TRABALLESI, Bartolomeo
e Francesco
– Figli entrambi del cialdonaio (fabbricante di cialde), sensale e venditore di terrecotte Mariano e di una donna di nome Margherita, Bartolomeo nacque il 13 marzo 1536 (stile comune: Firenze, Archivio dell’Opera del duomo, Battezzati maschi in S. Giovanni, 10, c. 55v; Nesi, in c.d.s.) e Francesco il 12 dicembre 1541 (Nesi, 2007, p. 263). Ebbero altri fratelli che si dedicarono alla pittura e alla scultura, all’interno dei conventi domenicani nei quali presero i voti, essendo la famiglia molto legata agli ambienti della Riforma savonaroliana che nel Cinquecento s’irradiò a Firenze dal convento di S. Marco. Tra di essi si distinse Felice, menzionato anche da Filippo Baldinucci perché «in sua gioventù esercitò l’arte della scultura» e «gettava di bronzo immagini di Gesù Crocifisso ed altre figure, e fu il primo maestro che avesse Antonio Susini» (Baldinucci, 1681-1728, 1846, pp. 8 s.). Bartolomeo e Francesco mantennero lo status laicale e, dopo un discepolato comune presso Michele Tosini, aprirono la loro bottega nello stesso luogo dove il padre svolgeva la propria attività, in piazza dell’Olio a Firenze, dietro l’antico Palazzo Vescovile, al cosiddetto Canto alla Paglia (Nesi, 2007, p. 264).
Bartolomeo, che le fonti e i documenti dicono gobbo, s’immatricolò all’arte dei medici e speziali il 23 aprile 1560, e Francesco fece lo stesso il 17 agosto 1567 (Colnaghi, 1928), mentre l’iscrizione all’Accademia del disegno avvenne a poca distanza l’uno dall’altro, nel 1571 il primo e l’anno seguente l’altro (Zangheri, 2000, p. 320). Ma entrambi avevano già da tempo iniziato a lavorare; Francesco, ad esempio, nel 1563 dipinse insieme al giovane collega Jacopo Coppi il cataletto della Confraternita dell’Arcangelo Raffaele, alla quale entrambi partecipavano (Nesi, 2004, p. 17). Le prime tracce dell’attività di Bartolomeo si possono invece forse scorgere a una data molto precoce nella Madonna con il Bambino, santi e il donatore Leonardo Buonafede, uscita dalla bottega di Tosini verso il 1544 per la chiesa dei Ss. Jacopo e Lorenzo in via Ghibellina a Firenze, e oggi nel Museo di S. Salvi. Il modo di farvi le mani – evidente nel s. Francesco e nel donatore –, con le dita accentuatamente lunghe, fino a lasciarne seguire il profilo anche sul dorso del metacarpo, come pure la stesura lucida e smaltata delle epidermidi di alcuni personaggi, sarebbero stati tipici della sua pittura (Nesi, 2008, pp. 101 s.). Nel 1563 Bartolomeo eseguì una grande tela con la Madonna e santi per la Compagnia dei Poveri di Gesù a Lastra a Signa (Firenze), oggi esposta nel locale palazzo del Comune (Romagnoli, 2001, pp. 88 s.), sulla base della quale è stato possibile riferirgli una serie di Madonne passate sul mercato con le attribuzioni più disparate (Nesi, 2008, pp. 99 s.). Nel 1564 sempre relativamente a Bartolomeo sono documentati una serie di tondi con diciotto Busti di santi e beati (alcuni dei quali rifatti nel XVIII secolo), due Madonne con novizi domenicani e un’Orazione nell’orto a olio su muro nel corridoio del dormitorio dei novizi nel convento di S. Marco a Firenze (cfr. Lecchini Giovannoni, 1984, p. 434, che però riferisce le attestazioni archivistiche alla sola Orazione nell’orto, e Nesi, 2003-2004, pp. 62 s.). Alla produzione giovanile di Francesco è invece probabilmente da ricondurre una piccola Annunciazione con il donatore in collezione privata, che riprende il modello dell’affresco miracoloso venerato nella basilica-santuario dei Servi di Maria a Firenze (Nesi, 2010).
