FONTEBUONI (Fontibuoni, Fonte Boa), Bartolomeo
Figlio di Piero di Stagio, nacque probabilmente a Firenze attorno al 1576-77, come si ricava dalle numerose e concordi indicazioni estratte dai registri gesuitici.
Testo fondamentale per ricostruirne le vicende biografiche è il Baldinucci (1688) che si basò anche sulle memorie tramandate da suo padre, Giovanni, il quale aveva frequentato a Firenze la medesima cerchia del F.; queste informazioni, nella sostanza, trovano riscontro nei dati documentari finora rinvenuti: i registri dell'Accademia del disegno, gli inventari della Compagnia di Gesù e un gruppo di lettere autografe (Firenze, Bibl. Riccardiana), segnalato dal Noack (1915).
Fratello minore di Anastagio, anch'egli pittore, il F. sembra seguirne le tracce fin dalla più giovane età. Stando a quanto riferisce il Baldinucci, diciottenne, avrebbe dipinto due angeli che fiancheggiavano un'immagine marmorea della Vergine, disposta sul Canto degli Albizzi, di fronte a S. Pier Maggiore a Firenze. Posteriore solo di qualche anno sembra essere la sua partecipazione alle attività della Accademia del disegno, dove fu ammesso il 7 genn. 1596 (Colnaghi, 1928). Un inventario dei beni dell'Accademia (Wazbinsky, 1987), databile tra il 1592 e il 1595, ricorda come sua opera un'allegoria del Decoro. La tela, come si evince dal medesimo inventario, faceva parte di una serie a soggetto didascalico nella quale comparivano lo Scorcio di N. Ferrucci, allievo di D. Cresti (il Passignano), e il Colorito di F. Tarchiani, studente di G. Pagani.
Ai medesimi anni risale la prima iniziazione religiosa del F. (Baldinucci, 1688) presso quell'apostolo laico che fu Ippolito Galantini - riformatore di svariate confraternite e, in seguito (1602), fondatore della Congregazione di S. Francesco della Dottrina cristiana - nonché la frequentazione della chiesa gesuita di S. Giovannino, dove, tra l'altro, lavorava il fratello. La familiarità col Galantini e con la sua Congregazione è confermata dalle lettere del F., che, a molti anni di distanza (1615), continua a chiedere informazioni su colui che considera un padre spirituale e su Giovanni Nigetti, artista suo coetaneo nonché seguace del Galantini.
Sulla base di questi dati una formazione del tutto simile a quella del fratello maggiore appare molto probabile, anche se al momento solo labili indizi possono indicarne la presenza nella bottega del Cresti: l'accostamento del suo nome a quello di Nicodemo Ferrucci negli inventari dell'Accademia del disegno e la richiesta di notizie del Cresti stesso e del Nigetti (nello studio del Cresti dal 1593 al 1601) che emerge dalle lettere della maturità. In ogni caso la familiarità con il coetaneo Cristofano Allori indica l'inserimento in quella cerchia di giovani "riformati" che esordi a Firenze nei primissimi anni del secolo XVII.
Il 9 apr. 1600 il F. entrò nel noviziato gesuita di S. Andrea al Quirinale a Roma. La documentazione archivistica ne attesta età, stato di salute e professione "Bartholomeus Fontibonij Florentinus, annorum 23, vires bonae, pictor" (Rom. 54, f. 26r) ed enumera i modestissimi beni che portava con sé al momento di entrare nella Compagnia, dove manterrà sempre lo stato laicale.
Non è dato conoscere l'attività del F. nel corso dei brevi anni romani. Il Baldinucci lo ricorda all'opera - ma di questi lavori non rimane traccia - nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale, di cui "abbiamo notizia per gli scritti di Astasio suo fratello" (1688, p. 337). Non si può escludere che il F. abbia invece lavorato nella prima chiesa del noviziato gesuita di S. Andrea al Quirinale e, in via del tutto ipotetica, non sembra improbabile un suo intervento accanto al fratello nella decorazione di S. Prisca (1599-1600), dove si rintracciano mani diverse. Va comunque sottolineato che i primi due anni di noviziato erano dedicati in maniera precipua alla formazione religiosa e spirituale.
A partire dalla fine del 1605 il nome del F. emerge dai cataloghi gesuiti della provincia di Cochin in India, dove era giunto passando dal Portogallo e dove rimase per ventidue anni, fino alla fine dei suoi giorni; va quindi escluso il suo intervento a fianco del fratello nella decorazione del casino mediceo di S. Marco (1621-23). Per sei anni, dal 1605 al 1611 circa, come afferma lo stesso F., fu al seguito di Ventaka II, sovrano del regno di Vijayanagar dal 1585-86 al 1613-14; nel 1608 risiedette a Chandragiá (Andhra l'anno seguente è ricordato nel collegio di S. Tommaso, vicino Madras, e nel 1610 "in residentia velurensi cum rege Bisnagenti", a Vellore (Tamil Nadu). L'esperienza presso il re di Vijayanagar non dovette essere delle più felici. Nel 1609 scrisse: "lo sto ancor con questo Re gentile facendo sempre alcuna cosa, posto che non possiamo convertire nessuno di questi inimici di Dio" (Bibl. Riccardiana, ms. 2712, c. 133). Nel 1615 tracciò un amaro consuntivo della sua attività: "Sono quattro anni che mi partii dalla corte del re di Bisnaga, dove ero stato sei anni, il qual Re sono [sic] che in cambio di dare voliono che se li dia a loro che tali sono questa barbera gente, si ché non avevamo che aspettare o che mi dessi qualche presente..." (ibid., cc. 134 s.).
