BARTOLOMEO di Tommaso (B. da Foligno)
Nacque a Foligno alla fine del sec. XIV o agli inizi del XV, dato che l'8 dic. 1425 era già in età da testimoniare ad Ancona dove risiedeva con la famiglia. Ad Ancona egli era ancora nel 1433 secondo un documento del 19 giugno di quell'anno.
Nel 1434 fu chiamato a Fano dove donna Gaudiana, vedova di Mattiolo di Matteo, gli commise le pitture della cappella absidale della chiesa di S. Giuliano. B. dipinse prima le Storie di s. Giuliano sulla facciata dell'Ospedale poi, essendo piaciuti questi affreschi, poté procedere alla decorazione della cappella che era finita il 29 luglio 1439 (nulla resta delle opere di B. a Fano). Dai documenti sappiamo che i lavori nella cappella durarono così a lungo perché in questo periodo egli dimorava alternativamente a Fano e ad Ancona. In quegli anni lavorava anche a Foligno: infatti del 1437 è il trittico per la chiesa di S. Salvatore (Maestà tra il Battista e il beato Pietro Crisci),che gli fu commissionato, da Rinaldo Trinci, figlio di Corrado. Nel 1444 B. era a Foligno tra i 360 firmatari della "santissima unione" (la dichiarazione di concordia cittadina promossa da Giacomo della Marca dopo la caduta dei Trinci).
Nel 1446 a Foligno gli morì una figlia; e un'altra figlia e la moglie nel 1447Ancora a Foligno nel 1449 dipinse nella chiesa di S. Caterina l'affresco (ora Foligno, Pinacoteca) con le Storie di s. Barbara,la Madonna di Loreto e S. Antonio che predica,che certamente fu ordinato da tre diversi committenti. Nel 1451 B. d ipinse un trittico per l'altar maggiore della chiesa di S. Maria Maddalena (sempre a Foligno) dove erano state sepolte le figlie e la moglie, in memoria delle quali risulta che fece donazioni alla chiesa (questa è distrutta e il dipinto di B. è stato ipoteticamente identificato con quello raffigurante la Madonna col Bambino fra i ss. Giovan Battista, Maria Maddalena, Cristoforo e Domenico,oggi nella coll. Cini di Venezia).
Nel 1451 B. fu chiamato a Roma da papa Niccolò V che, dietro compenso di 7 ducati al mese e vitto, lo incaricò di pitture per il palazzo Vaticano: quasi certamente in qualcuna delle stanze in seguito decorate da Raffaello.
Nel 1452 restaurò la sua casa a Foligno; ma nello stesso anno fu pagato per un fregio nella Sala grande e per una Madonna a capo delle scale in Campidoglio a Roma. Fino al 28 nov. 1453 sono registrati 17 ducati al mese che gli assegnava il papa. Dopo questa data non ne restano notizie, come non abbiamo tracce della, sua opera a Roma.
Ebbe un figlio, POLIDORO, pittore, che nel 1476 a Perugia si impegnava a lavorare nel palazzo Perotti a Sassoferrato e che tenne bottega (1477-1483) a Foligno sotto il palazzo della canonica.
Prima opera documentata di B. (1437) è dunque il trittico di S. Salvatore a Foligno le cui tavole, rimaneggiate nel sec. XVII, sono state scorciate e mutilate da tutti i lati: ma nonostante queste menomazioni, nonostante l'eccentricità della realizzazione, sorprende l'alta qualità dell'esecuzione tecnica, specie per quanto riguarda lo splendido cesello di alcuni nimbi. Ma più ancora interessa l'effetto di "irrealìsmo caratterizzato" (Longhì), ottenuto con la confluenza, nel linguaggio di B., di modi attinti ai più diversi ambienti: all'ultima ondata gotica di Firenze, a Siena e più specificatamente alla cerchia del Sassetta (la Madonna ricalca La Madonna delle nevi del Sassetta del 1430-32; mentre nel Bambino si rintracciano richiami da Andrea da Bologna).
