FERRATINI, Bartolomeo
Nacque ad Amelia (prov. di Temi) da nobile famiglia, con ogni probabilità intorno al 1475. Addottoratosi in giurisprudenza a Roma, scelse lo stato ecclesiastico, ottenendo da papa Giulio II un canonicato inS. Pietro, la nomina ad assessore dei commissari delle decime e poi quella a collettore apostolico. Quando lo stesso pontefice concepì l'idea di ricostruire la basilica di S. Pietro, decidendo di affidarne il progetto a D. Bramante, affidò al F. la responsabilità dell'esecuzione del nuovo edificio.
La responsabilità della Fabbrica di S. Pietro, che sarà attribuita a membri della sua famiglia per circa un secolo, procurò al F. nel sec. XIX molti giudizi critici. L'affrettata demolizione dell'antica basilica, con la contemporanea distruzione di insigni monumenti medioevali, parve, ad esempio, a L. Pungileoni (1836) imputabile all'eccessiva libertà concessa dal F. ai tre architetti preposti a realizzare nel concreto le direttive del Bramante. Gli studi più recenti hanno però dimostrato l'intesa e l'effettiva responsabilità del Bramante e di Giulio II nell'erezione di S. Pietro, ed al F. oggi si può forse imputare solo un eccesso di zelo nell'assecondare la fretta del papa e dei progettista.
La morte di Giulio I I nel 1513 riportò il F. ad incarichi di natura politica: Leone X gli affidò la reggenza della Cancelleria apostolica e, secondo alcune fonti, la Tesoreria. Inoltre egli cominciò ad esercitare responsabilità di governo nelle province, responsabilità che divennero di grande importanza con l'avvento al soglio pontificio di Clemente VII, che ebbe con il F. un rapporto di particolare fiducia.
Nel periodo 1520-25 comunque il F. godeva già di un'ottima posizione sociale ed economica, a testimonianza della quale resta ancora oggi il palazzo che si fece costruire in quegli anni ad Amelia da Antonio da Sangallo il Giovane per "comodità di sé e beneficio degli amici". Nel progetto del Sangallo l'opera risulta ancora più imponente dell'effettiva realizzazione; comunque recò all'architetto "fama" et utile non mediocre" (Vasari).
All'epoca della battaglia di Pavia il F. era già da qualche tempo vicelegato dell'Emilia e governatore di Piacenza. Nel marzo 1525 ricevette da Roma l'ordine di fortificare la città per porla al riparo dai saccheggi.
Sulla base del progetto dell'architetto militare Pietro Francesco da Viterbo, mandatogli dal papa, il F. cominciò a far costruire i bastioni in terra e legno: la spesa era pagata parte dalla Camera ed il resto dai cittadini e dal contado, in ragione di "tanto per cavallo de taxa" (Poggiali, VIII, p. 355). I Piacentini non desideravano le nuove mura, reputandole una spesa eccessiva in rapporto alla dubbia utilità, ma il F. vi si dedicò con la stessa lena con la quale si era applicato alla Fabbrica di S. Pietro ed ebbe modo di farsi la fama di "homo de somma integrità, amator dil Popolo et in fare giustizia rigidissimo" (ibid.), come provò a sue spese tal prete Castellino da Vigolzone, da lui condannato come falsario e giustiziato col rogo il 17dic. 1525. Nel 1526, mentre continuavano i lavori delle fortificazioni, il F. intraprese anche importanti lavori stradali. Crebbero le proteste, specie dei contadini, che non riuscivano a soddisfare insieme gli oneri loro imposti dai padroni e le corvées. Il F. fece presente al papa la situazione, ottenendo il breve del 20 marzo 1526, valido in tutto il territorio della Chiesa, con il quale a tutti coloro che godevano di giurisdizione separata veniva tolta la possibilità di gravare di pesi i loro sottoposti, avocando le controversie in proposito al magistrato principale delle città.
Tra il luglio e l'ottobre 1526 Piacenza fu liberata dal peso delle truppe pontificie che vi avevano stanziato, recando più danno che protezione. Già in novembre però scese in Italia un esercito di fanti tedeschi, che andò ad accamparsi nelle vicinanze.
Il F. disponeva solo di 300 fanti e dei 100 cavalleggeri di P. Luzzaschi e le fortificazioni non erano pronte; tuttavia si dispose ad affrontare l'assedio. Divise la città in cinque quartieri, affidati ad altrettanti capitani, scelti al di fuori delle famiglie tradizionalmente rivali degli Scotti e Fontanesi (di parte guelfa) ed Anguissola e Landesi (di parte ghibellina); ordinò pure qualche coraggiosa sortita. Il Guicciardini, allora commissario generale del papa, si astenne dall'invio di rinforzi con l'intenzione di attirare all'assedio di Piacenza i lanzichenecchi, distogliendoli da un'ulteriore penetrazione nei domini della Chiesa; chiese anzi al F. di raccogliere in Piacenza un sussidio da inviare al papa per le necessità della difesa. Il F. con molta riluttanza si accinse a raccogliere il denaro attraverso una riscossione anticipata dei dazi, che avvenne però quando l'andamento della guerra interruppe le comunicazioni col commissario generale, che non poté quindi mai riscuotere la somma.
