GRADENIGO, Bartolomeo (Andrea)
Nacque il 3 marzo 1729, secondogenito maschio, da Bartolomeo (I) (detto Gerolamo) di Bartolomeo (V) di Gerolamo e Giustiniana Morosini di Andrea (il matrimonio era stato celebrato a S. Giovanni Evangelista il 30 genn. 1720). Fu iscritto nei Libri d'oro delle nascite presso l'avogaria di Comun il 7 marzo con i nomi di Bartolomeo (II) e Andrea.
La famiglia - appartenente al patriziato veneziano sin da prima della serrata del Maggior Consiglio decisa alla fine del secolo XIII - si era scissa all'inizio del Settecento, prendendo residenza in contrade diverse: il ramo del G. aveva l'abitazione nella parrocchia di S. Barnaba, presso il ponte di Ca' Foscari, ma all'estinzione della linea maschile si ricongiunse nel palazzo di famiglia in rio Marin, nella parrocchia di S. Simeone Grande.
Il G. ebbe due fratelli, Bartolomeo (I) (nato nel 1721) detto Pietro e Bartolomeo (III), nato nel 1733, detto Marco. L'unica sorella, Contarina (che il genealogista M. Barbaro dichiara già nata nel 1717) andò sposa a Giovanni Morosini. Dalla corrispondenza privata conservata nell'archivio di famiglia, forte appare il legame affettivo e politico con Pietro, mentre il fratello Marco è sovente criticato dal G. per la cattiva gestione economica del patrimonio comune.
Il G. entrò in Maggior Consiglio al compimento del venticinquesimo anno di età; la sua carriera politica iniziò nel dicembre 1755, con l'elezione alla carica di savio agli Ordini, che mantenne sino al giugno 1756. Il 23 apr. 1757 il Maggior Consiglio lo designò provveditore alle Pompe, magistratura ormai privata dell'importante e severo controllo legislativo in materia suntuaria; il G. lasciò questo incarico anzitempo, il 24 luglio, sostituito da Lorenzo Moro, quando fu eletto dal Senato tra i Cinque savi di Terraferma. L'ufficio, che egli ricoprì sino al 31 dic. 1757, fu riconfermato a lui l'anno seguente, dal 29 giugno al 31 dicembre, ancora dal 16 maggio al 31 dic. 1760 e dal 30 giugno al 31 dic. 1761.
Il 5 genn. 1762 sposò Maddalena Contarini del procuratore Simeone, vedova di Bartolomeo (IV), detto Carlo, di Bartolomeo (IV) Gradenigo, del ramo di S. Simeone Piccolo, e madre di Giustiniana, sposata nel 1767 con Daniele Dolfin, e di Cecilia, sposata nel 1780 con Odoardo Collalto. Dal matrimonio - che non fu pubblico fino alla registrazione presso l'avogaria di Comun, avvenuta solo il 29 apr. 1766 -, non nacquero figli.
Il temperamento libero e impetuoso della moglie, dal G. familiarmente chiamata Madaluzza e teneramente amata e difesa, causò non poche occasioni di attrito con il potere politico, in particolare con il tribunale degli inquisitori di Stato, che già nel settembre 1755 si era preoccupato del comportamento della donna e l'aveva richiamata da Verona, dove l'allora primo marito esercitava la carica di capitano e vicepodestà, per imputarle "clandestini arbitrii" contrari alle pubbliche leggi e "strani suoi modi con esteri".
Il 30 giugno 1762 il G. fu ancora chiamato dal Senato alla carica di savio di Terraferma, ufficio che lasciò anticipatamente perché eletto, il 27 ottobre, ambasciatore presso la corte di Luigi XV di Francia in sostituzione di Giovanni Domenico Almorò Tiepolo.
Ebbe un salario di 700 ducati mensili, vari emolumenti per l'adeguato mantenimento del palazzo e della servitù e la possibilità di usufruire di 16 cavalli, che il G. utilizzò per pubblica rappresentanza e per proprio diletto, poiché l'equitazione fu una delle sue passioni, dichiarata nelle lettere private al fratello Pietro. La sua partenza verso Parigi avvenne solo nel 1764.