Nel 1611 si trovava a Ceylon, dove allora esistevano sette residenze gesuite. Se ne perdono le tracce per qualche anno, ma nel 1614 risiedeva nella casa professa di Goa, dove il 26 aprile dell'anno successivo pronunziò i voti definitivi, diventando così "coadiutor formatus". A partire dal 1617 era di nuovo nell'India meridionale e si spostava tra Cochin, Cranganore (Kerala) e la costa del Malabar: ne sono prova alcune lettere spedite da quelle località risalenti al biennio 1618-19 (tra cui una riportata dal Baldinucci, 1688) nonché la sua presenza nel Collegio di Cochin nei registri gesuitici del 1619. Il 12 dicembre di quell'anno scrisse al fratello Olivieri "da una fortezza che si chiama Caranganor, dove al presente mi truovo e già duanni" (Bibl. Riccardiana, ms. 2712, c. 140).
Nuova eclissi documentaria, ma, ancora una volta, la corrispondenza epistolare ne attesta la presenza a Goa nel biennio 1624-25. L'allusione agli interessi artistici del gran mogol, da identificarsi con Giahānghir (1605-1627), ricordato come munifico estimatore dell'arte della medaglia (lettera del 2 nov. 1624), fanno sospettare la conoscenza di prima mano di quella corte con la quale i gesuiti avevano da tempo stabilito contatti.
Al momento nulla rimane o forse nessun pezzo è stato identificato e connesso con qualche fondamento all'opera di Fontebuoni. Dalle lettere inviate dall'India è evidente che continuava a dipingere. Pressanti sono le richieste di materiali "che mi mandi a comprare tre libre di lacha della più fine che si truovi"; ibid., c. 143) e di disegni ("che mi mandi alcuna cosa di sua mano, alcuno disegno ben fatto ... e, se possibile [Anastagio] mandasse alcuni ripartimenti a grottesche e fregi. Poiché se a egli non serve, può servire molto a me ..."; ibid., c. 141), né mai sopita è la curiosità sulla situazione artistica a Firenze. Il Baldinucci (1688, p. 337) enumera le sue opere "in tutti i luoghi principali de' Portoghesi [in India]", notizia certamente fondata. Sappiamo dal pittore stesso che nel 1615 stava dipingendo ventuno tavole da collocarsi nel soffitto del Bom Jesus di Goa, che nel 1619 faceva "alcune cose per queste chiese dove al presente mi trovo [Cochin e dintorni]" e che nel 1624 a Goa era "ben occupato nell'arte sua" (Bibl. Riccardiana, ms. 2712, c. 141).
In una lettera del 1624 il F. informò i parenti che la Compagnia aveva deciso di inviarlo in Etiopia "o dal prete Gianni", dove "non sarebbe poca gloria del Signor di dar occasione con la mia arte di far gran concetto della fede Romana a quelle genti" (ibid.). Missione che venne rinviata, forse anche a causa degli impegni professionali che lo trattenevano a Goa, dove rimase ancora un anno. Nel 1627 nei registri gesuiti accanto al nome del pittore e di altri confratelli appare l'indicazione "in C ataium missi" e "in regno ponentis"; si tratta forse dello Shanxi (Cina occidentale), dove nel 1625 a Xian una missione gesuita aveva rinvenuto la famosa stele dell'VIII secolo che attestava l'esistenza di una comunità nestoriana.
Fu questo l'ultimo viaggio del F. che morì in quello stesso anno in una residenza gesuita del Bengala, probabilmente, come scrive il Baldinucci, in cammino verso il Regno di ponente.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 2712, cc. 131-143; Roma, Archivurn histor. Societatis Iesu, Goa, 24 II, ff. 336v n. 134, 344r, 346v, 350 n. 134, 356r, 360r, 394r, 401v, 426r, 433v, 438r n. 31, 439, 442r, 444r; 25, f. 2r n. 29; 29, ff. 4r, 7v, 21r, 23v, 28r; Lus. 26, f. 124; Rom. 54, ff. 26r n. 56, 93r; 172, f 36v n. 205; Rist. Soc. 43, E 61v; 44, f 474; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno (1688), IV, Firenze 1845, pp. 336-342; F. Tolomei, Guida di Pistoia..., Pistoia 1821, pp. 165 s.; F. Noack, in U. Mieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, p. 192; D.E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters..., London 1928, p. 101; C. Iliem, Florentiner Zeichner des Frühbarock, München 1977, pp. 23, 320 s.; I. Fejér, Defuncti primi saeculi Societatis Iesu, I, 1540-1640, II, Roma 1982, p. 81; Z. Wazbinsky, L'Accademia medicea del disegno a Firenze nel Cinquecento, II, Firenze 1987, p. 495.