interessante la comparazione di queste opere di soggetto profano - non solo le decorazioni ad affresco, ma anche una copiosa produzione di lavori da cavalletto con scene allegoriche, favole mitologiche e finanche richiami alla letteratura romanzesca - con quelle a tema religioso, eseguite però sempre per una committenza laica. Come esempio possono essere utili le due tele, provenienti dalla villa genovese degli Spinola e ora in collezione privata, con scene tratte dall'Antico Testamento: nell'una Giaele e Sisara, nell'altra Sansone e Dalila (ripr. in Genova nell'età barocca, p. 198). Eseguite probabilmente verso la fine del Seicento, mostrano come, nonostante il cambio ovvio di registro imposto dalle mutate esigenze, il pittore si mantenesse fedele al proprio dettato stilistico, imponendosi di non scadere mai in un formalismo pesante o patetico anche nella rappresentazione di episodi tragici e cruenti.
Sono da datare presumibilmente dopo il 1692 gli affreschi della chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo, andati perduti in seguito alla rovina dell'edificio durante la seconda guerra mondiale e oggi giudicabili solo grazie ad alcune fotografie conservate presso la Soprintendenza alle gallerie di Genova. Alla mano del G. appartenevano alcune scene dipinte all'interno dell'edificio e soprattutto l'affresco della volta della cappella di S. Orsola, raffigurante la Gloria della santa (Newcome, 1983; Gavazza, 1989).
Le note di spesa degli agostiniani scalzi relative alla fabbrica della chiesa genovese di Nostra Signora Assunta, chiamata anche popolarmente santuario della Madonnetta, non lasciano dubbi in merito alla datazione degli affreschi là realizzati dall'artista. Risalgono infatti certamente al 1697 e comprendono la decorazione della volta della cripta, lo scurolo, con l'Incoronazione della Vergine, le scene dipinte sulle lunette laterali e una Cena in Emmaus per il refettorio del convento (Gavazza, 1989).
Tra il 1697 e il 1698 il G. eseguì anche la pala per la chiesa parrocchiale di Montoggio con La Vergine e le anime del purgatorio e la Circoncisione per l'altare della chiesa di S. Giorgio di Moneglia.
La presenza a Torino del G. all'inizio del nuovo secolo è confermata dal ritrovamento della documentazione, risalente al 1702, relativa alla commissione della decorazione della cupola con la Gloria della Trinità per la chiesa di Nostra Signora del Pilone (Spione, p. 96), già situata da parte della critica, unicamente per ragioni stilistiche, intorno al 1685 (Gavazza, 1978, p. 106, e 1989, p. 257; Newcome Schleier, 1981, p. 27).
Nel 1705 risulta essere in città anche il fratello (Gli artisti a Torino); e l'anno seguente i due erano impegnati "a provvedere una "macchina" con i santi protettori della città per una novena propiziatoria in S. Francesco da Paola" (Castelnovi, 1956, p. 250). Per questa stessa chiesa, e anche per il convento annesso, i fratelli Guidobono eseguirono varie opere, molte delle quali scomparse: rimangono l'affresco con la Visione di s. Francesco da Paola e un medaglione con la mezza figura del santo (ibid.).
Il G. morì a Torino il 24 genn. 1709 e fu sepolto a S. Francesco di Paola, come certificato dall'atto di morte del Liber mortuorum della parrocchia (Schede Vesme, p. 570).
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