CARRARA, Bartolomeo
Nacque a Bergamo il 22 marzo 1707 da nobile famiglia del luogo, che in un ramo collaterale vantava un titolo comitale. Fece i primi studi, cioè i corsi di umane lettere, nella città natale e venne preparato dai genitori a dedicarsi alla vita religiosa. Ancora adolescente entrò nella Congregazione dei chierici regolari teatini e, dopo il consueto noviziato, emise la professione solenne a Venezia il 28 maggio 1724. Fu quindi trasferito a Padova, ove seguì il corso di filosofia (1724-1727), e successivamente a Firenze per iniziarvi gli studi di teologia sotto la guida di due eccellenti maestri, Luigi Uguccioni e Giambattista Caracciolo, che fu poi professore nello Studio pisano, generale dei teatini e infine vescovo di Aversa. Il breve soggiornofiorentino dovette perciò essere fondamentale per la formazione del C., il quale risentì della vivace atmosfera culturale e religiosa che regnava in Toscana in quegli anni. Probabilmente alla fine del 1729 egli venne inviato a Roma per completare lo studio della teologia con due altri rinomati maestri, Pietro Busenello, poi professore all'università di Padova, e Francesco Cavalcanti, anche lui futuro generale della Congregazione teatina e quindi arcivescovo di Cosenza. Compiuti gli studi all'inizio del 1731, il C. venne adibito alla confessione, all'assistenza degli infermi e alla predicazione. In questi incarichi il Vezzosi lo descrive "sempre pio ed esemplare… sempre applicato, e pronto a tutto per tutti" (p. 223). Pur rimanendo di stanza a Roma, il C., forse anche per adempiere ai doveri della predicazione, viaggiò molto. Nel 1735 a Brescia conobbe il cardinale A. M. Querini, al quale rimase molto legato da rapporti d'amicizia rinsaldati da comuni interessi storico-eruditi. Secondo il Dandolo (ma non sappiamo quale attendibilità attribuire a tale notizia, di cui ignoriamo la fonte), egli sarebbe stato per qualche tempo teologo del cardinale Lambertini, arcivescovo di Bologna.
Nel 1743 fu trasferito a Ravenna, ove esercitò la carica di preposito del convento dei padri teatini. Molto stimato dall'arcivescovo, F. R. Guiccioli, e dai cardinali legati, Oddi, Bolognetti ed Enriquez, fu nominato penitenziere della cattedrale. Esercitò tale incarico con rigore morale, ma senza mai segnalarsi per decisioni eccessive. Di questo orientamento testimonia un'opera pubblicata dal C. nell'anno stesso della sua partenza da Roma, Del rispetto alla santissima Comunione, Operetta che ha tratta da vari insigni autori Carlo Bromato da Erano, per uso de' Parochi e Confessori, e delle anime da loro dirette, Venezia 1743 (2 ediz., ibid. 1745).
La scelta di tale pseudonimo venne motivata con una professione di modestia nella Storia di Paolo IV, p. IV: "…a me giudico convenire bene a ragione l'Anagramma Letterale di Carlo Bromato da Erano, mentre Bromato da Erano significa in Greco un Cibo tolto da una Mensa imbandita a spese di molti, quale appunto è questo mio Lavoro" (in realtà tanto l'anagramma quanto l'etimologia risultano piuttosto approssimativi). La opera del C., divisa in quattordici capitoli, affrontava una polemica molto spinosa, originata dal ben noto libro De la fréquente communion del giansenista francese Arnauld fin dal secolo precedente (1643). Anche se il C. cerca di mantenersi lontano da un rigorismo esagerato, i suoi insegnamenti sono in linea con alcune richieste arnauldiane: fondamentale è l'esigenza di un'accurata preparazione per non mancare di rispetto al sacramento della comunione e la frequenza settimanale è considerata già più che sufficiente, cosicché un'assiduità maggiore sarebbe dfficilmente conciliabile con una prudente pratica di vita cristiana.