Coinvolti probabilmente tra i collaboratori di Tosini nell’apparato funebre per Michelangelo in S. Lorenzo nel 1564, lo furono invece certamente l’anno successivo per gli apparati nuziali del principe Francesco de’ Medici con Giovanna d’Austria, e nei taccuini dell’autore del progetto iconografico, Vincenzio Borghini, Bartolomeo, cui viene affidato un quadro con uno stemma, è chiamato «Bartolomeo gobbo» o «Bartolomeo di Mariano gobbo», mentre Francesco, che figura semplicemente tra i garzoni, è detto «Francesco di Mariano del Cialdonaio» (Ginori Conti, 1936, pp. 142, 145). Verso il 1566 Bartolomeo eseguì l’Annunciazione (ma il titolo più appropriato sarebbe Missione dell’Arcangelo Gabriele) per l’altare della famiglia Carloni in Ognissanti a Firenze, seguendo un tema iconografico diffuso dalle Meditationes vitae Christi attribuite a s. Bonaventura da Bagnoregio (Nesi, 2008, p. 98). Al dipinto s’ispirò qualche anno dopo (1570-71) Francesco per l’Annunciazione dell’altare maggiore della Compagnia dei Cocchieri alla SS. Annunziata (oggi conservata all’interno del convento; cfr. Vertova, 1992, p. 288; Nesi, 2007, p. 265), contesto decorativo al quale prese parte anche Bartolomeo, eseguendo due lunette con l’Incontro di s. Gioacchino e s. Anna alla Porta Aurea (datato 1571) e la Natività della Vergine, nella quale compaiono invece il nome e il ritratto del donatore Bartolomeo di Tommaso Mannelli, detto «il Morte da Scarperia», le cui mani giunte possiedono la medesima morfologia di quelle del s. Francesco e del Leonardo Buonafede nella citata pala tosiniana del 1544 circa oggi al Museo di S. Salvi (Nesi, 2008, p. 102). Francesco eseguì poi un’altra redazione dell’Annunciazione per la Pieve di Legri presso Calenzano (Firenze), semplificata in molte parti e dai toni pittorici maggiormente chiari, che hanno fatto pensare anche a un’autografia di Bartolomeo (cfr. Sirigu, 1999; Nesi, 2007, p. 266).
Fino agli inizi degli anni Settanta i percorsi dei due fratelli procedettero in parallelo, incontrandosi spesso, ad esempio nell’esecuzione di alcuni dipinti commissionati all’entourage tosiniano dalla benefattrice Margherita Strozzi Serristori per il convento domenicano pratese di S. Vincenzo, appartenente alla Riforma savonaroliana. Nell’ambito di questo ciclo, databile tra il 1570 e il 1573, l’analisi stilistica consente di rivendicare a Bartolomeo la S. Orsola con le compagne, e a Francesco la Visitazione (Nesi, 2007, p. 267). Poi, mentre Bartolomeo decideva di rimanere stabilmente a Firenze, prendendo parte alla decorazione dello studiolo del principe Francesco de’ Medici in Palazzo Vecchio con l’ovale raffigurante Danae, Francesco cessava di pagare la tassa d’iscrizione all’Accademia del disegno, trasferendosi a Roma.
Nel 1575 Francesco iniziò la nuova esperienza compiendo una sosta a Tivoli, dove eseguì alcuni affreschi documentati nel palazzo comunale, raffiguranti episodi della fondazione della città (Ferruti, 2008, pp. 47-54), e poco dopo risulta già stabilmente nell’Urbe, dove sposò una donna di nome Silvia Contarelli Moroni, ma tra il 1577 e il 1578 soggiornò di nuovo in Toscana, lavorando a Pisa, dove dipinse una pala con la Madonna del parto tra santi carmelitani e il donatore per la chiesa del Carmine, e gli furono allogate due tele con la Natività della Vergine e la Presentazione della Vergine al tempio per un ciclo mariano destinato alla chiesa di S. Maria della Spina, eseguito in massima parte da Baccio Lomi e oggi conservato nell’ospedale di S. Chiara. Le due tele furono saldate a Francesco il 7 aprile 1578, ma quella con la Natività non la eseguì lui, bensì la subappaltò al più giovane ex compagno di bottega tosiniana Niccolò Betti, anch’egli in quel momento attivo a Pisa (Nesi, 2017). Nel 1581 lo si ritrova a Roma, dove si immatricolò all’Accademia di S. Luca (Missirini, 1823), e poi tra il 1583 e il 1585 eseguì gli affreschi con l’Annunciazione e Gesù tra i dottori sulle pareti laterali della chiesa del Collegio di S. Atanasio dei Greci e dieci pannelli su tavola per l’antica iconostasi della medesima chiesa, con il Crocifisso, il Cristo e i Dodici apostoli; i Quattro dottori della Chiesa (in uno dei quali è ritratto papa Gregorio XIII), S. Giovanni Battista e la Madonna con il Salvator Mundi. Tali opere gli furono pagate tra il 1583 e il 1584 insieme alla pala, oggi dispersa, per il vima, lo spazio ecclesiale oltre l’iconostasi (Baglione, 1642; Lombardi, 1997; Fabriani, 1999).