Dopo un utile transito nei territori della Savoia, il G. giunse a Parigi la sera dell'8 luglio, prendendo subito contatto con il Tiepolo, gravemente ammalato (morì il 1° ottobre) e il segretario di questo, Giovanni Fontana. Nel delicato ambiente della corte di Luigi XV il G. seppe districarsi molto bene, informando con tempestività il Senato sia dei piccoli avvenimenti quotidiani sia delle decisioni politiche. Relazionò sulle ripercussioni in Francia della morte dell'imperatore Francesco Stefano I (18 ag. 1765). Descrisse, con lungimirante sensibilità il lungo decorso della malattia che portò il delfino Luigi alla morte e fu attento relatore del passaggio della Lorena alla Corona francese dopo la morte di Stanislao Leszczyński (23 febbr. 1766), già re di Polonia e suocero di Luigi XV, come disposto dalla pace di Vienna del 1738. Riferì inoltre, quasi giornalmente, sugli intrecci diplomatici e politici a seguito dell'espulsione dei gesuiti dal Regno di Napoli (1767). Grande fu la sua ammirazione nei confronti dell'operato del duca É.-Fr. de Choiseul che tentava di risollevare il prestigio francese con una solerte attività di riforma dell'amministrazione civile e militare. Lo stesso duca, su richiesta del G., gli consegnò una copia delle Ordonnances promulgate dal re per il riassetto della fanteria e della cavalleria, prontamente trasmesse a Venezia con corriere speciale affinché si sapesse della forza di tale armata anche in tempo di pace.
Durante il suo soggiorno in Francia la moglie si fece notare per il suo comportamento non consono al buon nome della famiglia e politicamente inopportuno. Bortolo Gradenigo, allora arcivescovo di Udine, riferì che si era recata a Gorizia e a Udine, dove aveva avuto una relazione con il colonnello d'Arach, con il quale aveva attraversato il territorio sotto mentite spoglie tra locande, osterie e feste da ballo. Su richiesta dell'arcivescovo gli inquisitori di Stato si videro costretti a intervenire nuovamente su Maddalena con un severo ammonimento e con il divieto di recarsi ancora nel Friuli e di uscire dai confini dello Stato sotto la minaccia di più severi provvedimenti. Reso pubblico il matrimonio, gli inquisitori avvertirono Maddalena, tramite il fratello Giulio Antonio, del divieto di portarsi in Francia, e intimarono al G. di non invitarla.
Il G., concluso il suo mandato a Parigi, fece ritorno in patria alla fine del settembre 1768, ma il 2 aprile il Senato lo aveva designato ambasciatore presso la corte della regina di Ungheria e Boemia, Maria Teresa d'Austria. L'elezione fu registrata dal Segretario alle Voci il 7 aprile. Nel novembre 1769 il G. - che il 29 settembre era stato eletto tra i Sei savi del Consiglio "riservandosi però il luoco" - partì per Vienna; alle sue spese di rappresentanza concorsero ampiamente le finanze di famiglia.
Anche in questa sede egli fu attento osservatore dei significativi cambiamenti che, fortemente voluti da Maria Teresa, portarono gli Stati ereditari da Stato assolutistico feudale a Stato centralizzato assolutistico-burocratico e della ripresa di un'attiva partecipazione asburgica alla politica internazionale, sulla spinta del coreggente l'imperatore Giuseppe II. Il periodo viennese del G. fu quello dell'"anagrafe generale" della popolazione del dicembre 1770 (ne fu coinvolto per notificare i nominativi dei sudditi austriaci al suo servizio), della riforma della scuola popolare (1771, 1774) e della spartizione della Polonia a seguito del trattato di San Pietroburgo del 5 ag. 1772 tra Austria, Turchia e Russia.
