GRANUCCI, Bartolomeo
Non si conosce la data di nascita di questo artista figlio di Francesco, attivo a Napoli tra la fine del XVII e la prima metà del XVIII secolo.
Nel 1698 il G. è documentato, accanto a Nicola Mazzone, nella decorazione a stucco della cupola di S. Agostino agli Scalzi, ideata e diretta da Lorenzo Vaccaro, di cui fu allievo e collaboratore (Rizzo, 1992).
Tre anni prima il G. fu forse attivo al fianco del maestro nella realizzazione delle grandi sculture in argento e pietre preziose raffiguranti le Quattro parti del mondo, conservate sin dal 1695 nella sagrestia della cattedrale di Toledo, ma concluse, stando alle affermazioni di De Dominici, entro il 1692, anno del loro invio in Spagna.
A testimonianza della avvenuta maturazione artistica del G., nel 1708 lo scultore venne pagato dalla deputazione della cappella del Tesoro di S. Gennaro per l'esecuzione di una pedana di rame dorato da porsi come base per la croce con intarsi in lapislazzuli, donata al Tesoro dal Banco di S. Maria del Popolo.
L'anno seguente il G. fu chiamato ad affiancare un affermato esponente del rococò napoletano, l'ingegnere e scenografo Arcangelo Guglielmelli, da poco impegnato in un accurato programma di ristrutturazione della chiesa di S. Angelo a Nilo. Questi affidò al G. e a Domenico Martinetti non solo la decorazione plastica dell'imponente cupola absidale e del relativo frontone, ma anche alcuni dei busti ritraenti personalità eminenti della famiglia Brancaccio, posti a ornamento del perimetro della navata. Al solo G. infine vennero commissionate anche le due grandi statue di S. Candidaseniore e iuniore, che sull'esterno della facciata fiancheggiano ancora oggi l'ingresso della chiesa.
Nel 1716 iniziò la collaborazione del G. con Domenico Antonio Vaccaro, che egli probabilmente aveva avuto modo di frequentare già ai tempi del suo alunnato presso la bottega del padre di questo, Lorenzo. Vaccaro lo volle infatti con sé nei lavori di decorazione della cappella Frasconi in S. Paolo Maggiore, per la quale il G. eseguì le decorazioni in rame dorato per il paliotto.
Nel 1723, grazie all'amicizia con Francesco Solimena, del quale si dice fosse "intimo d'atelier" (Rizzo, 1992, p. 141), il G. ebbe la possibilità di confrontarsi personalmente con l'estro borrominiano, in occasione della campagna decorativa della cappella dell'Immacolata, di patronato della famiglia Pignatelli, nella chiesa dei Ss. Apostoli.
I lavori per la cappella - posta a pendant di quella dell'Assunta il cui altare nel 1641 era stato realizzato su progetto di Francesco Borromini - furono avviati nel 1713 da Ferdinando Sanfelice; sospesi nel 1718 a seguito di un contenzioso, ripresero solo cinque anni più tardi quando Solimena venne chiamato a realizzare le quattro figure di Virtù che circondano la pala d'altare.
Il G. e Matteo Bottigliero completarono rispettivamente il sontuoso altare in marmi e pietre preziose con decorazioni in rame dorato e la lastra bronzea con il coro di putti.
Meno complesso ed elaborato è invece il progetto dell'altare della cappella del Rosario presso la chiesa di S. Pietro Martire, ideato dal G. nel 1725.
Di quest'opera risalta la geometrica e lineare semplicità compositiva che tende a evidenziare il preziosismo del ricamo a fiori e volute del bel paliotto in commesso marmoreo. L'altare rientrò, in qualità di momento conclusivo, nel ciclo dei lavori di sistemazione pittorica della cappella avviati nel 1717 per mano di Giacomo Del Po.
Poco dopo il G. fu nuovamente chiamato a collaborare con Solimena, nei lavori di decorazione della facciata di S. Nicola della Carità.
Il pittore, incaricato dai pii operai di S. Nicola di curare la progettazione della facciata della chiesa, aveva scelto di affidare l'esecuzione di due putti marmorei e di un medaglione bronzeo con il busto di S. Nicola, proprio al suo protetto Granucci. Nonostante l'artista avesse atteso alla lavorazione delle sculture sin dal 1727, queste rimasero incompiute fino alla sua morte, creando non pochi problemi ai padri della chiesa, costretti a recuperare le opere dall'abitazione del figlio del G. Ignazio, solo al termine di una rocambolesca vicenda, fatta di contenziosi giudiziari che si protrassero fino al 1752.
Nel 1727 il G. risiedeva insieme con la sua famiglia nelle case del Monte della Monica sulla strada di Monteoliveto.