L’iconostasi cinquecentesca fu smantellata nel 1876 per essere ricostruita in posizione più avanzata verso la navata su progetto dell’architetto Andrea Busiri Vici, e i pannelli che ne facevano parte sono oggi conservati nell’attiguo collegio, mentre la pala del vima sembra dispersa. Quest’ultima viene descritta dalle fonti sempre in modo generico, ma vi sono buoni motivi per pensare che fosse un S. Atanasio come quella che l’ha sostituita nello spazio ecclesiale.
Il 5 marzo 1585 (stile comune) Bartolomeo morì a Firenze e fu sepolto in S. Salvatore in Ognissanti, dopo aver eseguito alcune altre opere, tra le quali un poco conosciuto ciclo di lunette a fresco in un ambiente della prioria di S. Maria Maggiore raffiguranti l’Ascensione, la Resurrezione, il Crocifisso (ispirato ad altre versioni del tema da lui precedentemente eseguite; Nesi, 2019) e la Natività, quest’ultima ripresa da un’Adorazione dei pastori conservata nei Musei civici di Udine e a sua volta ispirata a un prototipo di Tosini (Nesi, 2008, p. 102).
Intanto a Roma Francesco era entrato sotto la protezione del cardinale Ferdinando de’ Medici, futuro Ferdinando I granduca di Toscana (Butters, 1991, pp. 376, 403), lavorando alacremente a villa Medici, dove sembra che affrescasse uno studiolo e che compisse anche le prime esperienze come architetto, curando il progetto di una «Fontana della Navicella», eretta nel 1583, ma finora non identificata con esattezza. A un progetto di fontana può forse essere rapportato anche l’unico disegno che si conosca di Francesco, un Putto a cavalcioni di un delfino che porta in basso il nome «Fr.o Trabaldese» nella National Gallery of Scotland a Edimburgo (inv. n. D.4890.6, acquistato nel 1964). Stando alle Vite di Giovanni Baglione (1642), che sono il riferimento principale per la sua attività romana, Francesco eseguì anche altre opere pittoriche di destinazione privata, che però lo storiografo non menziona nel dettaglio proprio «per non esser elleno in pubblico» (p. 32) e che perciò restano da identificare. Ben presto, però, la passione per l’architettura prese il sopravvento in lui, e nel 1586 egli partecipò al concorso indetto a Roma per la sistemazione dell’obelisco egizio di piazza S. Pietro, nell’ambito del quale il suo progetto fu particolarmente ammirato, e sarebbe potuto anche risultare vincitore (con l’appoggio del cardinal Ferdinando) se il nuovo papa Sisto V non avesse optato per quello del più celebre e quotato Bartolomeo Ammannati, del quale si era altre volte servito e che riteneva dunque più esperto e affidabile (Carugo, 1590, 1978).
Affermatasi ormai definitivamente in lui la propensione all’architettura, nell’ottobre del 1585, ancor prima della presentazione del progetto per l’obelisco, Traballesi aveva lasciato Roma trasferendosi a Mantova in qualità di architetto di corte dei Gonzaga e in sostituzione di Oreste Vannocci Biringucci, deceduto nel luglio precedente a soli ventisette anni. La corte mantovana cercò un sostituto a Roma e a Firenze tramite i propri agenti, puntando dapprima su Bernardo Buontalenti, Taddeo Landini e Girolamo Muziano. Camillo Capilupi, ambasciatore a Roma, s’informò sulla disponibilità del Buontalenti, che rifiutò per i troppi impegni che aveva a Firenze; e fu a questo punto che, scartati per vari motivi anche gli altri due, venne suggerito all’ambasciatore il nome del Traballesi, che vantava come referenze i lavori fatti per il cardinale Ferdinando de’ Medici e il progetto per la collocazione dell’obelisco su committenza papale, e che fu descritto come «architettore, pittore et ingegnere, et copioso d’inventioni», nonché «professore di condurre acque et far fontane» (Bertolotti, 1885, pp. 20 s., e più nel dettaglio Casciano, 2000, pp. 191-198).
