PAPAZURRI, Bartolomeo
(Carbone) de’ (Bartolomaeus de Pappazuris, Bartolomaeus de Carbone). – Domenicano, figlio di Giovanni (o Giannetta) Papazurri di Roma, nato forse tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo.
Il suo patronimico ci è stato tramandato da una nota di pagamento del 7 maggio 1357 (ASV, Reg. Suppl. 29, c. 112r), in cui vengono menzionati anche due suoi fratelli germani, Giacomo e Angelo, entrambi chierici. Sono noti anche altri due figli di Giovanni, Cola (1359) e Cecco (1368 de regione Trivii), entrambi laici. Il doppio cognome, rimasto poi nella tradizione erudita, è dovuto a un errore di Girolamo Nicolini, storico della Chiesa di Chieti, che sdoppiò erroneamente il personaggio.
Secondo Giuseppe Billanovich (1981, pp. 197 s.), il chierico secolare Bartolomeo Papazurri, beneficiario del canonicato di S. Maria in Cosmedin (condizioni per le quali occorreva un’età minima di 25 anni) a partire dal 4 marzo 1329 per concessione di Giovanni XXII (Jean XXII, Lettres communes, t. VIII, p. 201), è infatti da identificare con un «Bartholomeus romanus» (cfr. E. Panella, http://www.e-theca. net/emilio panella/nomen2/papazu.htm), domenicano, che fu assegnato nel 1338 al convento di Siena per lo studio della filosofia (APR, 1941, p. 298 [6]). Sarebbe dunque entrato tra i predicatori già da sacerdote, attorno al 1334, per svolgere l’anno di noviziato e dopo tre anni, secondo la prassi, accedere agli studi superiori. L’anno successivo (1339) un capitolo provinciale che si svolse ad Arezzo assegnò Bartolomeo allo Studio di Tolosa al fine di completare la sua formazione teologica (APR, 1941, p. 309 [18 s.]).
Nulla si sa di Bartolomeo per il decennio successivo; il 30 maggio 1348 successe al parente Omodeo sulla cattedra della diocesi di Teano (ASV, Registra vaticana 188, cc. 23r-24r). Nel 1349, una vertenza relativa all’attuazione delle ultime volontà del defunto cardinale Giovanni Colonna (deceduto il 3 luglio 1348) contrappose Bartolomeo a Stefano Colonna (ASV, Registra supplicationum 21, c. 90v, 22 novembre 1348).
All’anno successivo risale la prima attestazione dell’amicizia che legò Bartolomeo, che si trovava allora ad Avignone, a Petrarca. In una lettera del poeta a Ludovico di Beringen, maestro di canto del cardinale Giovanni Colonna (Parma 20 giugno 1349), il presule figura in cima alla lista degli amici ai quali il poeta invia i suoi saluti (F. Petrarca, Le Familiari, II, a cura di V. Rossi, 1934, l. VIII, 9γ [h-i], p. 208). In risposta a una sua missiva non pervenuta, il 21 maggio 1352 Petrarca inviò poi a Bartolomeo una lettera (F. Petrarca, Le Familiari, cit., III, 1934, l. XII, 11, pp. 34-36), in cui il poeta confessa la sua antipatia per l’ambiente curiale e la stima per Niccolò Acciaiuoli, siniscalco del Regno di Napoli, e per il domenicano Angelo Acciaiuoli, vescovo di Firenze.
Previo annullamento di una precedente (1352) elezione del capitolo di Chieti, il 24 maggio 1353 Bartolomeo fu traslato da Innocenzo VI alla sede episcopale di Chieti (ASV, Reg. vat., 219, cc. 76v-77v), amministrata in attesa della nuova nomina da Benedetto Colonna (F. Ughelli, Italia sacra, VI, 1720, coll. 742, 837). In veste di vescovo della città abruzzese, tra il 1353 e il 1355 Bartolomeo compì una serie di atti di governo significativi. Il 17 luglio 1353 chiese al papa l’autorizzazione a nominare un suo notaio di fiducia, Reatino di Nicola Paoloni di Montereale clericus non coniugatus nec in sacris ordinibus constitutus (ASV, Reg. vat. 224, c. 352v). Nello stesso giorno tre vescovi (di Capua, di Penne in Abruzzo, di Rieti) furono incaricati di intervenire a favore di Bartolomeo per recuperare beni di pertinenza della mensa episcopale. Per recuperare i propri diritti patrimoniali Bartolomeo operò anche in prima persona, scomunicando Antonio Cantelmo che si era illegittimamente appropriato del castello di Montesilvano (1° gennaio 1354; F. Ughelli, Italia sacra, cit., col. 743; G. Nicolini, Historia della illustre città di Chieti..., 1657, p. 162) e opponendosi ai successivi (1354-60) tentativi dello stesso Antonio Cantelmo e di Camilla vedova di Restaino Cantelmo di recuperare oltre a Montesilvano anche Forca.