L'anno dopo l'artista si trovò ancora impegnato con la deputazione del Tesoro di S. Gennaro, che lo incaricò di ideare e sovrintendere all'esecuzione del busto in argento di S. Giovanni Armeno, con il supporto tecnico dell'argentiere Giovan Battista D'Aula.
L'incarico certamente più prestigioso affidato al G., che sin dal 1720 si fregiava del titolo di "regio ingegnere" (Rizzo, 1992, p. 141), gli venne conferito intorno al 1729, quando si decise l'ampliamento e la trasformazione della piccola cappella di S. Maria Vertecoeli. In quell'anno infatti il G. consegnò alla Confraternita delle Anime del purgatorio, che aveva sede presso la chiesa, i modelli e le piante del nuovo edificio. Anche se dalla documentazione si evince che egli non fu solo nel progettare e condurre i lavori - avvalendosi fino al 1732 della collaborazione dell'ingegnere Giuseppe Stendardo, e fino al 1738 di quella di Giovanni Martino Buonocore - appare comunque chiaro che fu il G. a caratterizzare armonicamente gli spazi, non solo sotto il profilo architettonico ma anche sotto quello scultoreo e pittorico, creando un insieme unitario di grande coralità.
I risultati raggiunti all'interno di S. Maria Vertecoeli furono inoltre frutto della compresenza all'interno del cantiere di numerose maestranze artigiane, tra le quali figuravano nomi di spicco nel panorama artistico partenopeo, quali quello dello stuccatore Giuseppe Scarola, del cartapistaro Domenico Punziano, dei maestri pipernieri Giovanni Saggese e Nicola Cibelli, del marmoraro Cristoforo Battimelli, dell'ebanista Gennaro Quercia, dell'intagliatore Cristoforo Mellone e del maestro ferraro Baldassarre Sperindeo.
Negli stessi anni in cui il G. era occupato nel rifacimento di S. Maria Vertecoeli, Domenico Antonio Vaccaro, incaricato del rinnovamento architettonico e decorativo della piccola chiesa di S. Michele a piazza Dante, chiamò il G. per l'esecuzione scultorea delle figure (putti, cherubini, angeli reggicortina).
La coincidenza cronologica, l'affinità programmatica degli interventi e la presenza in entrambi i cantieri delle stesse maestranze artistiche hanno indotto a un raffronto ravvicinato dei risultati conseguiti sotto il profilo tecnico ed estetico nei due edifici, facendo pendere il giudizio complessivo a favore del G., meritevole per S. Maria Vertecoeli di aver saputo creare una spazialità di impronta teatrale e di aver saputo coniugare armonicamente la bellezza delle componenti morfologiche e decorative con un'inventiva raffinata (Rizzo, 1992).
Al quarto decennio del secolo, inoltre, vengono riferiti altri due importanti interventi di decorazione architettonica condotti dal G.: il primo, databile al 1731, prevedeva una serie di stucchi raffiguranti santi e apostoli collocati entro nicchie presso l'ingresso e la navata della chiesa di S. Maria della Vita, nonché una ricca ornamentazione che rivestiva la cupola e la crociera (di queste opere non resta più traccia dopo i riattamenti ottocenteschi dell'edificio: Borrelli).
Il secondo intervento riguardava il complesso ciclo decorativo del teatro S. Carlo, cui nel 1737 il G. prese parte come ricorda De Dominici, realizzando il gruppo di angeli che ornava la terminazione superiore del portale maggiore. Borrelli riconduce alla mano del G. anche le cariatidi che decoravano il proscenio, proprio sotto l'imposta dell'arco. Comunque, ogni testimonianza figurativa settecentesca è andata persa a seguito dell'incendio che il 13 febbr. 1816 distrusse gran parte dell'edificio.
All'apice della notorietà, nel 1744 il G. venne incaricato dell'esecuzione dei due monumentali candelabri in argento per l'altare della cappella del Tesoro di S. Gennaro. I due "splendori", così chiamati proprio in virtù dell'imponenza delle loro dimensioni (cm 370 di altezza) e della sfarzosa magnificenza che li caratterizza, furono il frutto dell'ennesima collaborazione del G. con un altro grande esponente della cultura artistica partenopea, l'argentiere Filippo Del Giudice.
