CASASSAGIA, Bartolomeo
Nato probabilmente in Catalogna, come lo zio, il barcellonese Antonio Cariteo, in data imprecisata, il C. partecipò nel primo decennio del Cinquecento al revival della cultura catalana a Napoli, espresso dai circoli culturali aragonesi, e legò il suo nome al primo capitolo degli studi di filologia romanza in Italia.
Le uniche notizie puntuali che lo riguardano si esauriscono infatti nella conservazione delle sue traduzioni interlineari di undici liriche provenzali, inviate ad Angelo Colocci attraverso la mediazione dell'erudito editore Pietro Summonte.
È proprio il Summonte, nella lettera di accompagnamento del 28 luglio 1515, a descriverci il nuovo fervore per la poesia occitanica e il ruolo avuto dal C. nella sua divulgazione, ruolo non esiguo, e comunque non meno valido di quello del ben più celebre Cariteo, se gli è possibile affermare "che queste cose Limosine le legeva, et intendeva così bene, come il Zio, e non voglio dire migliore: la quale comparatione si era vista più volte, quando e l'uno e l'altro qualche volta ragionavano del migliore e del peggiore di questi tali poeti Limosini".
Morto nel 1513 l'autorevole Cariteo, il C. per il suo "essere di natura Catalano, versato in Franza et exercitato pur assai sì in legere, como in scrivere cose Thoscane", e per la sua "non poca dextrezza in interpretare lo Idioma e la Poesia Limosina" era la persona elettivamente destinata all'esecuzione della traduzione scritta di testi appartenenti a quel Libro Limosino (Vat. lat. 3794 fino al 1797, e oggi conservato a Parigi, Bibliothèque nationale, mss. franç. 12474), antologia diprovenzali già passata dal Summonte al Colocci, con gran disappunto degli eruditi napoletani, di Isabella Gonzaga d'Este e dello stesso traduttore, che si pentì - come riferisce il Summonte - di non "haverne pigliata copia ordinata al tempo che lo tenne tanti mesi in poter suo". Prima traduzione scritta dal provenzale, se è vera l'affermazione del Summonte che attribuisce a vanteria "cortesana" la presunta esistenza di un analogo lavoro di versione già compiuto dal Cariteo e poi smarrito.
Il manoscritto delle traduzioni del C. è un cartaceo rilegato in pelle e segnato Vat. lat. 4796 (mentre il Vat. lat. 7182 risulta - come rilevò il De Lollis - solo una copia, purgata dei napoletanismi secondo la norma toscana), nel quale si allineano tre canzoni di Arnauz Daniel ("Sim fos amors de ioi donar tan laria"; "Lo ferm voler qu'il cor m'intra"; "Moutz braills e critz"), una già attribuita al Daniel e invece di Guiraud lo Ros ("Era sabrai s'a ges de cortezia") e nove di Folque de Marseilha ("Per dieu amors, ben sabetz veramen"; "Ben hau mort mi e lor"; "Amors merce, non mueira tan soven"; "Gran fera nulls hom failhensa"; "Mout i fes gran peccat amors"; "A quan gen veuz e ab qan pauc d'afan"; "S'al cor plages be fora omais sazos"; "Uns volers outra cuiatz"; "Tan m'abellis l'amoros pensamens"). Il carattere delle versioni, la loro "oscurità" (Debenedetti) e innegabile rudezza, è dovuto - oltre che alla deliberata scelta del metodo interlineare e letterale, "de verbo ad verbo", con relativa esclusione di preoccupazioni metriche o stilistiche, alla frequente noncuranza per la riproduzione, nonché del tono, dello stesso senso camplessivo dei testi; e all'ipoteca di una discreta imperizia nell'uso della lingua italiana che incide sia nel provocare la presenza di una notevole patina dialettale sia, ancor più gravemente, nel consentire una sintassi spesso intricata. Traduzione dunque pertinente rispetto al destinatario, che da vocabolista qual era ne fece strumento di lavoro fondamentale per le sue notazioni al margine, per i lessici che andava costituendo, per l'avviato confronto col Canzoniere italiano (Vat. lat. 3793), che il Colocci conduceva all'interno di un fervore di studi sempre più ampio cui non è estranea l'influenza decisiva del grande Bembo, anche lui alacremente interessato a rinverdire l'attenzione per la poesia provenzale, una volta coltene le tracce nel venerato Petrarca.
A quali opprimenti "negocii" il C. abbia sottratto il tempo da dedicare alle sue traduzioni (sulle quali lavorerà anche Equicola) non sappiamo. Come resta ignota la data della sua morte.
Bibl.: U. Canello, Vita e opere di A. Daniello, Halle 1883, pp. 63, 83, 279;T. Casini, Un provenzalista ital. del sec. XVI, in Riv. crit. d. lett. it., I (1884), pp. 89 s.; P. De Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, Paris 1887, p. 319;C. De Lollis, Ricerche intorno a Canzon. provenz. di eruditi it. del sec. XVI, in Romania, XVIII (1889), pp. 452-68; E. Percopo, Le rime del Cariteo, I, Napoli 1892, pp. CCXVIII-XXVII;F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 397;S. Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino 1911, pp. 258 s., 281 ss.; Tre secoli di studi provenzali (XVI-XVIII), in Provenza e Italia, Firenze 1930, ad Ind.