Quale ministro plenipotenziario della Serenissima il G. firmò di suo pugno le convenzioni per il servizio postale tra Vienna e Mantova (24 ott. 1772) e la variazione degli accordi del 1769 per la corrispondenza tra Vienna e Venezia, che i Veneziani vollero deviare sulla via di Udine, più lunga ma più sicura, rispetto a quella di Gorizia-Codroipo (28 nov. 1774).
Il 9 maggio 1773 il Maggior Consiglio aveva designato il G. a sostituire Polo Renier nella carica di bailo, ovvero ambasciatore, a Costantinopoli. Tornato a Venezia nel dicembre 1774, il G. vi si trattenne solo per un breve periodo, imbarcandosi, nel marzo 1775, verso la nuova destinazione presso la corte di 'Abd ul-Éamêd I, asceso al trono nel dicembre 1773, come successore del fratello Mustafà III.
Non poco dovette pesargli questa nuova missione diplomatica, soprattutto per l'allontanamento forzato dall'amata consorte Maddalena (sin dal secolo XIII gli ambasciatori veneziani non potevano essere accompagnati dalle mogli), sulla quale erano fissi ancora gli occhi attenti degli inquisitori di Stato: anche nel luglio 1772 le era stato intimato di non recarsi a Vienna, malgrado lo stesso G. lo avesse esplicitamente richiesto con una supplica che non ebbe risposta.
Il carattere indomito e fiero di Maddalena - definita dagli inquisitori "capricciosa, violenta e senza misura alcuna di prudenza" - la portò, con la piena complicità del G. nel predisporre i dovuti passaporti e gli appoggi logistici ed economici, a organizzare segretamente, anche all'insaputa delle stesse figlie, la sua partenza da Venezia per raggiungere, via Vienna, il consorte a Pera. Il 31 luglio 1775 gli inquisitori, informati dall'ambasciatore a Vienna del suo passaggio, le ordinarono inutilmente l'immediato ritorno.
Raggiunto il G. a Pera il 6 settembre, fu da questo teneramente difesa con una serie di accorate lettere inviate agli inquisitori di Stato. Il G. fu diviso tra l'osservanza delle leggi e il sentimento d'amore. Egli si incolpò totalmente di avere preparato la fuga di Maddalena da Venezia, procurandole gli appositi passaporti di transito. Si rassegnò solo nel maggio 1776 a rimandare la moglie a Venezia, dove ella fu costretta in una sua residenza di campagna, a Este, dal 10 giugno al 12 ott. 1776.
Tra queste vicissitudini personali non facile fu la missione del G. presso la Porta, che viveva uno dei momenti più tragici della sua storia. Battuta dalle truppe russe di terra in Crimea, Bessarabia, sul Danubio, distrutta la sua flotta nella baia di Kortezi (7 ott. 1770, presso Smirne) la Turchia dovette accettare la disastrosa pace di Küciük-Qainarge (21 luglio 1774) con la quale la Russia ebbe il protettorato della Crimea - dove fu concessa l'indipendenza al popolo tataro - e ottenne sbocchi portuali sul Mar Nero e libertà di navigazione su quel mare e nel Mediterraneo. La Russia divenne inoltre la potenza protettrice dei greci ortodossi residenti nell'Impero ottomano, dando inizio alla "questione d'Oriente", che grandi problemi determinò nel secolo XIX.
Il G. fu attento osservatore di tutti i cambiamenti che tali eventi progressivamente avrebbero apportato agli equilibri politici ed economici dell'Europa, su cui relazionò, con dovizia di particolari, al Senato veneziano, spesso allegando ai suoi dispacci una copia tradotta degli editti emanati dalla zarina Caterina II, come i Capitoli riguardanti i nuovi emigranti da stabilirsi nelle imperiali russe possessioni della Crimea (18 marzo 1775).
