CORTE (Curtius), Bartolomeo
Nacque a Milano nel 1666 da una famiglia di antica nobiltà. Del padre, Carlo, si sa solo che fu cassiere della Cassa di redenzione di Milano e che ebbe, oltre al C., un figlio Giuseppe, avvocato, e varie figlie che si fecero monache. Il C. studiò medicina e si laureò a Pavia nel 1681, giovanissimo; volle poi intraprendere studi teologici, ma li interruppe dopo due anni, benché gli rimanesse per tutta la vita una profonda e, a tratti, ascetica religiosità. Certamente anche dal suo vissuto spirito di carità cristiana derivò la scelta di esercitare la professione medica particolarmente a favore dei poveri, che assisteva anche economicamente, procurandosi la fama di uomo pio e continente anche col suo modo di vivere riservato e parco, forse in contrasto con la ricca abitazione avita di piazza S. Vittore, dotata di molti servitori e di una ricca pinacoteca. Lavorò per lunghi anni all'ospedale Fatebenefratelli, più per vocazione che per bisogno, dato il ricco patrimonio e le vaste tenute della famiglia. Partecipò attivamente alla vita culturale della città: col nome arcadico di Hicesius entrò nel 1714 all'Accademia Leopoldino-Carolina Naturae Curiosorum; la sua cultura spaziava dalle scienze mediche alla matematica e alla musica; la sua vasta biblioteca era ricca di libri di pregio, soprattutto medici.
Compì numerosi viaggi e fu in corrispondenza con intellettuali e scienziati di tutta Italia: Vallisnieri, Valsalva, Morgagni, Nigrisoli, Lancisi, Torti, Vogli, oltre che con eruditi come Bacchini e Muratori. La sua amicizia era ricercata anche da medici stranieri. Ma non gli mancarono scontri polemici, con il Ricca, lo Zeno e altri. Fin dalle sue prime opere volle confrontarsi su due questioni allora molto dibattute, l'una religiosa, l'altra più strettamente medica. La sua prima pubblicazione fu infatti Lettera nella quale si dinota da qual tempo probabilmente s'infonde nel feto l'anima ragionevole, apparsa a Milano nel 1702.
Con argomenti razionali di derivazione cartesiana, filtrati attraverso le opere di Johann Clauberg, egli difende la tesi preformistica, affermando che l'anima razionale si infonde nell'embrione all'atto stesso del concepimento. Il corpo fisico e l'anima razionale, a suo dire, si uniscono per mezzo dell'anima sensitiva, e tale unione deve avvenire "in quel istante, che il Feto comincia a vivere, che veramente è quello della Concezione", "accioché non manchi al suo vivere quella perfezione, che gli è dovuta naturalmente, o per meglio dire, ch'è sua natura" (p. 79). È questa la più importante delle sette conclusioni a cui giunse con argomenti biblici e filosofici più che medici. Tra l'altro sostiene anche che la generazione non fa che continuare l'opera della creazione divina. Il fatto che i caratteri fisici del feto non siano visibili già durante il primo mese di vita non è per lui una prova della loro inesistenza, anzi cita gli esperimenti del Harvey sulle sensazioni del feto fin dai primi giorni per opporsi alla tesi secondo cui il feto va considerato formato solo dopo il quarantesimo giorno, affermazione di origine aristotelica dovuta per lui alla scarsa esperienza nell'esame anatomico del feto. A conferma di ciò cita, oltre alla Bibbia, Duhamel, De Cardenas, Caramuel, Ficino, Fernel.
Ma la preoccupazione di mostrare la sua fedeltà all'ortodossia non valse ad evitare la condanna del S. Uffizio, che con decreto del 18 ott. 1703 mise all'Indice la lettera, difesa invece per la chiarezza e la razionalità dagli Acta eruditorum di Lipsia. In realtà il C. non si aspettava una così recisa condanna, che suscitò vasta eco anche fra i teologi, fra i quali taluno riteneva che la sua teoria giustificasse l'estensione del battesimo anche ai feti abortivi. La questione fu risollevata dal granduca Cosimo III di Toscana, che la sottopose al S. Uffizio e, alla risposta che è meglio comunque battezzare sub condicione, sentito il parere di medici e teologi, invitò il C. a esporre le sue tesi di persona; ciò che egli fece, presentando nel maggio di quell'anno la sua Disertazione dell'animazione del feto umano (ms. Braidense, Z VIII 171/n. 1, pubbl. da Zanobio, Contributo..., pp. 93-100).