Francesco giunse a Mantova nell’ottobre 1585 e iniziò il proprio ruolo dedicandosi prevalentemente alla direzione di abbellimenti architettonici e decorativi nel castello di Goito, antica residenza gonzaghesca ritenuta particolarmente importante fin dal Quattrocento e nella quale aveva operato anche Andrea Mantegna, ma della quale oggi restano purtroppo solo pochi ruderi. Il castello era la residenza preferita del duca Guglielmo Gonzaga, che vi morì nel 1587, e da ciò si comprende l’importanza del ruolo conferito a Traballesi, che fu subito impegnato nella ristrutturazione della piazzetta esterna alla rocca e nell’allestimento della fontana principale del parco. Con la morte di Guglielmo i lavori si fermarono e Traballesi lasciò Goito per Mantova, dove fu incaricato di sovrintendere agli apparati funebri per il duca defunto e a quelli per l’incoronazione del nuovo, Vincenzo Gonzaga. Ma la sua carica durò per poco, poiché morì nel capoluogo gonzaghesco il 21 aprile 1588.
La produzione pittorica di Bartolomeo e Francesco Traballesi si confonde meno di quella di altri artisti afferenti alla bottega tosiniana con quella del maestro e degli altri allievi, per via di caratteri di stile più personali e spiccati, ma ciononostante alcune Madonne di Bartolomeo sono passate sul mercato con altre attribuzioni (Giovanni Antonio Sogliani, Maso da San Friano; Nesi, 2008, p. 100). Inoltre, spesso i due fratelli sono stati confusi tra loro, nonostante una sostanziale differenza di stesura pittorica e di morfologia dei personaggi, essendo lo stile di Bartolomeo più ricco di colore, opaco e corposo, laddove l’esecuzione di Francesco è più leggera e trasparente. Tra i dipinti da cavalletto e di destinazione privata di Francesco si segnalano un Ritratto allegorico di Laura (?) e alcune belle Madonne con il Bambino (con o senza s. Giovannino) passate sul mercato, ma tutte riproponenti nel volto quello della Vergine dell’Annunciazione per la Compagnia dei Cocchieri all’Annunziata (Vertova, 1992, pp. 286-290). A esse va aggiunta una Madonna pubblicata come di Bartolomeo (Gheri, 2006), ma spettante a Francesco perché anch’essa derivante dalla pala suddetta. Particolare menzione meritano alcuni dipinti raffiguranti il Crocifisso con santi e/o dolenti derivanti da prototipi di Tosini e di suo figlio Baccio, tra i quali due molto interessanti di Bartolomeo conservati rispettivamente nel Museo degli Innocenti a Firenze e nel Museo civico di Sarnico (Bergamo), che si segnalano per la presenza dei donatori abbigliati nel primo con severi abiti neri, e nel secondo utilizzati per impersonare due santi, uno dei quali è l’apostolo Giacomo Maggiore con sulla veste il raro segno di riconoscimento della Confraternita di S. Giacomo della Spada (Nesi, 2019).
Questo accenno consente di spostare il discorso sull’attività ritrattistica dei Traballesi, non copiosa, ma di eccellente qualità. A Francesco spetta un celebre Ritratto di Bartolomeo Sirigatti già (?) a New York in Collezione Martello, firmato 1567 sulla lettera che il modello regge in mano (Tognoli Bardin, 1985; Vertova, 1992, p. 291), al quale è stato convincentemente accostato un Ritratto di giovane con guanti passato varie volte sul mercato (l’ultima presso Hampel fine art auctions il 7 dicembre 2017), mentre invece non convince l’Uomo che suona un virginale del Rijksmuseum di Amsterdam (inv. n. SKA-A-503), che meglio rientra nel gruppo del cosiddetto Master of the Jacquemart André Lutenist creato da John Shearman (The Early Italian pictures in the Collection of Her Majesty the Queen, Cambridge 1983, p. 156), comunque composto da varie e differenti identità artistiche. Quanto a Bartolomeo, la stesura lucida e smaltata che sempre gli fu consona e il modo particolare di rendere le mani non hanno permesso soltanto di individuarne l’apporto nella Madonna e santi con il donatore Leonardo Buonafede uscita dalla bottega tosiniana nel 1544 e oggi nel Museo fiorentino di S. Salvi, e di confermargli l’autografia della lunetta con la Natività della Vergine della Compagnia dei Cocchieri all’Annunziata, nella quale compare il ritratto del committente Bartolomeo Mannelli da Scarperia, ma anche di riferirgli alcune splendide effigi come il Ritratto di cavaliere di Malta passato varie volte sul mercato con il riferimento a Giorgio Vasari, e un Ritratto d’uomo con fazzoletto e lettera già riferito a Michele Tosini (Nesi, 2003-2004, p. 63, e 2008, p. 102). Di sicura autografia anche un Ritratto di donna con scoiattolo passato sul mercato con attribuzioni al Bronzino e a Maso da San Friano e oggi in collezione privata, che è stato ipoteticamente datato circa al 1572, la cui modella è stata identificata con la poetessa Maddalena Salvetti, che in quell’anno sposò il cavaliere di S. Stefano Zanobi Acciaioli.
