DELLA SCALA, Bartolomeo
Figlio primogenito naturale di Cansignorio, signore di Verona e Vicenza, legittimato con dispensa papale dell'11 dic. 1375 e di una certa Margherita, forse della famiglia dei Pittati ma, secondo altre fonti (Marzagaia), di una donna di Piacenza di cui non si ha alcuna notizia, nacque il 13 sett. 1361.
Divenne signore di Verona appena quindicenne, con il fratello Antonio, alla morte quasi contemporanea del padre e dello zio Paolo Alboino. Sottoposto, perché minorenne, alla tutela di Guglielmo Bevilacqua e di alcuni altri esimi cittadini veronesi, governò in modo attento ed efficace, mostrando particolari premure nei confronti dell'organizzazione e del potenziamento di alcune attività artigiane di primaria importanza per l'economia locale - come quelle legate alla lavorazione della lana -, dell'abbellimento della città, del rafforzamento e dell'autonomia di certi collegia (ad esempio, quello dei notai). Non pare, tuttavia, figura di molto rilievo a fianco di Antonio - di lui senza dubbio più intelligente, deciso ed astuto - per cui le linee iniziali della sua biografia sono inscindibili da quelle del fratello minore. Qualche giorno dopo la morte del padre, venne armato cavaliere da Galeotto Malatesta, sanando così la nascita illegittima; nel 1376 ricevette, sempre con Antonio, la carica di vicario imperiale per Verona, Vicenza, Manerbio (Brescia) e relativi distretti.
Nel corso della guerra contro Bernabò Visconti (1379) il D. era dislocato con le truppe a Padova; assieme con gli alleati ungheresi si diresse dapprima verso Verona e quindi nel Bresciano, inseguendo l'esercito visconteo in ritirata. Presso Brescia fece costruire fortificazioni, per stringerla d'assedio. Secondo il De Stefani, il giovane signore era "di non molto svegliato ingegno e di tempera poco vivace", ma "cominciava a concepir grande nella sua mente l'idea del suo essere ed ambiva sovranamente di far costare valevole la sua autorità". Fu quindi, forse per ambizione ed inesperienza insieme, che si indusse ad accettare una tregua d'armi di 45 giorni proposta dal Visconti e presentatagli con le migliori garanzie, ma che in realtà consentì alle truppe milanesi, guidate da Jacopo Dal Verme, di riorganizzarsi. Gli storici coevi avanzano opinioni diverse circa la durata di tale tregua o non vi accennano affatto; sono tutti concordi, però, nel biasimarne la stipulazione, attribuendola appunto alla presunzione del D. nel voler dirigere le cose della guerra.
L'eccessiva ambizione era peraltro una caratteristica degli Scaligeri, così come la tendenza a contendere ai parenti, con qualunque mezzo - non escluso l'assassinio - il governo dello Stato. La sorte del D. fu preparata accuratamente da Antonio, ormai divenuto anch'egli maggiorenne e deciso a reggere da solo il dominio. Secondo il Saraina, l'uccisione del fratello sarebbe stata suggerita da alcuni "ribaldi", ma anche dagli studi umanistici da lui fatti, avendo imparato "che ogni scelleratezza facevano li tyranni per signoreggiare". Qualcosa sulle intenzioni del prin-cipe dovette però trapelare all'interno della corte, se, a quanto narra il Marzagaia, che è il solo storico a dare questa notizia, il D., temendo per la propria vita, aveva intenzione di rifugiarsi nel Regno di Napoli, presso Carlo III di Durazzo; ma il progetto non fu attuato, o forse gli mancò il tempo di farlo. Nella notte tra il 12 ed il 13 luglio 1381, a quanto racconta il Saraina, gli assassini si nascosero sotto "la lettiera" del principe "ch'in quel tempo s'usavano grandi, e serrate di tavole di sotto". Il D. e Galvano da Poiana "giovine galante, suo favorito, e tesoriero", che rientravano stanchi dalla caccia, si addormentarono subito e furono entrambi uccisi nel sonno. Il Marzagaia presenta l'assassinio in modo parzialmente diverso narrando che il D. non era addormentato.