Il G. dovette inoltre affrontare un caso di spionaggio industriale: giunsero nei paesi ottomani ingenti quantitativi di "teriaca" (una sorta di medicina polivalente) di qualità scadente e a buon mercato, illecitamente prodotta a Trieste da Giovanni Montagna, "speziere" veneziano fuoruscito, con garanzia falsa in lingua turca a nome della farmacia all'insegna della "Testa d'oro". Nel 1777 il Montagna fu colpito dalla Serenissima con sentenza di bando ventennale.
Il G. tornò finalmente a Venezia alla fine del 1779 e il 24 ag. 1780 fu eletto consigliere dogale per il sestiere di Cannaregio, carica che mantenne sino al 16 apr. 1781. Quindi cominciarono per lui rapidi avvicendamenti tra varie e importanti cariche politiche e amministrative, spesso esercitate ad interim o per brevi periodi, fenomeno ormai generalizzato a causa dell'esiguità numerica del patriziato.
Il 3 ott. 1782 fu eletto provveditore in Zecca, il 17 novembre podestà a Padova, incarico da cui fu "dispensato" il 22 dicembre per essere nuovamente rieletto, il 31 dicembre, provveditore in Zecca. Il 9 genn. 1783 fu chiamato come savio alla Mercanzia, dall'11 settembre fu membro del Collegio alle pompe e il 18 settembre fu savio agli Ordini. Il 30 genn. 1784 venne eletto conservatore alle Leggi e dal 1° agosto fu membro del prestigioso Consiglio dei dieci, del quale fece effettivamente parte dal 1° ottobre con la carica interna di revisore alle casse, malgrado l'elezione del 23 settembre come savio agli Ordini. Il 20 febbr. 1785 fu chiamato alla carica di camerlengo di Comun, ma il 1° aprile era nuovamente nel Consiglio dei dieci, con la qualifica interna di camerlengo, e dallo stesso Consiglio fu eletto, il 23 o 28 novembre, deputato alle miniere (sostituito il 14 nov. 1786 da Sebastiano Zen), sebbene il 1° ottobre fosse stato designato provveditore alla Giustizia vecchia e il 26 novembre sovraprovveditore alle Legne.
La frenetica attività di governo non lo distolse dalla sua attività nella massoneria veneziana, perché il suo nome compare tra gli iscritti della loggia di rio Marin, nella parrocchia di S. Simeon Grande, precedentemente tollerata ma infine "scoperta" e fatta chiudere dagli inquisitori di Stato nel maggio 1785. Il 7 genn. 1786 fu eletto inquisitore alle Arti, incarico che svolse con impegno, trasmettendo al Senato interessanti scritture sulla tintoria, sulla produzione della lana - sulla quale aveva redatto nuove "discipline", di concerto con i provveditori di Comun, sottoposte all'approvazione senatoriale il 14 giugno 1786 -, della carta (in particolare riteneva le manifatture friulane le "migliori di tutto lo Stato e però meritevoli di tutta la possibile publica protezione") e della seta. Per quest'ultima il G. auspicava di vedere raccolte in un unico proclama tutte le leggi "che hanno rapporto alla libertà de' lavori, e delle ascrizioni, alle discipline degli operari, ai metodi delle notificazioni e delle imposte, ai privilegi ed alle aggevvolezze ed a prezzi conceduti al Commercio […] non essendo tutte ed a tutti note" (6 apr. 1786).
