CERMISONE, Bartolomeo (Cermisone da Parma)
Nacque a Parma, intorno al 1340, da Antonio.
Non ci resta alcuna notizia sui suoi genitori, né sulla sua prima giovinezza. Il C. fu tra i primi italiani che si conquistarono fama come capitani di fanteria, e i suoi successi alle Brentelle e a Castagnaro contribuirono molto alla maggiore importanza attribuita alle fanterie nelle guerre italiane; tuttavia, egli è oggi ricordato piuttosto come padre di Antonio, famoso professore di medicina.
Secondo il Vergerio il C., giunto a Padova poco prima del 1360, impressionò grandemente Francesco il Vecchio da Carrara con la sua abilità nel maneggio delle armi, ed ammesso alla corte divenne tra i più stretti familiari del Carrarese. Intorno al 1379 comandava la fanteria padovana e, agli inizi della guerra di Chioggia, conquistò ai Veneziani la bastia di Morenzan (6 aprile). Nell'agosto dello stesso anno fu inviato con 3.000 fanti a raggiungere l'armata padovano-genovese che assediava Chioggia, ed ebbe una parte notevole nella conquista della città. Nel febbraio del 1384, dopo la resa della guarnigione austriaca di Treviso ai Padovani, il C., agli ordini del capitano generale Simone Lupi, condusse nella città la fanteria carrarese. Dopo questo successole forze padovane furono dirette contro il patriarca d'Aquileia e posero l'assedio a Udine: ancora una volta fu il C. ad avere il comando della fanteria.
Egli continuò a comandare le fanterie padovane nelle guerre che opposero i Carraresi agli Scaligeri (1386-87): era presente alla battaglia di Barbarano (febbraio 1386) con 2.000 "provisionati scielti"; era di nuovo al comando della fanteria nello scontro decisivo delle Brentelle (25 giugno). In quest'occasione il C. e i suoi uomini si distinsero sbaragliando gli squadroni di cavalleria di Antonio da Valle e catturando le bandiere di Cortesia da Serego; dopo la battaglia il C. ricondusse trionfalmente a Padova le truppe vittoriose, ed ebbe il privilegio di entrare per primo nella città. L'anno seguente ebbe un ruolo di primo piano nella vittoria dei Padovani, comandati dall'Acuto, a Castagnaro; nel settembre marciò con le sue fanterie da Treviso a Conegliano per partecipare all'assedio di Sacile. Dopo la resa di Verona ai Carraresi (1387), sembra che il C. si sia stabilito con la sua famiglia nella città appena conquistata; certo è che per il resto della sua vita egli ebbe notevole importanza negli affari politici della città. Ad ogni modo, restava ancora strettamente legato ai Carraresi: nel 1388 era responsabile della sicurezza interna di Padova durante il passaggio dei poteri da Francesco il Vecchio a Francesco Novello.
L'anno seguente, quando il Novello cominciò a subire la crescente pressione viscontea, il C. incitò il giovane signore a resistere e si offrì di giustiziare con le sue mani venti padovani sospettati di preparare un colpo di Stato in favore dei Visconti. Ma i suoi consigli rimasero inascoltati, e Francesco Novello preferì arrendersi a Pavia: fu allora che il C. abbandonò i Carraresi e si mise al servizio di Gian Galeazzo Visconti. Così l'anno seguente, quando il Novello tornò al potere, la casa del C. fu tra quelle bruciate nel corso delle manifestazioni antimilanesi.
Una famosa orazione indirizzata da P. P. Vergerio a Francesco Novello (Epistolario, pp. 431-36) fa supporre che il C. desiderasse tornare al servizio di Padova, in quanto vi si insiste perché egli fosse perdonato della diserzione e potesse rientrare in possesso dei suoi beni padovani. In seguito, una delle clausole della pace del 1392 tra Visconti e Carraresi restituì al C. la proprietà delle sue terre.
Il C. passò gli ultimi anni del sec. XIV al servizio di Milano: il 28 ag. 1397 comandò 10.000 fanti viscontei nella battaglia di Governolo. Non è certo però che egli fosse presente a Casalecchio (1402); è anzi probabile che in quell'epoca vivesse a Verona e si fosse quasi del tutto ritirato dalla milizia. Nell'aprile 1404 lo ritroviamo con Ugolotto Brincardo nella cittadella di Verona, tra gli ostaggi dati ai Carraresi nel corso dei negoziati per la resa della città; nel settembre aveva ripreso al servizio di Niccolò d'Este la sua professione, e fu mandato in Polesine per appoggiare i Padovani nella guerra contro Venezia. Dopo la resa di Verona a Venezia (1405), il C. sembra essersi definitivamente stabilito nella città, dove trascorse i suoi ultimi anni coinvolto in numerose dispute legali relative a terre avute dai Carraresi.
An un testamento del 10 luglio 1415 il C. lasciò 500 ducati alla chiesa veronese di S. Anastasia: questa è l'ultima notizia che di lui ci rimane.
Secondo il Pezzana, avrebbe dedicato i suoi ultimi anni alla religione e a pratiche pie, e sarebbe morto ottantanovenne a Padova, dove suo figlio Antonio si stava già facendo una solida reputazione di medico.
Il suo elogio funebre sarebbe stato letto nello Studio da Ludovico da Pirano; inoltre, secondo M. Savonarola, il C. sarebbe stato sepolto nella basilica di S. Antonio. Queste affermazioni tuttavia non risultano confermate dalle fonti, e nessuna traccia della sua tomba resta in S. Antonio a Padova.
Fonti e Bibl.: La principale fonte biogr. sul C. è la Cronaca carrarese di G. e B. Gatari, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVII, 1, a cura di A. Medin-G. Tolomei, ad Indicem. Sivedano inoltre: Andreas de Redusiis de Quero, CroniconTarvisinum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 784; M. Savonarole, Libellus de magnificis ornamentis regie civitatisPadue, in Rer. Ital. Script.,2 ed., XXIV, 15, a cura di A. Segarizzi, p. 33; Epistol di Pier PaoloVergerio, a cura di L. Smith, Roma 1934, in Fonti per la storia d'Italia, LXXIV, pp. 431-36; A. Pezzana, Memorie de' scritt. e letterati..., VI,2, 1, Parma 1825-33, pp. 136 a.; A. Gloria Monumenti della univers. di Padova, Padova 1888, II, p. 116; G. Della Corte, Storia di Verona, II, Verona 1744, pp. 296 s.; G. B. Verci, Storiadella Marca trivig. e veronese, XVII, Venezia 1786-91, p. 54; G. Cittadella, Storia della dominaz. carrarese, II, Padova 1842, pp. 63 s., 67, 118; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura inItalia, I, Torino 1893, p. 326; C. Cipolla, Ricerche stor. intorno alla chiesa di S. Anastasia, Roma 1916, pp. 15-18.