CAVEDONI, Bartolomeo
Nacque a Castelvetro (Modena) il 12 luglio 1765 da Lodovico e da Maria Piccioli. Dopo aver frequentato le locali scuole primarie passò a Modena, dove si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e si laureò in legge il 10 giugno 1790. Intrapreso l'esercizio deIravvocatura, fu coadiutore della Cancelleria criminale e causidico criminalista.
Nel 1791 s'era sposato con Anna Maria Briglienti, da cui ebbe quattro figli. Dedito al lavoro e alle cure della famiglia, non era però indifferente alle nuove idee politiche che si erano venute diffondendo in Italia nel periodo appena precedente la conquista francese. Ben presto cominciò ad essere indicato come uno dei più appassionati fautori delle idee repubblicane e frequentatore di riunioni clandestine. Allorché nell'agosto del 1796 scoppiò a Modena un'insurrezione contro Ercole III d'Este, il C. era tanto popolare che fu scelto dai rivoltosi come loro rappresentante nelle trattative con la Comunità. E quando nell'ottobre fu soppressa, per ordine del Bonaparte, la reggenza estense, e proclamato il governo repubblicano, il C. fu chiamato a far parte del comitato di sette membri che, con la nuova Municipalità, aveva il compito di governare la città, e vi rimase anche dopo l'unione di Modena con Reggio. Mentre ricopriva questa carica, ebbe varie incombenze amministrative: fu membro della Deputazione di polizia generale, presidente della Commissione militare, delegato per l'organizzazione delle Municipalità del Frignano e della Garfagnana. Si trovava in quest'ultima località quando, nel dicembre, scoppiò un'insurrezione antifrancese, ed egli non esitò ad arruolarsi volontario nel battaglione del generale Rusca per partecipare alla repressione di quella rivolta.
Fu questa l'occasione che aprì al C. la strada della carriera militare. In seguito alla sua domanda di entrare a far partedella milizia cispadana, il 1ºgiugno 1797 gli fu ratificata la nomina a capitano comandante di una compagnia della coorte di Modena. Intanto, e parallelamente, proseguiva nella carriera amministrativa e, dopo una breve permanenza, dall'agosto al novembre del '97, a Ferrara, dove era stato mandato come commissario di polizia, il 19 novembre partiva per Milano, per partecipare alle sedute del Consiglio degli iuniori, del quale era membro come rappresentante, del dipartimento del Panaro. Repubblicano incorruttibile, tanto da essere soprannommato l'"Aristide", e orientato verso la sinistra giacobina, finì epurato da C.-J. Trouvè perché uno tra i più forti oppositori della nuova costituzione antidemocratica che il commissario francese impose alla Cisalpina col colpo di Stato del 31 ag. 1798. Ritornato per breve tempo a Modena, fu poi riammesso in seno al Corpo legiglativo in seguito alla riforma del Brune.
Quando, nell'inverno seguente, le insorgenze sanfediste e insieme gli attacchi nemici minacciarono l'indipendenza della repubblica, il C. accantonò le incombenze civili per quelle militari. Prese così parte ai combattimenti contro le amiate austrorusse e alla ritirata in Francia, dove rimase, prima a Grenoble, quindi a Parigi, per attendere insieme con il generale Lechi ai lavori per la formazione della legione italiana, che fu allestita nella primavera del i 800, e al seguito della quale il C. calò in Italia alla fine di maggio, partecipando onorevolmente a molti vittoriosi fatti d'arme che gli meritarono (6 apr. 1801) la promozione a capo squadrone. Quindi le sue vicende seguirono quelle dell'armata d'Italia. Sempre con la divisione Lechi fu, qualche anno dopo, nel Regno di Napoli, dove si segnalò per lo zelo con cui portò a termine varie incombenze che. gli valsero la nomina (1°maggio 1806) a cavaliere della Corona di Ferro. Nel 1809 partecipò, con la divisione del generale Severoli, alla campagna di Germania, nel corso della quale fu decorato con la Legion d'onore.