Fonti e Bibl.: A. Carugo, Gli obelischi e le macchine del Rinascimento, in D. Fontana, Della trasportatione dell’Obelisco Vaticano (1590), a cura di A. Carugo, Roma 1978, p. XXXII; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII fino a’ tempi di papa Urbano VIII, Roma 1642, pp. 32 s.; F. Baldinucci, Notizie dei professori di disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli, III, Firenze 1846, pp. 79-82; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di San Luca, Roma 1823, p. 13; A. Bertolotti, Artisti in relazione coi Gonzaga duchi di Mantova, Modena 1885, pp. 20 s.; D.E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters, London 1928, p. 263; L. Ginori Conti, L’apparato per le nozze di Francesco de’ Medici e di Giovanna d’Austria..., Firenze 1936, pp. 142, 145; S. Lecchini Giovannoni, B. T. e il primo tempo della decorazione della Compagnia dei Cocchieri, in Scritti di storia dell’arte in onore di Roberto Salvini, Firenze 1984, pp. 433-440; L. Tognoli Bardin, F. T., in The Martello Collection. Paintings, drawings and miniatures from the XVIth to the XVIIIth centuries, a cura di M. Boskovits, Firenze 1985, p. 190; S.B. Butters, Ferdinan et le jardin du Pincio, in La Villa Medicis, a cura di A. Chastel - Ph. Morel, II, Roma 1991, pp. 370-405; L. Vertova, Il prestigio delle corti e il clan dei Traballesi, in Kunst des Cinquecento in der Toskana, a cura di M. Cämmerer, München 1992, pp. 281-291; F. Lombardi, Roma. Chiese, conventi, chiostri, Roma 1997, p. 118; G. Fabriani, Sant’Atanasio de’ Greci in Roma e la liturgia greca, Roma 1999, pp. 6-20; A. Sirigu, Calenzano. Storia, arte ambiente alle porte di Firenze, Firenze 1999, p. 62; R. Casciano, Architetti ducali alla corte dei Gonzaga tra il 1576 e il 1595: rilettura di un’epoca di transizione, in Atti e memorie dell’Accademia Virgiliana di scienze, lettere ed arti, LXVIII (2000), pp. 179-210; L. Zangheri, Gli Accademici del disegno. Elenco alfabetico, Firenze 2000, pp. 80, 320; San Martino a Gangalandi, a cura di R. Caterina Proto Pisani, Firenze 2001 (in partic. G. Romagnoli, L’arte, pp. 88 s.); A. Nesi, B. T. ritrattista, in Erba d’Arno, XCIV-XCV (2003-2004), pp. 61-67; Id., Nuove scoperte su Jacopo Coppi, in Arte cristiana, XCII (2004), 820, pp. 17-21; F. Gheri, B. T., in Maestri della pittura toscana, a cura di E. Piacenti - L. Piacenti, Firenze 2006, p. 10; A. Nesi, Dai dipinti per l’antica iconostasi di S. Atanasio dei Greci a Roma, uno spunto critico per le opere toscane di F. T., in Arte cristiana, XCV (2007), 841, pp. 263-274; F. Ferruti, I rapporti artistici e culturali tra Roma e Tivoli nella seconda metà del Cinquecento, in Atti e memorie della Società Tiburtina di storia e d’arte, LXXXI (2008), 1, pp. 45-59; A. Nesi, B. T. sacro e profano, in Nuovi studi, XIV (2008), pp. 97-106; Id., Una proposta attributiva per l’Annunciazione di Roveredo in Piano, in L’anima e il mondo: arte sacra dal XIV al XVIII secolo (catal., Cividale del Friuli), a cura di R. Costantini, Premariacco 2010, pp. 149 s.; A. Nesi, Niccolò Betti (1546-1620) pittore dello Studiolo, Firenze 2017, p. 2; Id., Crocifissi tosiniani, Firenze 2019, pp. 6-8; Id., Nuovi argomenti su B. T., in corso di stampa.
e
Francesco