L'assedio iniziò l'ultimo giorno di dicembre e vide le truppe del duca Carlo di Borbone devastare le campagne ma non assalire in forze la città. Nel febbraio 1527 mentre il F. temeva l'arrivo dell'artiglieria del duca di Ferrara Alfonso e gli stessi difensori si abbandonavano a prepotenze di ogni genere sulla popolazione, gli assedianti si ammutinarono per mancanza di paga, inducendo il loro capo a dirigerli, sperando nel saccheggio, verso Roma. Partiti i lanzichenecchi, i Piacentini si sollevarono contro le milizie pontificie, ma il F. non perse il controllo della situazione, restaurando la disciplina tra i soldati.
Il 6 giugno il papa si arrese a Filiberto d'Orange. Tra le condizioni della capitolazione vi era anche la consegna di Piacenza agli imperiali. L'ordine di consegna, datato lo stesso giorno, arrivò in Piacenza accompagnato da segrete istruzioni di Clemente VII al F. di non obbedire. E di fatto il F. non obbedì, continuando anzi i lavori di fortificazione, sicché Piacenza restò alla Chiesa. Nel 1528 questi lavori erano ormai quasi al termine, ma la città era stremata dalla guerra, dalle malattie e dalle spese. Fortunatamente, la Camera pagò quasi tutto l'ammontare per i bastioni in muratura, permettendo alla città di acquistare pane per i suoi abitanti. Nel 1529 il F., che nella diocesi di Piacenza godeva del canonicato di S. Giorgio. di Bilegno, lasciò il governo della città ad A. Cazia, richiamato da Clemente VII.
In nome del papa, il F. andò ad accogliere nel 1530 presso Piacenza Carlo V diretto a Bologna per l'incoronazione, assistendo al suo giuramento. Il 9 nov. 1531 Clemente VII lo nominò vescovo di Sora, ma il F. non si occupò mai di quella diocesi, poiché già nel gennaio 1532 entrò in Perugia come vicelegato della città e dell'Umbria, accompagnato da 200 fanti e da alcuni cavalieri di scorta e provvisto di ben 1.800 ducati d'oro di Camera.
Appena preso possesso della carica, il F. bandì da Perugia Rodolfo e Giovanpaolo Baglioni, dichiarandoli ribelli alla Chiesa e confiscando le loro proprietà e le loro artiglierie. Quindi, restaurata così l'autorità pontificia, ottenne dal papa di sollevare la città dalla tassa di 1 ducato per famiglia imposta per la guerra contro i Turchi in Ungheria, di eleggere due magistrati per le Acque e la Pesca e di ripristinare gli editti sugli ornamenti delle donne.
Nel 1533 il F. accompagnò Clemente VII a Bologna, nello stesso anno ottenne la carica di prefetto del palazzo apostolico, succedendo a G. Visconti. Nell'autunno 1533 segui Clemente VII a Marsiglia, dove il papa s'incontrò con Francesco I e celebrò il matrimonio tra Enrico d'Orleans e Caterina de' Medici. Il F. presiedette alla preparazione delle nozze e del relativo banchetto.
Tornato a Roma, il F. lasciò il governo di Perugia al vescovo di Terracina C. Filonardi e la diocesi di Sora al cardinale A. Farnese. Il 14 genn. 1534 ottenne il vescovato di Chiusi. Morì nell'estate dello stesso anno 1534.
Fonti e Bibl.: F. Guicciardini, Carteggio 1ºdic. 1526-15 genn. 1527, a cura di P. G. Ricci, Roma 1965, in Fonti per la storia d'Italia, XI, pp. 118 s., 153, 160 s., 176, 196-198;Id., Storia d'Italia, a cura di E. Scarano, Torino 1971, pp. 1805, 1868;G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori scultori et architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, V, a cura di R. Bettarini-P. Barocchi, Firenze 1984, p.32;F. Ughelli, Italia sacra, III, Venezia 1718, col. 649;F. Tuzii, Mem. istoriche massimamente sacre della città di Sora, Roma 1727, p. 127; C.Poggiali, Mem. storiche di Piacenza, VIII, Piacenza 1760, pp. 355 s., 360-379; IX, ibid. 1761, p. 6;F. M. Renazzi, Notizie storiche degli antichi vicedomini del Patriarchio Lateranense..., Roma 1784, pp. 64-68;L. Pungileoni, Memoria intorno alla vita e alle opere di Donato o Donnino Bramante, Roma 1836, p. 35; C. Branca, Mem. storiche della città di Sora, Napoli 1847, p. 149;F. Liverani, Le catacombe e le antichità cristiane di Chiusi, Siena 1872, p. 244;F. Giarelli, Storia di Piacenza, I, Piacenza 1889, pp. 334 s.; L. Fumi, Inventario e spoglio dei registri della Tesoreria apostolica di Perugia e Umbria del R. Archivio di Stato in Roma, Perugia 1901, p. 329;L. v. Pastor, Storia dei papi , III, Roma 1959, p. 889;IV, ibid. 1956, p. 277;P. Pellini, Della historia di Perugia, III, Perugia 1970, in Fonti per la storia dell'Umbria, VIII, pp. 524 s., 527, 537;G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, pp. 171, 302.