La simpatia qui dimostrata per una condotta morale severa (più che un intento genericamente apologetico nei confronti di uno dei due fondatori della sua Congregazione religiosa) fu molto probabilmente alla base della decisione di comporre la Storia di Paolo IV Pontefice Massimo scritta da Carlo Bromato da Erano, Ravenna 1748-1753, in 2 volumi. Significativo è il fatto che prodighi di aiuti per il C. fossero due uomini dotti, noti universalmente per il loro rigorismo, il cardinal Querini e il teatino Gian Girolamo Gradenigo.
Come giudizio storiografico sull'opera rimane valido quello del Pastor, il quale, definendola "per il suo tempo un lavoro veramente di polso" e lodandola per aver diligentemente raccolto e utilizzato il materiale fino ad allora noto, critica il C. per non essersi preoccupato di effettuare nuove ricerche di documenti inediti che avrebbero potuto chiarire molti problemi rimasti aperti. Tra le fonti usate le principali sono la Collectanea historica de vita Pauli IV (Coloniae 1642) e l'inedita Vita e gesti di Giov. Pietro Carafa cioè di Paolo IV P.M., entrambe di Antonio Caracciolo, e la Storia della guerra di Paolo IV contro gli Spagnuoli di Pietro Nores, allora inedita ma già utilizzata dal gesuita Pallavicino; in più luoghi vengono confutati i giudizi di Onofrio Panvinio (Vita Pauli IV, Venetiis 1562) e dello stesso Pallavicino (Storia del Concilio di Trento, II, Roma 1657). Divisi in modo ineguale (più breve il primo che tratta il periodo dalla nascita di G. P. Carafa alla sua elevazione al cardinalato, dal 1476 al 1537; molto più ponderoso il secondo che comprende gli anni del cardinalato e del papato, dal 1537 al 1559), i due volumi del C. sono uniti dalla intenzione predominante di far risaltare la elevatezza dell'austera personalità morale del Carafa, le cui azioni sono sempre giustificate quando siano coerenti con il suo piano di riforma della Chiesa e di lotta intransigente contro l'eresia. Non a caso una delle poche critiche (che servono comunque a dare a quest'opera una qualche parvenza di obiettività) mosse dal C. a Paolo IV colpisce la decisione di elevare il nipote Carlo al cardinalato (II, p. 232: "cedette alla fine Paolo, e per favorir le massime politiche violò le sue massime Ecclesiastiche"); mentre approvate sono tutte le decisioni e i provvedimenti più severi, impopolari o inopportuni, quali la guerra contro gli Spagnoli, il potenziamento dell'Inquisizione, la pubblicazione dell'Index librorum prohibitorum e il decreto contro gli ebrei, che stabiliva la loro completa separazione dai cristiani, l'alienazione dei loro beni, il divieto del commercio (tranne quello dei cenci), la distruzione delle sinagoghe. Questa politica antiebraica è dal C. giustificata "imperocché quei circoncisi condannati dalla loro colpa a perpetua servitù corrispondevano con ingratitudine di oltraggi alla carità del ricovero, che godevano tra i Cristiani" tanto che avevano spinto "il loro sommo odio con sedurne le Anime, ucciderne i Fedeli, e tal volta beverne il sangue" (II, pp. 227 s.); in tal modo l'autore si faceva portavoce di quella non rara letteratura cattolica che ancora alla metà del secolo XVIII rispolverava con velleitarie e grottesche pretese storiografiche (si veda ad esempio B. Bonelli, Dissertazione apologetica sul martirio del beato Simone da Trento nell'anno 1475 dagli Ebrei ucciso, Trento 1747) la leggenda dei sacrifici rituali umani degli ebrei. Degli altri temi che potevano prestarsi a polemiche d'attualità, il C. tratta con discrezione, ma anche con una precisa presa di posizione, i contrasti che avevano opposto il Carafa ai gesuiti, e in particolare pone in evidenza i timori di Paolo IV circa la mondanità della Compagnia e il suo tentativo di indurla ad uniformarsi alle regole degli altri Ordini monastici, imponendole la preghiera in coro e la durata triennale della carica di padre generale. La presenza nell'opera del C. di questi accenni ai difetti della Compagnia di Gesù (compromissione con il mondo ed eccessivo accentramento gerarchico culminante nella figura del "papa nero") non poteva stupire, poiché l'autore eralo stesso che qualche anno dopo avrebbe pronunciato le lodi dei cardinali Querini ed Enriquez notoriamente poco teneri con la dottrina morale gesuitica.