Altro usurpatore al quale Bartolomeo si oppose (ma già nel 1350 Clemente VI aveva preso provvedimenti, mediante i vescovi di Napoli, Teramo e Trivento) fu Francesco de Turre che deteneva illegalmente i castelli di Furca Bobolina e di Villamagna. Bartolomeo ricorse a Luigi e Giovanna d’Angiò, sovrani di Sicilia, e Andrea Caracciolo Carafa, giustiziere d’Abruzzo, fu incaricato di farsi riconsegnare dal de Turre il castello di Forca Bobolina, il che avvenne (agosto-settembre 1354). Rivolte e colpi di mano dei Cantelmo e del de Turre (accusato anche di conclamata eresia) non mancarono tuttavia negli anni successivi (1355), fronteggiati ancora una volta da incaricati papali (ASV, Registra vaticana, cc. 215r-216r; G. Nicolini, Historia della illustre città di Chieti..., cit., p. 166) e dal domenicano Francesco di Messina, inquisitore del regno di Sicilia (ASV, Registra vaticana 229, c. 233r-v). Bartolomeo si avvalse anche della collaborazione di familiari, non senza sfumature di nepotismo. Il fratello Giacomo fu infatti vicario episcopale; il 3 gennaio 1356, con l’arcidiacono Nicola di Pescina, prese di nuovo possesso dei beni usurpati da Francesco de Turre e da Nicola Massarelli, suo cugino. A favore di Giacomo, Bartolomeo ottenne da papa Innocenzo VI il priorato della chiesa collegiale di S. Antonio e un ospizio per poveri a Vallintera (diocesi dell’Aquila); dopo la sua morte, questi benefici passarono all’altro fratello Angelo (già detentore del priorato sine cura di S. Salvatore e di quello rurale di S. Lorenzo extra muros a Teano). Nello stesso momento, infine, Bartolomeo impetrò per suo cugino, Pietro di Paolo Muto Papazurri, il conferimento di un canonicato e di una prebenda in Sicilia, già appartenuta al defunto Giacomo (ASV, Registra supplicationum 29, f. 112r).
Gli anni successivi furono ancora segnati dalle usurpazioni di Francesco de Turre contro il quale Innocenzo VI sollecitò – a difesa di Bartolomeo – il sostegno dell’Università di Chieti (gennaio 1357), e successivamente, attraverso i vescovi di Penne, dell’Aquila e di Teramo, l’appoggio delle altre comunità, sotto pena di scomunica. Scomuniche vescovili e papali furono irrogate ancora, contro de Turre e Cantelmo, tra il 1357 e il 1358; e nel 1361 e 1362 furono necessari ulteriori provvedimenti dei re angioini, che ordinarono l’intervento dei giustizieri e vicegerenti d’Abruzzo a sostegno di Bartolomeo.
Echi di queste vicende si leggono in una lettera di Petrarca (giugno 1362, tradita dal Borg. lat. 329, f. 160; ma il poeta era intervenuto anche nel giugno del 1361) indirizzata da Padova a Barbato da Sulmona; in essa il poeta chiede all’amico di adoperarsi presso il gran siniscalco Niccolò Acciaiuoli e al gran cancelliere del Regno Niccolò d’Alife, per venire in aiuto di Bartolomeo (Morelli, 1973, p. 94 [371]).
Come vescovo di Chieti, Bartolomeo si preoccupò anche del reperimento dei fondi per il restauro della cattedrale «nimia vetustate consumpta». A tale fine, il 29 luglio 1357 rivolse una supplica al papa per poter concedere l’indulgenza a chi avesse contribuito ai lavori di ristrutturazione (ASV, Registra supplicationum 29, cc. 166v-167r). Il 21 luglio 1363 Bartolomeo fu promosso da Innocenzo VI alla sede arcivescovile di Patrasso (Fedalto, 1976, I, p. 365; 1978, II, p. 191), ove pure si poneva il problema di difendere i diritti episcopali. L’intervento congiunto di Urbano V e di Niccolò Acciaiuoli valse a ristabilire l’ordine nella diocesi (4 e 9 agosto 1363). Bartolomeo non si era tuttavia ancora recato in sede; solo il 4 ottobre 1363 il papa gli concesse un salvacondotto (ASV, Registra vaticana, 252, f. 189; Urbain V, Lettres communes, a cura di P. Gasnault, 1964, pp. 109 s. [5796]), preceduto da alcune lettere di raccomandazione alla coppia imperiale virtualmente titolare di Costantinopoli (Roberto e Maria di Borbone; 10 agosto-23 settembre 1363, in Urbain V, Lettres secrètes et curiales, a cura di P. Lecheux - G. Mollat, 1954, nn. 564, 617, 636 s.). Bartolomeo lasciò allora Avignone per Venezia, dove trascorse la tarda primavera e gran parte dell’estate del 1364 presso Petrarca. La situazione politica si era nel frattempo deteriorata, a seguito dell’arrivo dei Turchi a Tebe, e il papa ne scrisse ancora a Bartolomeo.
Alla fine, Bartolomeo non riuscì a raggiungere la sede: morì a Padova l’11 agosto 1365, nel convento domenicano di S. Agostino, dove fu sepolto nella cappella di S. Nicolò.
L’iscrizione funebre, andata distrutta a seguito della demolizione della chiesa nel 1819, ci è pervenuta nella trascrizione settecentesca dell’erudito padovano Girolamo Salomoni (1701, pp. 64 s. [120]), che lesse però «Prazuris» anziché «Papazuris».
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Registra vaticana 188, cc. 23r-24r (30 maggio 1348); 219, c. 76v-77v (24 maggio 1353); 224, c. 352v (17 luglio 1353); cc. 364r (17 luglio 1353); 231, cc. 215r-216r (23 luglio 1355); 229, c. 233r-v (5 agosto 1355); 233, cc. 435v-436r (30 giugno 1358); 252, cc. 184v-185r (4 agosto 1363); 252, c. 289r (5 ottobre 1363); Obligationes et solutiones 22, c. 41v (31 maggio 1348); 22, c. 143r (7 luglio 1353); 35, c. 53r-v (28 luglio 1363); Registra supplicationum 21, c. 90v; 41, c. 192v (5 febbraio 1364); 29, cc. 67v-68r (5 marzo 1357); 29, c. 112r (7 maggio 1357); cc. 166v-167r (29 luglio 1357); 40, c. 194v (15 ottobre 1363); Introitus et exitus 300, c. 11r (27 maggio 1363); c. 14r (23 giugno 1363); Instrumenta miscellanea 2309 (post 21 luglio 1363); Biblioteca apostolica Vaticana, Borg. lat. 329, f. 160. Paris, Bibliothèque nationale de France, Lat. 5690, c. 6v (per la nota di possesso autografa di Bartolomeo); G. Nicolini, Historia della illustre città di Chieti metropoli delle Provincie d’Abruzzo, Napoli 1657, pp. 161-167; V.M. Fontana, Sacrum Theatrum Dominicanum, Romae 1666, pp. 93, 104, 306; J. Salomonius, Urbis Patavinae inscriptiones sacrae et prophanae, Patavii 1701, pp. 64 s. [120] (per l’iscrizione funebre di Bartolomeo); J. Quétif - J. Échard, Scriptores Ordinis Praedicatorum (SOP), t. I, Lutetiae Parisiorum 1719, p. 652b; F. Ughelli, Italia sacra, t. VI, Venetiis 1720, pp. 570, 743 s., 837; Bullarium Ordinis FF. Praedicatorum, a cura di A. Brémond, II, Romae 1730, pp. 241, 