Promosso maggiore nel 1810, fu inviato a Trento per sedare l'insurrezione del Tirolo; nominato l'11 luglio 1811 aiutante comandante, giusta ricompensa a quindici anni di onorato servizio, alla fine dell'anno veniva destinato al comando del deposito dell'armata italiana di Spagna, situato a Tolosa, dove rimase due anni. Scoppiata di nuovo la guerra in Italia nell'autunno del 1813, il C. ottenne di ritornare in patria, e nel dicembre fu assegnato, come capo di Stato Maggiore, ancora alla divisione Severoli, e con essa inviato a custodire la linea del Taro, giungendo fino a Reggio, dove fu ferito nella battaglia del 7 marzo 1814. Mentre le sorti della guerra volgevano a sfavore dell'armata italiana, il C., tornato a Milano, vi formò la Società del soccorso agli infelici, finalizzata da una parte ad alleviare le sofferenze del popolo, sul quale gravava tutto il peso della guerra, ma soprattutto a realizzare, in alternativa a ogni dominio straniero, l'indipendenza italiana. Fu proprio da questa società infatti che ebbe origine la cosiddetta congiura militare del 1814, della quale il C. fu uno degli ispiratori, e che, scoperta, lo portò a scontare, per risoluzione sovrana del 30 giugno 1816, due anni nella fortezza di Kufstein.
Dopo aver combattuto fino, all'ultimo contro gli Austriaci (nell'aprile era a Brescia, comandante delle truppe del dipartimento del Mella), ritornato a Modena dopo la caduta del Regno italico accettò di dichiararsi suddito del restaurato duca, ma respinse la proposta, offerta ai, più brillanti quadri - dell'esercito napoleonico, di passare in quello imperiale. Riallacciò invece i contatti con gli altri ufficiali cui già lo legavano vincoli massonici e carbonari, e con essi ordì una congiura per distruggere il dominio straniero in Italia e farne uno Stato unito e indipendente. L'insurrezione però, che avrebbe dovuto scoppiare nel dicembre, fu scoperta in anticipo a causa di una delazione, e i suoi capi furono arrestati. Prelevato dalle guardie ducali il 17 dic. 1814 e consegnato all'Austria, il C durante l'istruttoria nelle carceri del Castello di Milano mantenne il silenzio finché, in seguito alle, confessioni di alcuni compagm, ammise la sua affiliazione da parte del De Meester ai carbonari beneficienti. Allorché si aprì il processo, il 2 marzo 1815, gli imputati erano stati trasferiti nelle carceri di Mantova, dove rimasero fino all'estate 1816, in attesa della sentenza definitiva. Quella del 4 apr. 1815, infatti, con la quale la Commissione straordinaria, respingendo la richiesta di pena di morte per i due imputati maggiori, il C. e Latuada, li aveva condannati a dieci anni di bando, non fu mai resa esecutiva.
Quando uscì di prigione, il 9 sett. 1818, il C. fu consegnato dall'Austria al duca di Modena, che gli permise il soggiorno nella sua città sotto sorveglianza. Da quel momento egli si dedicò unicamente allecure familiari e all'educazione dei figli. Quando nel 1826 un ex carbonaro, denunciando la propria attività cospirativa per ottemperare a un editto di Francesco IV, coinvolse nella sua confessione anche il C., questi fu chiamato a Modena il 14 ottobre per un incontro col governatore Coccapani, e riconvocato per il 16 successivo al dicastero di Alta Polizia. Nella notte precedente, però, fu trovato cadavere accanto a una finestra aperta, col volto sfigurato da un colpo di fucile, disgrazia secondo l'atto di morte (che parla di "casuale archibugiata"), suicidio secondo l'inchiesta giudiziaria.
Fonti e Bibl.: C. A. Vianello, Un diario inedito di Pietro Custodi, Milano 1940, pp. 63, 84; F. Coraccini. Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia, Lugano 1823, p. LXXVII; F. Cusani, Storia di Milano, Milano 1861-1884, VII, p. 204 s.; G. Canevazzi, B. C., Modena 1911; T. Casini, Ritratti e studi moderni, Milano-Roma-Napoli 1914, pp. 117, 123, 374; A. Ottolini, La carboneria dalle origini ai primi tentativi insurrez., Modena 1936, p. 97; D. Spadoni, Milano e la congiura militare nel 1814, Modena 1936-37, I, pp. 186, 237, 244-246, 274-278, 286, 294-295; II, pp. 21 e passim; III, pp. 5, 15, 20, 33, 35, 42, 48, 63-65, 70, 72, 76-79, 83, 87, 96, 100, 102-103, 109-10, 125, 138-139, 141, 147, 164, 170-172, 174, 176, 178-181, 190, 197, 226 s., 258, 260, 263.