Non è azzardato pensare che tra il 1432 C il 1434 B. fosse a Siena e vedesse il Sassetta, dato che questo rapporto umbro-senese trova conferma nelle due tavolette cuspidate con S. Sebastiano e S. Giovanni (?) Evangelista che un tempo facevano parte delle cimase di questo stesso trittico (conservate oggi ai lati dei tre scomparti principali, quasi illeggibili), come anche nelle tavolette che probabilmente ne costituivano la predella: Preghiera nell'orto e Cattura di Cristo (Roma, Pinac. Vatìcana), Andata al Calvario (Moulins, Museo, coll. Campana) e Seppellimento di Cristo (già Roma, coll. priv.). In queste tavolette la componente sassettesca è costante, tuttavia esse sono percorse da una capacità trasfigurativa libera e indipendente impensabile in ambiente senese. È,forse legittimo in qualche passo riconoscere ricordi del viaggio in Toscana di B. che non dovette vedere solo Sassetta, ma anche Lorenzo Monaco e Masaccio.
Partendo dal trittico di Foligno si può cercare di ricostruire l'attività precedente di B. e considerare sue opere più antiche (1425-1430) due tempere - S. Francesco e il padre Bernardone (Venezia, coll. Cini; già Roma, coll. Sterbini) e Funerali e canonizzazione di s. Francesco (Baltimora, Gall. Walters; già Roma, coll. Woodyat) - che facevano certamente parte di una medesima predella a cui manca il completamento sulla destra. Non posteriore al 1430 è la Madonna proveniente dalla chiesa di S. Giacomo a Pergola (Milano, Brera).
Queste primizie di B. confermano che le o1191ni del suo stile non vanno situate a Foligno, ma in quel momento della pittura marchigiana che, segnando un deciso distacco dalla vecchia tradizione locale e dalla esautorata discendenza fiorentina, riminese e veneto-romagnola, accoglieva il portato del goticismo bolognese mediante Andrea da Bologna e la sua bottega e che aveva avuto per protagonista Carlo da Camerino, attivo soprattutto ad Ancona, la città che B. aveva scelto a residenza. Va riconosciuto a B. il merito di aver allargato sin dal principio i suoi interessi oltre i confini strettamente municipali per giungere a includere i Salimbeni, forse Gentile da Fabriano e certamente le novità importate da Arcangelo di Cola. Tutta l'evoluzione successiva di B. resta così radicata in quella cerchia anconetana verso cui orientano concordi i dati documentari e l'analisi filologica, e i prodotti più tardi del pittore sono ancora l'ultima propaggine dell'incontro fra Bologna e le Marche.
Intorno all'anno 1437 B. dipinse la tavoletta con S. Girolamo (già Roma, racc. De Clemente) e due scomparti di predella: la Cattura di Cristo e la Pietà e seppellimento (New York, Metropolitan Museum; già Parigi, coll. Martin Le Roy), molto vicini alla predella del trittico di S. Salvatore.
Si possono datare verso il 1440 due dipinti (I pellegrini di Emmaus e Pentecoste, Londra, coll. privata) che sono a mezza strada tra il capitolo tosco-senese che si raccoglie intorno al trittico del 1437 e l'ultima fase del linguaggio di B. (particolarmente interessante I pellegrini di Emmaus:episodio rarissimo nella iconografia quattrocentesca, col Redentore tipicamente goticheggiante vestito alla foggia dei clerici vagantes e munito di berretto goliardico).
Nell'affresco staccato del 1449, ora nella pinacoteca di Foligno, la Madonna di Loreto e S. Antonio sono di proporzioni molto ridotte rispetto alle contigue Storie di s. Barbara,iconograficamente singolari e con forti affinità nordiche. In questo affresco qualsiasi accenno che alluda sia al tardo trecento umbro-marchigiano, sia alla ragionata sintassi rinascimentale, ritorna sotto aspetti trasfigurati, stravolti, filtrato attraverso uno schermo di caratterizzazione grafica compatta e rigorosa dove tutto viene fuso in una sorta di materia personale intraducibile, polivalente, che non èpuro arabesco, anche se ignora la terza dimensione, dove ritmi e cadenze della più varia misura si intrecciano e si accavallano per rifrangersi contro improvvisi ritorni di impegni razionali.
