GIUSIANA, Bartolomeo Giuseppe
Nacque nel 1671, presumibilmente a Torino, da Giuseppe Maria e Anna Benedetta Torrazza.
Il G. apparteneva al ramo saluzzese di una famiglia originaria della Valle Maira che aveva già dato diversi piccoli funzionari all'amministrazione sabauda. Giuseppe Maria, partito come avvocato dei poveri, era poi divenuto senatore di Piemonte nel 1665 e avvocato fiscale generale nel 1676.
I primi passi della carriera del G. non sono noti; a quarant'anni ricopriva la carica di avvocato fiscale generale e in tale ruolo fu uno dei giuristi che, dopo la battaglia di Torino (1706), Vittorio Amedeo II incaricò della formulazione delle nuove Regie Costituzioni.
Intorno al 1710 risale un primo parere sulla riforma legislativa, in cui il G. riconduceva la crisi del sistema giudiziario piemontese all'inadeguatezza delle regole processuali, consigliando al sovrano la promulgazione di nuove norme che rendessero il processo più agile e rapido. A tale scopo il G. inviò a Vittorio Amedeo II una memoria sulle norme di diritto processuale in vigore negli Stati sabaudi e nel Ducato di Milano.
Tra il 1710 e il 1720 il G. contribuì così all'ampia raccolta di materiale legislativo, con i suoi commenti sopra antichi decreti riguardanti i reati di bestemmia, vagabondaggio, porto d'armi abusivo, falsità, omicidio, grassazione, ricatto, conio di monete false.
Nel suo Scritto, che risale al secondo decennio del Settecento, il G. espose in dettaglio le procedure su "abusi che corrono nelle cause criminali circa la sompzione delle informazioni", "spedizione delle cause criminali", "sentenze criminali", abusi "circa le capture de banditi", la "restituzione de rei condannati a far le difese" e su imputazioni lesive della morale e dell'ordine pubblico: "donne inoneste", "libelli, cartelli e pasquinate". Egli lavorava in stretto contatto con l'avvocato generale Spirito Giuseppe Riccardi, uno dei principali collaboratori del sovrano, del quale condivise la scelta di fare delle Regie Costituzioni una pura e semplice consolidazione degli editti sabaudi preesistenti e non un nuovo testo legislativo. Nel 1723, quando ormai l'emanazione del testo era imminente, il G. fu incaricato, insieme con il giurista Giovanni Paolo Brucco, di mettere a punto gli ultimi dettagli relativi alle "materie criminali contenute nel libro IV". Le Regie Costituzioni furono pubblicate il 20 febbr. 1723. In novembre, quale segno di riconoscenza del sovrano per il lavoro svolto, il G. fu creato senatore di Piemonte (con uno stipendio di 1200 lire l'anno): la nomina veniva ricondotta proprio alla "particolare sapienza" del G. nelle materie criminali.
Il lavoro sulle Regie Costituzioni, peraltro, non era finito: esse furono subito sottoposte a un minuzioso lavoro di revisione, che portò a una nuova edizione, il 29 luglio 1729. Il G. fu incaricato di esaminare le questioni relative alle "materie criminali": di tale lavoro restano soprattutto una serie di "additioni" inviate al sovrano nel dicembre 1727.
L'attività del G. come senatore di Piemonte, come emerge dalla corrispondenza e dalle relazioni oggi conservate presso l'Archivio di Stato di Torino, toccò questioni di natura molto diversa: da procedure contro omicidi, furti e giochi d'azzardo a giudizi di idoneità in occasione della nomina di funzionari dello Stato; da sentenze su scarcerazioni ed evasioni a valutazioni sulla regolarità di alcuni appalti.
Tra i tanti casi di cui si occupò, risulta curioso quello di Ercole Milanesio, che il G. descrisse in una lettera scritta a Torino il 18 dic. 1724: accusato di omicidio e di minaccia a pubblici ufficiali, Milanesio era stato rinchiuso nelle carceri senatorie torinesi prima di essere trasferito nelle prigioni di Ivrea, dove, a dispetto dei controlli, era solito praticare sortilegi: un caso, dunque, di presunta magia.
Da due lettere (del 15 maggio 1725 e del 16 sett. 1733) si evince inoltre che il G. si occupò delle inadempienze e dei ritardi nei cantieri allestiti in quegli anni presso le fortificazioni di Casale, Valenza e Alessandria. Ad Alessandria si pronunciò, nel 1733, per far graziare quanti avevano disertato la cerimonia della processione in albis, come avrebbe ricordato puntualmente, in un'altra sua lettera, lamentandosi di essersi sobbarcato un viaggio senza essere stato debitamente risarcito di "cibaria e vettura".
Pur essendo stata riconosciuta nobile sin dal 1647, la famiglia del G. era rimasta esterna alla feudalità sabauda: una situazione comune a molte famiglie piemontesi (soprattutto del Piemonte meridionale). La politica nobiliare di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III cercò, invece, di uniformare le diverse nobiltà del sistema degli onori sabaudo attraverso una massiccia vendita di feudi. A essa partecipò anche il G. che, con decreti rispettivamente del 13 novembre e 14 dic. 1733, fu infeudato di Primeglio e Schierano, nell'Astigiano, con il titolo signorile per la linea maschile.
A coronamento della carriera, il 22 giugno 1744 il G. fu promosso presidente del Senato (con uno stipendio di 3000 lire annue), carica che detenne sino alla morte, avvenuta a Torino il 19 dic. 1750.
Sposatosi con Rosa Giacinta Della Rovere di Villanova d'Asti, morta nel 1746, il G. ne aveva avuto cinque figli.
Erede fu Pietro Lorenzo (morto nel 1782), anch'egli avvocato; fu decurione di seconda classe nel Consiglio di Torino dal 1752, riuscendo a elevare nel 1772 il proprio titolo feudale in comitale. Fratelli minori di questo furono: Filippo Gaetano Maria (morto nel 1771), capitano d'artiglieria, Ignazio Nicola, Giorgio (morto nel 1801), generale dei teatini, ed Elisabetta, sposatasi con il senatore Orazio Amedeo D'Aste di Somano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Camera dei conti, Patenti controllo Finanze, 1723, reg. 3, f. 117; 1744, reg. 18, f. 123; 1733, reg. 10, f. 177; Ufficio di insinuazione di Torino, 1750, l. IV, cc. 1136-1140; l. VI, cc. 579-580; Corte, Lettere di particolari, "G", m. 35; Ibid., Materie giuridiche, Regie Costituzioni, 5, f. 7 (s.d., ma 1715 circa); 22, f. 5 (s.d., ma 1723); 25, f. 16 (1727); Ibid., Materie criminali, m. 25, f. 1 (1723); m. 28, f. 2 (1726); P.G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti, I, Torino 1798, p. 535; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, II, p. 185; M.E. Viora, Le costituzioni piemontesi, Torino 1928, pp. 44, 185, 205, 210; G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena 1957, p. 347; M. Grosso - M.F. Mellano, Spunti e profili nella storia del Piemonte nei secoli XVII e XVIII, Torino 1961, pp. 125, 127; E. Genta, Senato e senatori di Piemonte nel secolo XVIII, Torino 1983, pp. 16, 22 s., 27, 31, 34, 75, 113, 243, 340; M.T. Silvestrini, La politica della religione. Il governo ecclesiastico nello Stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze 1997, pp. 45, 208, 255; Roma, Bibl. dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Manno, Il patriziato subalpino, vol. GAU-GORG (dattiloscritto), XII, p. 415; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, III, p. 491.