Dopo aver esaminato le affermazioni di filosofi pagani, maomettani e cristiani al proposito, il C. riafferma la tesi dell'animazione preformista, sostenendo che le esperienze più recenti, compiute col microscopio, avevano dimostrato la presenza di una perfetta organizzazione del feto fin dai primi giorni, mentre la teologia cattolica continuava a fondarsi su passi biblici di discussa interpretazione. Se vari teologi raccomandavano il battesimo del feto, voleva dire che l'anima può incarnarsi anche prima del quarantesimo giorno. È questo il dubbio che egli pone, sottoscritto da vari professori di Milano e Pavia, e da teologi somaschi, agostiniani, gesuiti (carte e documenti relativi a tutta la questione si trovano nel vol. miscellaneo della Braidense, B. VIII. 4, 556/1).L'altra questione su cui il C. prese posizione fu quella del salasso, con Riflessioni sopra alcune opposizioni addotte contro del salasso, Milano 1713. Esaminando quantità e qualità del sangue, egli difende la flebotomia e critica coloro che citano gli oppositori di essa solo per combatterli.
L'opera ebbe scarsa accoglienza presso il pubblico medico ed una recensione negativa sul Giornale de' letterati, XVI (1713), pp. 499 ss., ma la querelle proseguì con gli interventi del Giorgi, Vallisnieri, Rotari, Gazola, Piccolo e altri. Lo stesso C. rispose con le Osservazioni sopra la relazione fatta del suo opuscolo intitolato: Riflessioni sodette, che fu mandato da Milano..., Milano 1714, prendendosela con lo Zeno, secondo lui autore della stroncatura. Il periodico rispose (XXI 117151, pp. 454 ss.) con ironia affermando che le Riflessioni sarebbero passate inosservate senza quella polemica, e che egli avrebbe dovuto essere contento, non risentito dell'attenzione dedicatagli.
Su invito del padre somasco G. P. Mazzucchelli, che intendeva pubblicare una nuova edizione dell'Ateneo de' letterati milanesi del Picinelli, il C. pubblicò quella che si può considerare la sua opera più nota e consultata, Notizie istoriche intorno a' medici scrittori milanesi e a' principali ritrovamenti fatti in medicina dagli Italiani, Milano 1718.
Ricordato quanto debbano la cultura e la scienza all'ingegno degli Italiani, in particolare per il metodo sperimentale, egli presenta un panorama cronologico, diviso per secoli, della medicina milanese, da Giovanni da Milano al 1715, sottolineando che col sec. XVI una serie di grandi scoperte permise all'Italia di riconquistare il primato nella scienza medica, perduto nel Medioevo a favore degli Arabi. Le biografie dei singoli medici, minuziose ed erudite, sono costituite da citazioni di vari autori, riproduzioni di lapidi tombali, privilegi e documenti granducali, versi laudativi, e comunque mancano di ogni valutazione critica sia delle opere che della personalità scientifica dei biografati, posti tutti, come spesso nei repertori settecenteschi, su un identico piano di eccellenza che finisce per appiattirli e farli assomigliare gli uni agli altri. Il secolo a cui è dedicato maggior spazio è il Seicento, ricco di scoperte e di personalità mediche di primo piano. Particolare attenzione va anche all'insegnamento medico: viene ricordato che molti stranieri illustri si formarono nelle università italiane. Se lo scopo dell'opera è quello di togliere dall'oblio molti minori a torto dimenticati e fornire una miglior conoscenza di alcuni maggiori, cui contribuiscono anche le giunte di G. B. Sitone di Scozia e di L. A. Cotta con vari documenti, il C. l'ottiene senza risultati originali, data la sua preparazione piuttosto tradizionale e l'impianto compilatorio del lavoro, che pure è l'unico del genere.