Altro sintomo della finale ventata irrealistica di cui è segnato l'ultimo capitolo di B. lo si coglie nel grande trittico eseguito intorno al 1450 per la collegiata di Camerino, attualmente nella Pinacoteca Vaticana (trittico Rospigliosi) dove è tuttora erroneamente attribuito a Gentile da Fabriano (Longhi già nel 1926 e 1928 l'aveva attribuito a B.). La partizione iconografica (Natività e adorazione dei pastori ai lati, Incoronazione della Vergine in mezzo) piuttosto insolita pare alludere a modelli nordici, forse germanici. Le tre tavole sono uno dei monumenti più significativi dell'estrema fase del gotico internazíonale. Altri dipinti riferibili a questo stesso capitolo sono una Crocefissione ad affresco nella sacrestia della chiesa di S. Niccolò a Foligno, una predella con la Pietà nella Walters Art Gallery di Baltimora e il grande trittico della coll. Cini a Venezia, con ogni probabilità identificabile con quello del 1451.
L'ultimo tempo di B. denuncia un insistito ritorno a temi, a spunti arcaicizzanti visibili nella sua opera più importante fra le pochissime sopravvissute .gli affreschi della cappella Paradisi in S. Francesco a Terni (in fondo alla navata sinistra), da collocarsi nel periodo della sua maggiore notorietà (immediatamente prima o dopo il soggiorno romano). La vicinanza con l'affresco firmato di Foligno è così accentuata che poco importa la perdita in calce alla parete di fondo di gran parte della scritta dedicatoria e dell'anno di cui restano solo le prime cifre: dobbiamo leggere probabilmente 1453 dato che un vecchio documento d'archivio riferito dal Lanzi (La cappella "Paradisi" nella chiesa di S. Francesco in Terni,Perugia 1909, p. 13) dava 1353. La decorazione, a parte la volta distrutta da molto tempo dove forse erano raffigurati i quattro Evangelisti, ricopre tutte le murature della cappella, rappresentando in tre pareti il Giudizio Universale e in quella d'ingresso, al di sopra dell'arcata ogivale, due grandi figure con volumi aperti (profeti, dottori della Chiesa, o scrittori di cose apocalittiche), sdraiate in paesaggio boscoso; nel sottarco dell'arcata d'ingresso si vede una serie di sei Profeti a mezzo busto entro quadrilobi.
L'affermazione di un soggettivismo esasperato è evidente nella composizione spezzata ed eccentrica, assolutamente indifferente a qualsiasi regola prospettica, nell'individualizzazione delle fisionomie che rasentano il grottesco, ed èsintomo della crisi estrema della cultura gotica, che va ricercando nuove vie di espressione, ma resta aggrappata ai propri ideali figurativi.
Di fronte a questa sostanziale diversificazione, in certo senso voluta, dal linguaggio rinascimentale, suscita perplessità il fatto che B. venne chiamato a Roma da Nicolò V, proprio accanto a Piero della Francesca.
L'influsso di B. è stato decisivo per la formazione di molti artisti dei più vari am,bienti provinciali: da Nicola di maestro Antonio ad Arcangelo di Cola da Camerino, ad Andrea Delitio e Giacomo di Nicola da Recanati. Nessuno di questi seppe però comprendere appieno il complesso linguaggio di B., ma piuttosto ne trasse elementi isolati, limitati suggerimenti. L'arte di B., per il suo esasperato individualismo, per la spregiudicatezza dei nessi sintattici, per l'irrazionalità delle definizioni spaziali, comunica con maggiore immediatezza alla sensibilità moderna.
Bibl.: J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A history of Painting in Italy,a cura di T. Borenius, V, London 1914, pp. 226-228; M. Faloci Pulignani, B. di Tommaso pittore umbro del XV secolo,in Rass. d'arte umbra, III (1921), pp. 6580 (con tutti i docc. e bibl.); R. Longhi, Primizie di Lorenzo da Viterbo,in Vita artistica, 1 (1926), pp. 113 s.; Id., Una "Coronazione della Vergine" di Pietro di Domenico da Montepulciano, ibid., 11 (1927), p. 20; Id., Me Pinxit,in Pinacotheca,1 (1928), p. 80; Id., Un dipinto dell'Angelico a Livorno, ibid.,p. 154 n. i; Id., Officina Ferrarese,Roma 1934, p. 159 n. 30; B. Berenson, Pittori italiani del Rinascimento,Milano 1936, p. 43; R. Longhi, Fatti di Masolino e Masaccio,in La critica d'arte, V, 2 (1940), p. 186, n. 23; F. Zeri, B. di Tommaso da Foligno,in Bollett. d'arte,s. 4, XLVI (1961), pp. 41-64; Id., Tre argomenti umbri, ibid., XLVIII (1963), pp. 36-39; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, pp. 577 s.