Nell'Orazione… recitata nelle solenni esequie dell'e.mo e r.mo sig. cardinale Angelo-Maria Quirini bibliotecario della S.R.C. e vescovo di Brescia…, Ravenna s.d., il C. afferma con la consueta discrezione che "nemici del Cardinal Quirini erano tutte le cose, che si opponevano alla salute delle Anime, ed all'onor della Chiesa" (p. 17); analogamente nell'Orazione… per le solenni esequie dell'e.mo e rev.mo cardinale Enrico Enriquez legato della Romagna…, Faenza 1756, lodava dell'Enriquez l'agostinianismo nella teologia dommatica e il rigorismo nella morale, accennando all'appoggio da lui dato al "partito" contrario al lassismo, ma sottolineando che "egli come un'Agostino tutto dolcezza, e cautela non disdegnò veruno" e poté essere amato da tutta la "Repubblica letteraria" (p. 10).
L'ultima opera composta dal C. nel periodo ravennate, Dell'antica preminenza del cardinalato. Dissertazione di Carlo Bromato daErano, Ravenna 1756, sosteneva la tesi - piuttosto audace - che la dignità cardinalizia fosse "di natura sua, e di prima sua origine maggiore della Dignità dei Vescovi, Arcivescovi, Primati e Patriarchi" (p. 3).
Questa dissertazione, recitata nel 1750 nell'Accademia di storia ecclesiastica di Ravenna, era destinata alla pubblicazione nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà, il quale però si guardò bene dall'accoglierla, accampando a pretesto "la folla d'altri concorrenti a quella rinomata Raccolta" (p. 4). In effetti, inconsistenti ed ardite appaiono alcune affermazioni del teatino che giungono fino a definire i cardinali "parti mistiche del Supremo Pontefice" e "congiudici" nel reggere la Chiesa (p. 11); l'antichità di simile teoria, oltre che sul primato di giurisdizione universale del papa, era fondata sull'argomento, alquanto pericoloso per la stessa concezione "romana" della gerarchia ecclesiastica, che nei tempi apostolici i vescovi governavano la Chiesa insieme ai preti.
Nel 1759 il C. andò a Roma per partecipare al capitolo generale ed eletto consultore dell'Ordine vi rimase, prendendo alloggio nel convento di S. Silvestro a Monte Cavallo; qualche anno dopo fu nominato procuratore generale. Ricopriva questa carica quando il 23 sett. 1767 pronuncio nella chiesa dei SS. Nicola e Biagio ai Cesarini il Panegirico in onore di S. Girolamo Miani fondatore della Congregazione dei chierici regolari di Somasca, Roma 1767, in cui collegava nell'esaltazione del fondatore dei padri somaschi, appena canonizzato, il suo primo direttore di coscienza Gian Pietro Carafa. Sotto il pontificato di Clemente XIII il C. era tenuto in grande considerazione e nel 1768 fu incaricato dalla stessa Curia di preparare una confutazione del Tentamen theologicum di A. Pereira de Figuereido, teologo del marchese di Pombal, che attribuiva ai vescovi la potestà giurisdizionale anche nei casi tradizionalmente riservati al pontefice. Egli compose allora Il primato del Romano Pontefice difeso contro il libro intitolato Della podestà dei vescovi circa le dispense composto dal P. Antonio Pereira e tradotto in italiano nel 1767, pubblicato anonimo, con la data Ravenna 1769, ma in realtà stampato a Roma dal tipografo Paolo Giunchi.
