FONTANA, Bartolomeo
Nacque a Venezia intorno al 1510 da Luigi, commerciante. Gran parte delle notizie sulla sua vita ci sono giunte grazie a un fascicolo conservato nell'archivio del S. Uffizio di Venezia, dal quale veniamo a sapere che il F. visse nella città natale, esercitando la professione di maestro d'abaco e di scrittura nella contrada di S. Severo.
Egli stesso, nel corso di un interrogatorio, accenna a un viaggio in Galizia compiuto a "ventotto anni", ossia intorno al 1538. E lo stesso viaggio il cui resoconto verrà pubblicato a Venezia nel 1550, per i tipi di Agostino Bindoni, con il titolo Itinerario, overo Viaggio da Venezia a Roma e poi da Roma fino a San Giacomo in Galizia, resoconto nel quale non compaiono gli episodi fatti oggetto di inquisizione durante il processo.
L'apparente contrasto tra il racconto di un devoto pellegrinaggio a Santiago de Conipostela e le contestazioni intercorse negli interrogatori di un processo per eresia si lascia risolvere non appena si legga e analizzi attentamente l'Itinerario.
Se, infatti, stando alle intenzioni espresse nella lettera dedicatoria a V. Quirino, l'opera non vuol essere altro che una delle tante guide a una meta di pellegrinaggio famosa sin dal Medioevo, Santiago de Compostela in Galizia, per la forma letteraria e per la insistita "curiosità" con cui l'autore si sofferma intorno a luoghi sconosciuti, divagando sui loro antefatti sia storici sia mitologici e sui loro nessi con la tradizione letteraria, l'Itinerario appartiene a pieno titolo a un'epoca successiva, com'è quella dell'umanesimo di Erasmo.
L'opera, appositamente scritta in volgare, ha come sua espressa intenzione quella di giovare ai pellegrini che "per ignoranza" fossero costretti a vagare, allungando il cammino - e in questo segue esattamente lo schema delle antiche guide di pellegrinaggio Jacopeo, che annotavano accuratamente le distanze fra i luoghi e segnalavano gli inconvenienti di natura pratica cui si poteva andare incontro -, ma di fatto diviene il riscontro di un viaggio cinquecentesco arricchito da una forma letteraria sconosciuta alle versioni precedenti di questo stesso genere, in quanto è il frutto di una nuova mentalità: quella stessa mentalità che spinge il pellegrino F. a osservare con uno sguardo privo di pregiudizi le "genti germane" per poi concludere che i luterani "non danno noia ai Peregrini, anzi li sovengono e albergano in casa loro e in boni hospitali" (p. 18): un'afferinazione che verrà ribadita nel corso del processo.
È del 1568 l'evento di rilievo della vita del F., cioè l'incriminazione e il processo per eresia, intentatogli dal S. Uffizio. Venne infatti accusato di avere in casa libri luterani, di impedire alla moglie e ai figli di confessarsi e comunicarsi, di negare l'esistenza del purgatorio e di affermare che Mosè era un mago.
Nel processo vennero anche coinvolti due maestri d'abaco, Alvise Leoni e Andrea Giusti, insieme con Prospero Danza, libraio, e con Francesco "il miniatore", tutti accusati di riunirsi a discutere di temi eterodossi in casa del F., probabilmente sotto un ritratto di Erasmo, rinvenuto durante una perquisizione.
Di certo in casa del F. fu ritrovato, insieme con le opere di G. Boccaccio e di L. Ariosto, un testo "eretico", probabilmente di Erasmo, oltre al ritratto dello stesso, che costituirono gli elementi a favore dell'accusa di eresia contro il F., che era stato messo sull'avviso ben due volte: la prima nel 1567, quando era venuto a sapere che "Erasmo era eretico", e la seconda quando un prete gli aveva detto che l'immagine del ritratto era la figura di Erasmo ed era quindi proibito tenerla.
Nel corso della sua difesa il F., oltre ad affermare di aver commesso un poco credibile errore in entrambi i casi, accennò a un complotto di famiglia, dal quale sarebbero scaturiti i capi d'accusa del processo, ordito dalla moglie e dal fratello di lei, Piero Mareggia, con il quale vi era un antico contenzioso in atto, tanto che già una volta il F. aveva scontato una pena nella prigione di Rialto per avere ferito un altro cognato, Andrea.Al termine del processo il F. venne condannato a sospendere l'insegnamento, a confessarsi e a comunicarsi quattro volte l'anno, a digiunare il venerdì e a dire la corona della Madonna il sabato. Ma già nel 1569 ottenne il permesso di riprendere la sua professione. Una clemenza forse spiegabile in base ai buoni rapporti tra l'accusato e la curia veneziana.
A partire dal termine del processo nulla si sa della vita e della data di morte del Fontana.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, S. Uffizio (Savi all'eresia), b. 23, Contra Bartholomeum F. (1568), Aloyseum quondam Petri et Franciscum quondarn Antonii miniatore; G. Alberici, Catalogo breve de gl'illustri et famosi scrittori venetiani, Bologna 1605, p. 14; M. Petrocchi, Una "devotio" moderna nel '400 italiano?..., Firenze 1961, pp. 81-100; P. Caucci von Saucken, Il cammino italiano a Compostella, Perugia 1984, p. 113; A. Fucelli, L'itinerario di B. F., Perugia 1987; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, ad Indicem.