Il G. morì a Venezia la mattina del 21 sett. 1786, "sorpreso da gagliardo accidente" in presenza e nell'ufficio dell'"interveniente" Zanchi, nella parrocchia di S. Moisè, presso cui si era di certo recato per discutere d'affari.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, c. 101; Avogaria di Comun, Libri d'oro, Matrimoni, VII, reg. 94, c. 122v; VIII, reg. 95, cc. 119v-120; Libri d'oro, Nascite, XIII, reg. 63, c. 153; XIV, reg. 64, cc. 152-153; Indici, G. Giomo, Indice per nome di donna dei matrimoni dei patrizi veneti, I, c. 275; II, c. 149; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, regg. 23, c. 32v; 24, cc. 11v, 12v, 13v, 77; 25, cc. 2v, 63r, 65v, 75r, 90r, 116v, 126v, 140r, 146v, 195r; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 29, c. 53v; 31, cc. 5v, 110r; 32, cc. 1v, 19v, 21v, 136v-137r; Consiglio dei dieci, Misc. codd., regg. 68, Elezioni in Consiglio dei dieci, cc. 58r, 59v, 62r; 69 (23 nov. 1785); Senato, Corti, regg. 139, cc. 177v-178v; 141, cc. 51v-52r, 77v-78r; 144, cc. 114, 199v; 340 (minuta originale della "parte" del 15 dic. 1770); Poste, filza 3 (28 nov. 1772, 19 nov. 1774); Dispacci degli ambasciatori e residenti, Francia, ff. 249-252; Germania, filze 273-276; Costantinopoli, filze 217-220; Archivio proprio Ambasciata veneta in Francia, Ducali, bb. 73 (15 sett. 1764 - 28 dic. 1765); 74 (11 genn. 1766 - 28 marzo 1768); 75 (11 giugno - 10 sett. 1768); Archivio proprio Ambasciata veneta in Germania, Ducali, filze 112 (18-25 nov. 1769); 113 (9 dic. 1769 - 16 febbr. 1771); 114 (9 marzo 1771 - 29 febbr. 1772); 115 (7 marzo 1772 - 27 febbr. 1773); 116 (6 marzo 1773 - 26 febbr. 1774); 117 (5 marzo - 15 ott. 1774); 118 (29 ott. 1774); Bailo a Costantinopoli, Ducali, bb. 40; 261, Carte turche (1775-78); 224-228, Lettere; 300, regg. 8-9, Patenti; 312, reg. 490, Libri cassa (1775-77); Secreta, Materie miste notabili, regg. 185 (settembre 1770); 209 (dispaccio al Senato del 3 luglio 1777); 225 (dispaccio al Senato del 7 dic. 1767); 226 (dispaccio al Senato del 10 ag. 1767); Inquisitori di Stato, bb. 151, cc. 381-382; 452, Lettere del bailo a Costantinopoli agli inquisitori di Stato (18 sett. 1775 - 13 luglio 1776), cc. n.n.; Annotazioni, regg. 534, c. 246; 537, cc. 42v-43r, 79; 538, cc. 87v, 150-151, 170-171v, 174v-175r; Inquisitorato sopra la regolazione alle arti, b. 6, Scritture, cc. nn. (1781-90, ma scritture del 6 aprile, 13 maggio, 14 giugno, 12 agosto, 30 ag. 1786); Provveditori e sopraprovveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 973, c. 265; Archivio privato Gradenigo di rio Marin, bb. 244 (1770-73); 268 (1769); 288 (1775-80); 306 (12 sett. 1777); 319 (dal 1764); 329 (1775-79); 347 (1770-79); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII, 1866 (= 9109), cc. 13-217; Ibid., Biblioteca del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3058, VII, cc. n.n. (1785); R. Predelli, I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia, Regesti, Venezia 1914, XXXII, t. VIII, pp. 201, 205 s.; XXXIII, pp. 210 s.; G. Tabacco, Andrea Tron (1712-85) e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Trieste 1957, pp. 185 s.; Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, pp. 34, 90, 133; Aspetti e momenti della diplomazia veneziana, a cura di M.F. Tiepolo, Venezia 1982, n. 134; R. Targhetta, La massoneria veneta dalle origini alla chiusura delle logge (1729-1785), Udine 1988, pp. 147, 150, 205; V. Hunecke, Il patriziato veneziano alla fine della Repubblica, Roma 1997, pp. 184, 349 s., 352, 367; G. Gullino, Una famiglia nella storia: i Gradenigo, in Grado, Venezia, i Gradenigo (catal.), a cura di M. Zorzi - S. Marcon, [Venezia] 2001, pp. 149, 152 s.
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