L'opera, che reca l'"approvazione" del camaldolese Andrea Gioannetti, accusa il Pereira di aver "rovinata la causa dei vescovi" (p. 12), diffondendo tra i fedeli principî capaci di fomentare l'eresia e lo scisma. Contro la tesi dell'oratoriano portoghese che riconosce al papa un primato di solo onore, ma non di giurisdizione, il C. ribatte che "la pienezza della podestà era stata da Cristo data al Pontefice ed al Pontefice solo" (p. 64), sostiene l'infallibilità papale e la natura monarchica del governo ecclesiastico (p. 88), la superiorità del papa sul concilio ecumenico (pp. 405 ss.). Egli insiste nel porre in guardia il pericolo del distacco da Roma di alcune Chiese particolari (p. 171) e nell'affermare che il potere temporale del papa è necessario per l'esercizio del suo primato indipendente da ogni potenza terrena e garanzia di unità religiosa (pp. 191 ss.); contro l'accusa del Pereira, secondo cui la giurisdizione illimitata del pontefice sarebbe limitativa della autorità civile, il C. replica che ben più dannosa alla società è la teoria dell'avversario, che conterrebbe in nuce, secondo il modello richeriano, il principio della sovranità popolare, poiché fa risiedere il supremo potere ecclesiastico nella comunità dei fedeli. è da notare come il C. si serva costantemente dell'autorità di autori d'Oltralpe, come Bossuet, Fleury, Du Pin, evitando il ricorso ad autori italiani accusati dal Pereira di prevenzione in favore di Roma.
L'oratoriano portoghese rispose con un volume stampato a Lisbona nel 1770, Anonymi Romani qui de Primatu Papae nuper scripsit, vana religio et mala fides, hoc est defensio Tentaminis theologici…, cui il C. replicò con un opuscolo rimasto inedito. Soltanto l'interpretazione data ivi dal Pereira (p. 289) di un passo di s. Gregorio di Tours ("Pontificem, seu Episcopum in spiritualibus et Deo et Regi, seu Deo et Ecclesiae subdi, agnovit tota antiquitas Christiana") provocò una sua voluminosa confutazione: Dell'autorità della Chiesa discorsi nove, Roma 1773(… edizione seconda accresciuta dedicata al Principe degli Apostoli, Roma 1776).Qui, nel rifiutare decisamente qualsiasi tipo di soggezione della Chiesa allo Stato, il C. proclamava con energia che ogni potere ecclesiastico è riservato alla gerarchia.
Il C. compilò anche un catalogo, Nomi e cognomi de' Padri e Fratelli Professi della Congregazione de' Cherici Regolari, Roma 1762, aggiornato fino all'aprile 1762, e di una nuova edizione di esso fino a tutto l'anno 1776 (Roma 1777).
Il C. morì a Roma il 15 sett. 1778 e venne sepolto nel cimitero annesso al convento di S. Silvestro a Monte Cavallo.
Bibl.: A. F. Vezzosi, I scrittori de' cherici regolari detti Teatini, I, Roma 1780, pp. 222-232; G. Moschini, Della letteratura veneziana…, I, Venezia 1806, p. 71; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni…, Appendice, Venezia 1857, p. 188; G. M. Monti, Ricerche su papa Paolo IV Carafa, Benevento 1923, pp. 6 s. e passim;B.Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, IV, Bergamo 1959, p. 59; R. DeMaio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli, Città del Vaticano 1961, passim; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1963, p. 669; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica, ad Indicem; Dict. de théol. cath., II, col. 1803.