CARLI PICCOLOMINI, Bartolomeo
- Nato a Siena nell'anno 1503 (l'atto di battesimo è del 1ºmaggio) da una famiglia di "grandi", il ramo Carli dei Piccolomini, era figlio di Pietro e di Francesca Pecci. Come precettori di lingua latina ebbe Francesco da Foligno e Pietro Marino; come maestro di greco seguì Bernardino Bellanti di Siena. Storia, astrologia, cosmografia, matematica (oltre alla musica e alla pittura) completarono la sua educazione di "perfetto gentiluomo". Successivamente il C. si dedicò agli studi filosofici ponendosi sotto la guida dell'aristotelico senese Antonio Cataneo.
Con il nome di Attaccato fu tra i primi ad essere ricevuto nell'Accademia degli Intronati; in precedenza aveva fatto parte dell'"Accademia grande". Nel 1525 entrò nella vita amministrativa e politica cittadina sostituendo Lodovico Sergardi nella funzione di cancelliere della Repubblica (4 aprile) e fu riconfermato nell'incarico anche nell'anno 1529. Registrato tra i "risieduti" nel luglio-agosto del 1526 fu fatto membro dell'ambasceria a Clemente VII (1530), risultò eletto consigliere del capitano del Popolo (primo bimestre del 1531), ottenne il posto di oratore di una legazione a Paolo III (1536). Nel 1535 venne incaricato dalla Balia di scrivere la tradizionale Orazione in lode di s. Giovanni Battista che fu composta, per la prima volta nella storia religiosa senese, in lingua italiana e venne recitata nel duomo da Lattanzio Buonsignori (il manoscritto si conserva a Firenze, Biblioteca nazionale, Palatino 781;il testo a stampa, con qualche modifica, uscì a Firenze nel 1569). Nel 1532 si era sposato con Leonora Aringhieri.
Una svolta importante nella vita culturale senese del Cinquecento costituì l'arrivo di Aonio Paleario, che aprì una scuola di studi umanistici per la nobiltà "novesca" emarginata dal potere politico cittadino (1531). IlC., insieme a Bernardino Buoninsegni, fu il suo primo "allievo" e gli mise a disposizione la ricca biblioteca paterna. Al Paleario il C. si legò in una profonda comunione di studi, che il maestro considerava come estrema risposta degli intellettuali tradizionali alla decomposizione sociale in atto, unica alternativa alla impossibilità di azione politica, valido strumento di rimozione del senso di invivibilità del presente. Questa concezione paleariana degli "studia humanitatis", che rispecchia la crisi della grande nobiltà senese travolta dalla mobilità sociale, trapassò nella ideologia letteraria del Carli. Così come vi penetrò profondamente l'erasmismo che la "scuola verulana" aveva ricevuto dagli ambienti intellettuali padovani e il paolinismo che condurrà alla accettazione della teologia della riforma protestante (cfr. S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura italiana di fronte a Erasmo, in Eresia e riforma nella Italia del Cinquecento, Firenze-Chicago 1974, pp. 116-133).
Il C., a sua volta, influenzò fortemente l'atteggiamento mentale del Paleario, determinandone la conversione all'uso del "volgare" nella comunicazione di alcuni contenuti religiosi innovativi. Ambedue infatti, sulla base delle comuni conoscenze della letteratura critica protestante (in particolare di Lutero e di Melantone) e delle loro ricerche intorno al problema della giustificazione dell'uomo, approdarono a una concezione religiosa valdesiana e scrissero rispettivamente due trattati spirituali che si inseriscono nella tradizione dell'evangelismo italiano pretridentino. Il C. compose, tra il 1536 e il 1538, una Regola utile e necessaria a ciascuna persona che cerchi di vivere come fedele e buon christiano (Venezia, Nicolò di Aristotile, 1542; non si conosce ancora alcun esemplare della 1 edizione).
Si tratta della narrazione di un processo di rigenerazione spirituale da parte di un "santo" in punto di morte e la struttura del discorso è tutta interna all'esperienza religiosa valdesiana. La rarissima stampa (Firenze, Biblioteca nazionale, Magliabechiano MCCLVII. 4.cust.) fu segnalata per la prima volta agli studiosi dal curatore del reprint dell'Alfabeto cristiano di Juan de Valdés. Il Wiffen, che conosceva il testo nella terza edizione vegeziana del 1543(per Bartolomeo da Lodrone, detto l'Imperatore, e Francesco Veneziano), suppose che si trattasse di un'opera composta da uno dei grandi riformatori italiani sotto uno pseudonimo e rilevò gli elementi che la ricollegavano con la letteratura valdesiana. La comparazione wiffeniana tra la Regola e l'Alfabeto èstata verificata criticamente da Rita Belladonna, che ne ha dimostrato l'interdipendenza strutturale. Siccome però il testo valdesiano venne pubblicato solo nel 1546, è necessario presupporre una buona conoscenza, da parte del C., della produzione manoscritta dell'eretico spagnolo e di tutta la letteratura criptoprotestante italiana (è di grande interesse il fatto che alcuni passi dell'opera anticipino il linguaggio del Beneficio di Cristo di don Benedetto da Mantova, Venezia 1542).Il tramite del rapporto tra il C. e il Valdés è stato identificato nelle predicazioni toscane di Bernardino Ochino, espressamente richiamate in un luogo della Regola ("Come doverebbe da noi portarsi la croce"; "Del modo per quietare et pacificare la conscientia nostra"). L'analogia tra la Regola e l'Alfabeto è stata messa in evidenza sulla base di puntuali raffronti testuali intorno ai problemi principali del processo di giustificazione per sola fede: "la mortificatione de l'huomo esteriore et vivificatione de l'huomo interiore"; la negazione della propria volontà "sospetta"; la contemplazione del Cristo crocifisso per arrivare alla conoscenza di Dio (è un tema classico dell'impostazione ochiniana); l'imitazione di Cristo come essenza della vita del credente; la libertà cristiana che riscatta dalla servitù della legge; l'indifferentismo per le cerimonie confessionali. La distinzione fondamentale tra la Regola e l'Alfabeto è stata trovata a proposito del problema del proselitismo religioso. La rigenerazione cui fa riferimento il C. non si esaurisce infatti nella sfera della propria individualità, ma produce l'impegno a formare un gruppo di fedeli che pratichino la vera fede (in analogia al tentativo paleariano di costituire una "ecclesiola" - di tipo familiare). Questa divaricazione dall'insegnamento valdesiano è stata fatta risalire alla testimonianza ochiniana, che utilizzava le strutture ecclesiastiche esistenti per divulgare un messaggio criptoprotestante.
Il C. raggiunse notorietà di "elegantissimo poeta toscano" imitando le Metamorfosi ovidiane (Edera, Venezia 1544) e traducendo una parte dell'Eneide virgiliana in versi sciolti (I sei primi libri dell'Eneide, Venezia, