VARIGNANA, Bartolomeo
da. – Nacque in data imprecisata – ma forse nella seconda metà degli anni Cinquanta del Duecento visto che nel 1278 è qualificato a sua volta come magister – dal magister Giovanni da Varignana (attestato nel 1252, defunto nel 1278), medico, trasferitosi a Bologna dal castello omonimo.
Si può supporre che Bartolomeo abbia ricevuto i primi insegnamenti dal padre medico; poi frequentò la scuola di Taddeo Alderotti, il più celebre medico del tempo, che cominciò a tenere scuola a Bologna a partire dal 1260, e che contribuì a creare la facoltà di medicina nello Studio.
La relazione tra i due fu contrassegnata da amicizia (se, come sembra, Bartolomeo compose un Commentarium Thaddei Alderotti in Hippocratis De regimine acutorum), ma anche da contrasti, che emergono sia in una denuncia del 1286, in cui Bartolomeo accusava un allievo di Alderotti, un tal Benelli di Osimo, di avergli furtivamente rubato alcuni libri, sia in un’accusa del 1292, in cui il maestro fiorentino accusava l’allievo bolognese di avergli sottratto studenti. In questo secondo caso le parti stabilirono di commettere la causa nelle mani del vicario dell’arcidiacono di Bologna, che pose termine alla lite.
Dalle carte processuali del 1286 risulta che Bartolomeo abitava nella cappella di S. Antolino, nel borgo delle Banzole, presso porta Nuova, cioè nella zona universitaria, dove si trovavano le aule della facoltà di medicina e arti. La documentazione consente di conoscere i libri filosofici che formavano la sua biblioteca, assai aggiornata. In essa compaiono la Metafisica, il De anima, un trattato sugli animali (probabilmente nella nuova traduzione di Guglielmo di Moerbeke), i commenti di Alderotti al De generatione et corruptione e agli Aforismi di Ippocrate, completato solo nel 1283.
In data imprecisata, ma orientativamente negli anni Settanta/Ottanta, Bartolomeo sposò Michelina di Nascimbene da Sala, da cui ebbe tre figli, Guglielmo (v. la voce in questo Dizionario), Giovanni e Corradino: i primi due furono avviati alla professione medica.
Secondo Luigi Samoggia (1963, pp. 51 s.), la fama professionale portò a Bartolomeo, già in età relativamente giovanile, ricchezza e onori pubblici.
L’agiatezza emerge tanto dall’elenco dei beni sottratti da Benelli, tra cui compaiono abiti lussuosi guarniti d’argento, un anello d’oro con zaffiro, quanto da una lettera inviata, nel 1291, dal podestà di Bologna in cui emerge la larga disponibilità di contanti di Bartolomeo, che prestava denaro a credito agli studenti residenti a Bologna. La sua fama non fu limitata all’ambito locale: nel 1293 fu chiamato a curare il marchese di Ferrara, Aldobrandino II d’Este, ricevendone in cambio un cospicuo onorario. Al pari di Alderotti, Bartolomeo svolse dunque un’attività professionale alquanto redditizia, curando una clientela facoltosa e rilevante socialmente. Nel complesso doveva avere un giro d’affari notevole se, il 2 luglio 1302, nominava un mandatario generale ad negotia; una floridezza che però non appare dalla sua denuncia d’estimo del 1305.
Di un certo rilievo fu anche l’attività politica di Bartolomeo che venne eletto più volte nei consigli cittadini: una prima volta nel Consiglio dei duemila, in qualità di rappresentante della Società d’armi delle chiavi, quindi nel Consiglio degli anziani e consoli, fino a raggiungere, nel 1303, l’incarico di priore, massima carica del Comune, ai vertici delle istituzioni cittadine (egemonizzate allora dai guelfi bianchi). Quando nel 1306, a seguito di un colpo di Stato, il partito dei neri prese il sopravvento nel Comune di Bologna, Bartolomeo subì pertanto un provvedimento di condanna al confino a Venezia. Ma già nel 1307 poté far rientro in città, dove continuò a servire il Comune in qualità di medico condotto, fino al novembre del 1310.
L’insegnamento universitario di Bartolomeo a Bologna è attestato a partire dal 1292 – quando, come si è accennato, dovette difendersi dall’accusa di Alderotti di avergli sottratto studenti – e sino al 1311. Sappiamo che egli introdusse nel programma scolastico bolognese le opere di Galeno, ispirato probabilmente dall’insegnamento di Alderotti. Inoltre, Bartolomeo pronunciò in occasione dell’inaugurazione di un corso universitario un Sermo in principio Studii medicine (scoperto da Andrea Tabarroni, esaminando il commento al De interioribus di Galeno, sul quale vedi infra). Si tratta della testimonianza più antica di tale solenne genere di testo accademico: il più precoce discorso ufficiale che sia stato prodotto nello Studio di medicina e arti di Bologna.
È poi particolarmente ben documentata l’attività di Bartolomeo in qualità di medico legale svolta in questi stessi anni al servizio del Comune, e in particolare nel periodo fra il 1302 e il 1310.
La procedura medico-legale a Bologna appare consolidata negli statuti bolognesi del secolo XIII e la storiografia ha ormai dimostrato esaustivamente il primato bolognese nello sviluppo della perizia giudiziaria. Insieme alle norme statutarie, sono le numerose carte di corredo prodotte dal tribunale del podestà conservate presso l’Archivio di Stato di Bologna a consegnarci un numero discreto di giudizi medico legali, tra cui anche quelli di Bartolomeo. Mettendo per il momento da parte l’annosa questione su chi tra Bartolomeo e Mondino de’ Liuzzi avesse effettuato la prima necroscopia, si deve rimarcare le sostanziali differenze tra finalità, metodi e modi di procedere dei due medici. Secondo Chieregatti, se Mondino de’ Liuzzi, pur tentando di affrancarsi dal dogmatismo di Galeno, rimase fondamentalmente ancorato alla scolastica, anche se con la celeberrima indicazione in campo autoptico excarnando procedere, avviava il metodo settorio e quindi la diretta osservazione dei vari piani anatomici, Bartolomeo superava tale dogmatismo grazie al rigore metodologico che basava il giudizio sulla diretta osservazione autoptica, sul ragionamento anamnestico-clinico, sulla rispondenza tra denuncia, modalità del crimine e lesività riscontrata sul vivente o sul cadavere, come emerge da una celebre autopsia resasi necessaria a seguito di un’accusa di veneficio. Nel febbraio del 1302 era morto improvvisamente Azzolino del fu Onesto e il giudice del podestà, sospettando un avvelenamento, si rivolse al medico Barufaldino, che lo aveva visitato, in seguito alla richiesta dei familiari, poche ore prima del decesso. Il collegio peritale costituito dai medici fisici Bartolomeo e Giacomo Rolandini e dai chirurghi Giovanni da Brescia, Pace degli Angeli e Tommasino Grinci giunse a concorde giudizio stabilendo che Azzolino non era stato avvelenato, ma era deceduto a causa di un’emorragia interna. Lo stesso anno, tra l’ottobre e il dicembre, Bartolomeo fece parte di un altro collegio medico-peritale formato da Giacomo Cristiani e Giovanni Durante, che doveva esprimersi su una possibile fattura, commessa da Villana di maestro Alberto da Faenza, ritenuta fattucchiera, che avrebbe portato alla morte per pazzia il marito. Ma Bartolomeo, che aveva visitato e medicato l’infermo, stabilì che non era diventato pazzo a causa di un maleficio.
Bartolomeo applicò nelle sue perizie in modo accurato l’esame sui pazienti e la necroscopia sui cadaveri, che venivano da lui visi, tentati, inspecti e circumspecti in modo diligente da capo a piedi. Gli indicia, i signa, gli accidentia, gli simptòmata venivano valutati da Bartolomeo e trovavano ampio spazio nelle sue conclusioni, che tenevano, inoltre, in considerazione gli interrogatori di familiari, conoscenti, testimoni in grado di ricostruire il quadro preciso in cui era avvenuto il decesso, il ferimento o l’eventuale avvelenamento. Non meno diligente e prudente appare Bartolomeo nell’osservare le norme deontologiche allorché dichiara che i sintomi rilevati nel caso forense a cui doveva presentare un giudizio oggettivo non costituiscono segni sicuri. A questo proposito si ricorda un suo parere del maggio 1302, allorché incaricato insieme con Giovanni di Parma di accertare se Giulia di San Giovanni in Persiceto fosse o meno in stato di gravidanza, pronunciò un parere interlocutorio, non definitivo, pur dopo che si era rivolto alla consultazione di un’ostetrica esperta e che aveva visitato la donna. Nella sua relazione presentata al giudice del podestà si legge che non vi erano certiora signa per rispondere al quesito proposto.
In generale i referti di Bartolomeo sono più diffusi, circostanziati e motivati di quelli di altri contemporanei e in essi compaiono riferimenti diretti alla letteratura medica del tempo o ad autori classici della medicina antica confermando la sua preparazione teorica. Non meno importanti appaiono le sue esposizioni circostanziate e le conclusioni motivate che ne dimostrano l’esperienza pratica e le capacità diagnostiche e prognostiche. Le perizie permettono di documentare la conoscenza di Bartolomeo delle tecniche necroscopiche, anche su cadaveri esumati o in fase di decomposizione, dei fenomeni patologici da veneficio, delle alterazioni viscerali derivanti e della sintomatologia delle lesioni del parenchima polmonare.
Nell’aprile del 1311 Bartolomeo aderì a Enrico VII, nemico del Comune bolognese, in occasione della sua spedizione italiana, e lasciò Bologna per prestare le sue cure all’imperatore, impegnato nell’assedio di Brescia. Questa scelta costò a lui e ai suoi discendenti la condanna al bando e alla confisca dei beni, come appare nella riformagione del Consiglio degli anziani e consoli del 15 ottobre 1311. Il suo coinvolgimento nelle vicende enriciane fu forte e significativo.
Quando Enrico VII morì improvvisamente a Buonconvento il 24 agosto 1313, non si ritenne il decesso naturale e si parlò apertamente di veleno, somministrato nell’ostia dell’eucarestia da parte del confessore dell’imperatore (il domenicano Bernardo, che avrebbe agito su istigazione del tesoriere del re di Francia). In tale occasione Bartolomeo scrisse un consilium in cui scagionava il frate e dichiarava che Enrico VII era morto per cause naturali (Commentarium per Henricum VII imperatorem in Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 23912, cc. 213-214).
Negli anni successivi, Bartolomeo poté trovare rifugio presso regimi comunali e signorili filoghibellini (ma non solo). Fu forse a Genova, a Venezia e a Zara dove, nel 1319, si trovava il figlio Guglielmo, in qualità di medico al servizio del governatore di Bosnia e Croazia. Tra il 1319 e il 1321 fu invitato a esercitare a Firenze, Venezia e Perugia.
Probabilmente morì prima di luglio del 1328 in un luogo non precisato e venne sepolto nel cimitero della chiesa di S. Francesco a Bologna. Nei suoi confronti, espresse viva ammirazione Pietro d’Argelata nella sua Chirurgia.
Opere. Restano, di Bartolomeo, un commento agli Aphorismi di Ippocrate (Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Amplon. IV.178, cc. 1r-30r) e i commenti ad alcune opere di Galeno come il De accidenti et morbo (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4452, cc. 67r-82v), il De complexionibus (Vat. lat. 4451, cc. 57r-87v), il De interioribus (Vat. lat. 4452, cc. 883r-102r), il Tegni (Erfurt, Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Erford II.172, cc. 1r-30r). Se incerta appare l’attribuzione a Bartolomeo del Tractatus parvus dosium (Dessau, Stadtbibliothek, Georg. 72° IV, cc. 52r-55r e Oxford, Bodleian Library, Canon. Misc. 156, cc. 32v-39r), sono da attribuirgli sicuramente l’Electuarium contra vitium lapidis in renibus vel in vesica (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat., 1260, c. 59r), lo Scriptum super illo capitulo de cura putridarum in generali prime fen 4 Canonis Avicennae (Parigi, Bibliothéque nationale de France, Lat. 6872, cc. 127v-133r), nel quale rimane traccia (così come nel commento al De complexione) del tentativo di Bartolomeo di conciliare il pensiero di Avicenna con quello di Galeno, analogamente a quanto Pietro d’Abano veniva facendo a Padova.
Un cenno a parte merita la Practica a capite usque ad pedes (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5373, cc. 65r-88v), scarno trattatello didascalico in cui vengono prese in considerazione, in modo sintetico, le terapie delle diverse affezioni morbose. La Practica di Bartolomeo ci è giunta, come l’intera restante produzione scientifica medico-filosofica, solo manoscritta e il suo successo venne superato dalla fortuna toccata in sorte all’opera Secreta medicine del figlio Guglielmo, che fu anche pubblicata a stampa. Entrambe le opere presentano un’articolazione costituita di un primo trattato dedicato alla terapeutica delle affezioni dei singoli organi, a cui sono fatti seguire i trattati dedicati alla terapeutica delle febbri, del vaiolo, del trattamento delle ferite e degli ascessi. L’opera si conclude con la presentazione sia degli antidoti contro i veleni animali e vegetali, sia dei medicamenti per le affezioni della cute e dei suoi annessi.
Infine, Bartolomeo scrisse l’Expositio totius pseudo Aristotelis Yconomicae (Venezia, Biblioteca dei PP. Redentoristi, 3, cc. 33r-50r): il commento rappresenta una testimonianza della convergenza che si concretizzò a Bologna tra la facoltà di diritto e quella delle arti e medicina intorno alle tematiche riguardanti la realtà sociale, affrontate in un caso in termini legali e nell’altro in termini di filosofia morale, naturale e di scienza medica.
Bartolomeo si mostra nella sua produzione scientifica titubante ad associare medicina e filosofia naturale. Nel commento al De interioribus, l’opera di Galeno dedicata alle manifestazioni della malattia e delle lesioni degli organi interni, egli esamina criticamente la definizione di medicina quale philosophia corporis e giunge alla conclusione che la medicina non possa essere considerata in alcun modo subalterna alla scientia naturalis, anche se quest’ultima fornisce una conoscenza teorica degli aspetti del corpo umano e anche se il metodo dimostrativo è il medesimo per entrambe le discipline. In questo modo Bartolomeo forniva ai suoi lettori una decisa difesa dell’autonomia della scienza medica, pur non sostenendo, con tale presa di posizione, l’esclusione dalla formazione dei medici dello studio della logica e delle scienze naturali aristoteliche.
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