COLUMNIS (Colonis, Columna), Bartolomeo (Nicola Bartolomeo)
Nacque nell'isola greca di Chio nella prima metà del sec. XV da Pietro, sotto dominio genovese.
Il nome completo del C. era Nicola Bartolomeo, ma preferì sottoscriversi quasi sempre solamente con il secondo nome. La sua famiglia era molto probabilmente originaria di Genova: sono ricordati nel Quattrocento vari genovesi con lo stesso cognome che ebbero rapporti con l'Oriente.
Il C. svolse, almeno in gioventù a Chio, l'attività di copista, come ci testimonia la sottoscrizione del codice Rossiano 703 della Bibl. Apost. Vatic. da lui scritto nell'isola con una umanistica piuttosto bella che mostra già una notevole pratica.
Durante questo suo periodo di vita a Chio, e in ogni caso in Oriente, raccolse un certo numero di manoscritti greci almeno sette dei quali, recanti la sua nota di possesso, sono conservati presso la Biblioteca Vaticana. Questi ultimi rappresentano forse solo una parte, probabilmente limitata, della biblioteca del C. e potrebbe essere azzardato trarne conclusioni sulla sua attività e sui suoi interessi: accanto ad un'Iliade (i primi undici canti) i commenti di Proclo a Platone e di Michele Efesino ad Aristotele, l'Isagoge di Porfirio, ma anche un lessico greco-latino e latino-greco ed una grammatica di Manuele Moscopulo. Peraltro un suo interesse per i testi filosofici o letterari è intuibile così come può ipotizzarsi una sua formazione culturale bizantina; d'altra parte non dovettero mancare nella sua formazione anche influssi umanistici, abbastanza sensibili in Chio dove soggiornò, all'inizio del secolo, Guarino Veronese e dove visse quell'Andreolo Giustiniani che intrattenne rapporti con parecchi unianisti italiani quali G. Bracelli, Poggio, Ciriaco d'Ancona, il Traversari.
Le notizie riguardanti il C., per questo primo periodo della sua vita, sono scarse; si infittiscono a partire dal 1454, anno nel quale, secondo una nota autografa contenuta in uno dei codici da lui posseduti, il 7 agosto si imbarcò su una nave per approdare il 12 successivo a Creta. Non sappiamo se con questo viaggio egli abbia lasciato definitivamente la sua isola: certo il tono della nota lo lascia intendere, e d'altra parte molti latini lasciavano allora Chio, sottoposta in quegli anni a sempre più forte pressione turca. In quell'anno comunque, o negli anni immediatamente seguenti, il C. si recò in Italia dove stabilì definitivamente la sua dimora; sbarcò probabilmente ad Ancona, città che intratteneva notevoli rapporti con l'Oriente.
Stabilitosi nelle Marche, il C. vi allacciò relazioni personali che gli valsero in seguito l'investitura da parte di Pio II di una conveniente dignità ecclesiastica, quella di commendatario del monastero di S. Maria di Roti, situato vicino Matelica. Lo avevano raccomandato i signori di Matelica, Antonio e Alessandro Ottoni, patroni del monastero, che lo presentarono come studioso di lettere greche e latine; egli prese immediatamente possesso della commenda che dovette risolvere i suoi problemi materiali e permettergli una vita abbastanza tranquilla da dedicare agli studi.
Il C. ebbe anche un'altra attività, piuttosto singolare, in fondo, alla luce delle notizie che lo riguardano e tuttavia non troppo lontana dalla sua originaria professione di copista: fu, infatti, il primo tipografo di Matelica dove, nel 1471, stampò e sottoscrisse una edizione della Vita della Madonna di Antonio Cornazzano che è conservata in un unico esemplare posseduto dalla Bibl. Ambrosiana di Milano. Si tratta di un libretto di 34 carte, in 40 senza segnature, stampato con un carattere romano piuttosto originale che non risulta usato in nessun'altra edizione nota, e impiegando una carta che, per quanto è deducibile dalla filigrana, doveva provenire dalle cartiere di Fabriano. Non è probabile che il C., commendatario di un ricco monastero, fosse intenzionato ad intraprendere, attraverso la tipografia, un'attività commerciale; d'altronde Matelica e le Marche in generale non potevano certo offrire uno sbocco commerciale alla sua tipografia. La scarsezza di imprese analoghe nella regione per tutto il Quattrocento ce ne dà conferma. Il C. volle invece, probabilmente, sperimentare, lui copista, questa nuova arte "meccanica" che stava rinnovando la forma del libro e della quale già circolavano parecchi esempi (era esercitata anche nella vicina Iesi da Federico de' Conti). Non sappiamo se avesse dei collaboratori in questa attività né se fondesse egli stesso i caratteri, ma è molto probabile che fosse lui l'autore del loro disegno; sono ignoti altri prodotti dell'officina tipografica di Matelica.
Nel 1475 il C., quale commendatario del monastero di Roti, fece costruire il campanile, ancora esistente, della chiesa di S. Maria in Piazza, ora cattedrale di Matelica, che apparteneva al suo monastero. Allo stesso periodo di tempo è stato attribuito un codice da lui sottoscritto, contenente le Institutiones oratoriae di Quintiliano con gli scolii del Valla, conservato nella Biblioteca universitaria di Leida.
L'ultima notizia che possediamo riguardante il C. è del 5 ott. 1487, quando redigeva l'inventario dei beni di Alessandro Ottoni, morto in quell'anno; nel modesto elenco di libri che vi è contenuto sono ricordati un offiziolo scritto dallo stesso C. e "più quinterni della vita di nostra donna" che potrebbe pure identificarsi con l'edizione della Vita della Vergine Maria stampata nel 1473.
Bibl.: C. Acquacotta, Lapidi e docum. alle memorie di Matelica, Ancona 1839, pp. 9, 283-287, 355; T. De Marinis, Appunti e ricerche bibliografiche, Milano 1940, pp. 93, 94, tavv. CLVIII, CLIX; A. Campana, Chi era lo stampatore B. de C. di Chio, in Studi e ricerche sulla storia della stampa del Quattrocento, Milano 1942, pp. 1-32; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VII, n. 7556/10; Indice gen. degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, II, n. 3205.