È certo, comunque, che i due giovani vennero sorpresi dai sicari - forse due, ma le fonti sono incerte in proposito - e pugnalati: con trentasei colpi il D. e con ventisei l'amico. I cadaveri vennero poi trasportati davanti al portone del palazzo di Antonio Nogarola nella piccola piazza della chiesa di S. Cecilia. Si voleva far credere ai cittadini veronesi che il D., innamorato come lo stesso Antonio e come Spinetta Malaspina - accusato poi anch'egli del delitto per sviare i sospetti dal principe - della figlia del Nogarola, fosse stato ucciso dal padre della fanciulla, che li avrebbe sorpresi quella notte in un incontro clandestino. Antonio Della Scala, per mantenere credibilità agli occhi dei sudditi, fece svaligiare il palazzo Nogarola, interrogare la giovane e i suoi parenti, nonché il Malaspina e i suoi fratelli, sottoponendoli anche alla tortura per ottenerne la confessione.
Vera o falsa che fosse l'accusa mossa al Nogarola, uno degli uomini più eminenti del gruppo di governo cittadino, essa mette in luce la frattura esistente tra i signori e i loro consiglieri; esistevano, peraltro, anche questioni private di eredità tra i Della Scala e i Nogarola, legati da vincoli di parentela. Le fonti coeve veronesi, padovane e veneziane pongono in genere in risalto la vicenda, le ultime peraltro con maggiore dovizia di particolari delle prime. Il delitto ebbe come testimoni-esecutori forse lo stesso Antonio, Giovanni Isolani, Cortesia da Serego, Benedetto da Malcesine ed alcuni altri tra i più fedeli cortigiani, che in seguito furono però allontanati dalla città per volontà del principe. L'intero svolgimento dei fatti relativi alla morte del D. non sembra del tutto chiarito, anche se, per ora, non pare possibile avere maggiori notizie in merito. È certo però che le fonti del tempo mettono in relazione l'uccisione del D. con l'esodo avvenuto tra il 1381 ed il 1383 dalle cariche del governo scaligero dei membri delle principali famiglie di Verona, dal Bevilacqua al Nogarola, al Malaspina, che erano in contrasto con la politica interna ed estera del loro signore.
Il D. fu sepolto il 15 luglio, con tutti gli onori dovuti al suo rango e con larghissima partecipazione dei Veronesi alla cerimonia. Il De Stefani ne descrive le esequie e ritiene, - erroneamente secondo il De Marco - che il suo corpo sia stato collocato in una delle arche, davanti alla chiesa di S. Maria Antica, dove riposano i maggiori Scaligeri. Coluccio Salutati scrisse in quell'occasione ai Della Scala una lettera di condoglianze a nome della Signoria di Firenze (in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, pp. 540 ss.). Dei cortigiani e dei consiglieri di Antonio solo Guglielmo Bevilacqua oso pronunciare alla presenza del principe parole di biasimo per l'oscura vicenda. In seguito fu anch'egli costretto ad abbandonare la patria, innescando un processo irreversibile che attirò ancora una volta su Verona e sul suo territorio gli interessi dei Visconti e condusse alla fine della signoria scaligera.
Fonti e Bibl.: T. Saraina, Le historie e fatti de' veronesi nelli tempi d'il popolo e signori Scaligeri, Verona 1659, ff- 41, 54rv; A. Cartolari, Cenni sopra varie famiglie illustri veronesi, Verona 1848, II, p. 60; L. Cristofoletti, Cenni stor. sull'antico collegio dei notai della città di Verona (MCCXX-MDCCCVI), in Archivio veneto, XVI (1878), pp. 325 e 327;Magistri Marzagaiae De modernis gestis, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, Venezia 1890, pp. 200 s.; E.De Marco, Crepuscolo degli Scaligeri. La signoria di Antonio della Scala (12 luglio 1381-18 ott. 1387), in Nuovo Arch. veneto, XXII (1938), pp. 118, 119, n. 1; G. De Stefani B. e Antonio Della Scala, Verona-Padova 1884; G. Sandri, Bailardino e le sue ultime volontà (1270-1339), in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere e arti, C (1940-41), 2, pp. 492 ss.; G. Sancassani, Notizie genealogiche degli Scaligeri di Verona: da Alberto I ad Antonio della Scala (1277-1387), in Verona e il suo territorio, III, 1,Verona 1975, p. 748; G. Soldi Rondinini, La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), ibid., IV, ibid. 1978, p. 74; Gli Scaligeri. 1277-1387, a cura di G. M. Varanini, Verona 1988, ad Indicem.