Del resto anche altre sue opere, di argomento più strettamente medico, non sanno sottrarsi a una tentazione poco scientifica di sistemazione metafisica, per cui giustamente fu rimproverato di non aver dato dimostrazioni sperimentali di certe sue intuizioni, come riguardo al contagio vivo, da lui trattato nella Lettera intorno all'aria e vermiccioli se cagioni della peste, Milano 1720, e nella Lettera apologetica intorno a gli effluvii, sì organici o inorganici, cagione della peste, ibid. 1721.
Nella prima egli afferma che il contagio si diffonde ad opera di certi "vermiccioli" o piccolissimi "insetti", simili a quelli della rogna. Essi sono originari dell'Africa, ed in particolare dell'Egitto; vengono portati in Europa (nella lettera si riferisce in particolare alla recente peste diffusa in Provenza) per mezzo di oggetti o negli abiti, per cui a ragione il Vallisnieri sconsiglia l'uso di abiti a larghe pieghe, sicuro rifugio per tali insetti, che vivono sul corpo umano e si nutrono di sangue. Il C. raccomanda l'igiene personale e l'uso di profumi e unzioni, dato che non esiste alcun rimedio specifico basato sui semplici. Alle osservazioni critiche del Muratori, del Ricca e dell'Alberizzi il C. intese rispondere con la seconda lettera, in cui sostiene che, se fino ad allora non erano stati individuati tali "vermi" per la loro estrema piccolezza, avrebbero potuto esserlo in seguito con l'uso del microscopio; è sua ferma convinzione che tali "atomi animati" siano causa, non effetto della peste, e che quindi devono giungere da qualche parte: si oppone infatti decisamente alla teoria della generazione spontanea, e cita esperienze del Redi, del Lancisi e del Cogrossi. In assenza di affermazioni pericolose, la lettera ottenne l'imprimatur, ma non mancarono le critiche e le risposte polemiche, anche anonime, soprattutto contro la tesi che tali "vermi" sono corpi organici e infettano il sangue.
Negli ultimi anni si occupò ancora di argomenti teologici (il giudizio universale), geografici (l'origine di alcuni fiumi lombardi), botanici (uso del fungo maltese), polemizzando su varie altre questioni. Morì a Milano il 17 genn. 1738 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria dei servi, oggi distrutta. Lasciò i suoi beni all'ospedale Fatebenefratelli, e la sua biblioteca, affidata ai gesuiti, si trova attualmente alla Braidense.
Fonti e Bibl.: Acta erudit. Lipsiensium, XXII (1703), pp. 469-71; G. B. Sitone di Scozia, Theatrum equestris nobilitatis secundae Romae, Mediolani 1706, p. 91; C. Ricca, Morborum vulgarium historia, Augustae Taurinorum 1721, p. III; G. M. Stampa, Epigrammata sacra, heroica, ethica miscellanea, Mediolani 1727, p. 79; A. Vallisnieri, De' corpi marini, Venezia 1728, I, p. 201; II, pp. 118, 147-57; Id., Opere fisico-mediche stampate e manoscritte, Venezia 1733, I, pp. 380 ss.; II, pp. 454-57; G. Cinelli Calvoli, Bibl. volante, II,Venezia 1735, p. 203; P. Argelati, Bibl. scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, I, 1, coll. 529 s.; II, I, coll. 1983 s.; I. A. Sassi, Historia literario-typographica Mediolanensis, 1, 2, Mediolani 1745, p. DLXI e passim; N. Eloy, Dict. histor. de la médecine, I, Mons 1778, p. 712; P. Sangiorgio, Cenni stor. sulle due università di Pavia e di Milano, Milano 1831, pp. 357-61; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, IV,Napoli 1845, pp. 217, 358, 394, 464, 566; V. Forcella, Iscrizioni delle chiesee degli altri edifici di Milano, I,Milano 1899, p. 105; A. Pazzini, Bibl. della storia della medicinaital., Milano 1939, p. 167; L. Belloni, La medicina a Milano sino al Seicento, in Storia di Milano, XI,Milano 1958, pp. 596 s., 599; B. Zanobio, Docum. e scritti ined. di B. C., in Rend. dell'Ist. lomb. di scienze e lett., s. 2, XCVI 1962), pp. 266-72; Id., Contr. alla vita e all'opera di B. C., Milano 1963; A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XXIII, p. 22; XXVII, p. 101.