254; G. Ravizza, Memorie istoriche intorno la serie de’ vescovi ed arcivescovi teatini, Napoli 1830, p. 20; F. Petrarca, Epistolae de rebus familiaribus et variae, a cura di I. Fracassetti, III, Florentiae 1863, pp. 398 s.; T.P. Masetti, Monumenta et antiquitates veteris disciplinae ordinis Praedicatorum, I, Romae 1864, pp. 55 s., 123; M. Vattasso, Del Petrarca e di alcuni suoi amici, Roma 1904, pp. 16 s; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Ævi, I, Monasterii 1913, pp. 480 s.; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, t. VIII, anni 14 (5 sept. 1329-4 sept. 1330) a cura di G. Mollat, Paris 1923, p. 201 [44610]; Regesto delle pergamene della Curia arcivescovile di Chieti (1006-1400) a cura di A. Balducci, I, Casalbordino 1926, pp. 60-72; F. Petrarca, Le Familiari, a cura di V. Rossi, I-IV, Firenze 1934; Acta capitulorum provincialium Provinciae Romanae, edd. T. Kaeppeli - A. Dondaine (=APR), Roma 1941 (MOPH, XX), pp. 279 [28 s.], 297 [6], 300 [20 s.], 309 [18 s.]; E.H. Wilkins, The making of the «Canzoniere» and the other Petrarchan studies, Roma 1951, p. 325; Urbain V, Lettres secrètes et curiales..., a cura di P. Lecheux - G. Mollat, Paris 1954, pp. nn. 564, 617, 636 s.; F. Petrarca, Prose, a cura di G. Martellotti, Milano-Napoli 1955; P.B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae catholicae, Graz 1957 (rist. anast. dell’ed. 1886), p. 431; Urbain V, Lettres communes, a cura di P. Gasnault, Paris 1964, pp. 108 s. [5791]; G. Morelli, Manoscritti di interesse abruzzese della Biblioteca Vaticana, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, LXVII (1973), p. 94 [371]; K.M. Setton, Europe and the Levant in the Middle Age and the Renaissance, London 1974, II, p. 418, VI, p. 120; Id., The Papacy and the Levant (1204-1571), I, Philadelphia 1976, pp. 212 s., 215, 255-257; G. Fedalto, La Chiesa latina in Oriente, I, Verona 1976, pp. 364 s.; II, p. 191, III, Verona 1978, p. 100 [224]; A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, p. 425; G. Billanovich, La tradizione del testo di Livio e le origini dell’Umanesimo, I/1, Padova 1981, pp. 191-200, 207 s. (tav. XVI.2); R. Brentano, Vescovi e vicari generali nel basso Medioevo, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Atti del VII convegno di Storia della Chiesa in Italia, a cura di G. De Sandre Gasparini et al., Roma 1990, pp. 547-567 (in particolare pp. 560 s.); M. Perletta, La vicenda di Francesco de Turre, usurpatore dei beni della chiesa teatina, tesi di laurea discussa presso la facoltà di giurisprudenza, Università di Teramo, a.a. 1991-1992, relatore prof. V. Valentini; T. Kaeppeli O.P. - E. Panella O.P., Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Ævi (SOPMÆ), IV, Romae 1993, p. 42; A. Modigliani, I Porcari. Storie di una famiglia romana tra Medioevo e Rinascimento, Roma 1994, p. 589b (per l’identità ‘Papazurri’ ‘Paparoni’); A. Rehberg, Familien aus Rom und die Colonna auf dem Kurialen Pfruendenmarkt (1278-1348/78), t. I, in Quellen und Forschungen aus italienischen Bibliotheken und Archiven, LXXVIII (1998), pp. 1-122; M.G. Del Fuoco, Raimondo de Mausaco O.M. e l’inventario dei beni della diocesi teatina, in Episcopati e monasteri a Penne e in Abruzzo (secc. XII-XIV). Esperienze storiografiche e storiche a confronto, Napoli 2008, pp. 143-171; E.H. Wilkins,, Vita del Petrarca, a cura di L.C. Rossi, traduzione di R. Cesarani, Milano 2012.