Fu con quest'opera che il G., libero di poter esprimere tutta la forza e l'espressività del suo estro decorativo e scultoreo, vide pienamente riconosciuta l'importanza del suo operato. Il contratto per la commessa degli "splendori" era infatti vantaggioso, in quanto al G., in qualità di ingegnere e scultore, oltre all'ideazione e alla supervisione dell'intero progetto, spettava la realizzazione dei modelli in cera delle figure di maggiore interesse scultoreo (sei allegorie, due gruppi di putti e i cherubini); mentre all'argentiere non rimanevano che gli elementi ornamentali e, naturalmente, la responsabilità degli aspetti tecnici (fusione, sbalzo e cesellamento dell'argento). Il risultato è di straordinaria sontuosità e questo perché gli splendori non possiedono i caratteri tipologici dei comuni candelabri, ma s'inseriscono piuttosto "nel gusto delle guglie napoletane, trasposizioni in materia durevole di apparati effimeri di cui il G. fu indiscusso specialista" (Catello, 1993, p. 180).
Dei numerosi apparati creati dal G. in occasione di celebrazioni, feste e funerali, non restano che pochi disegni e una notevole quantità di materiale documentario, a testimonianza di una fervida attività nel campo dell'effimero.
La sua produzione spaziò dai disegni per carrozze, sedie, placche, stufe, letti e "qualsiasi altra specie di cosa" (Rizzo, 1992, p. 147), a ideazioni ben più solenni e complesse, quali per esempio il sofisticato progetto del 1719 per la costruzione della "macchina dei lumi", con la quale ogni anno si celebrava la festa del santo patrono di Napoli, o la sontuosa bara allegorica in legno per la corporazione dei pittori napoletani, eseguita nel 1721. Nello stesso anno il G. ricevette l'incarico dal nunzio apostolico a Napoli di progettare in S. Domenico Maggiore l'apparato funebre in memoria di Clemente XI Albani. La lista si amplia di molto nei decenni successivi: nel 1724 eseguì la macchina per le celebrazioni della nascita dell'arciduchessa Maria Amalia, figlia di Carlo VI; a lui spettò la progettazione e la direzione dei carri carnascialeschi per gli anni 1735, 1739 e 1747. Negli anni 1737 e 1738 l'Arciconfraternita della Concezione a Montecalvario gli affidò l'esecuzione del carro del "Battaglino" sul quale veniva solennemente trasportata la statua della Madonna in occasione della festività dell'Immacolata; nel 1739 progettò i padiglioni per la fiera; e ancora nel 1744 coadiuvò Solimena, incaricato di progettare il grande trionfo in argento e rame dorato, col quale ogni anno la città soleva festeggiare la ricorrenza dell'ingresso a Napoli del sovrano, fornendo i modelli per le sculture interamente eseguite da Del Giudice (Mancini).
Dopo il 1747 non si hanno più notizie del Granucci.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori e architetti napoletani, III, Napoli 1744, pp. 478 s.; G. Borrelli, Il presepe napoletano, Roma 1970, pp. 216-218; R. Mormone, Domenico Antonio Vaccaro architetto, IV, La chiesa di S. Michele a piazza Dante, in Napoli nobilissima, IV (1964-65), p. 98; F. Strazzullo, Documenti per la chiesa di S. Nicola della Carità, ibid., pp. 117-120, 123; F. Mancini, Feste ed apparati religiosi e civili in Napoli dal Viceregno alla capitale, Napoli 1968, pp. 19, 42, 48, 52, 96, 103, 112, 120, 143 s., 167, 171, 174, 267; F. Strazzullo, La chiesa dei Ss. Apostoli, Napoli 1969, p. 78; R. Pane, Il centro antico di Napoli, II, Napoli 1971, p. 188; F. Strazzullo, La real cappella del Tesoro di S. Gennaro, Napoli 1978, pp. 27, 30, 56, 59, 82 s., 183; E. Catello, Gian Domenico Vinaccia e il paliotto di S. Gennaro, in Napoli nobilissima, XVIII (1979), p. 131; E. Catello - C. Catello, in Civiltà del Settecento a Napoli (catal., Napoli), II, Firenze 1980, pp. 222 s.; L. Martorelli, ibid., p. 322; A. Capodanno, ibid., p. 342; E. Catello, Lorenzo Vaccaro scultore argentiere, in Napoli nobilissima, XXI (1982), p. 12; V. Rizzo, Uno sconosciuto paliotto di Lorenzo Vaccaro e altri fatti coevi napoletani, in Storia dell'arte, 1983, n. 49, pp. 214-217, 225; E. Catello, Francesco Solimena: disegni e invenzioni per argentieri, in Napoli nobilissima, XXIV (1985), pp. 109-111; V. Rizzo, Per la storia di S. Maria Vertecoeli (sec. XVIII), ibid., XXXI (1992), pp. 138-150; E. Catello, Gli "splendori" del Tesoro di S. Gennaro a Napoli, in Storia dell'arte, 1993, n. 78, pp. 177-182; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 521.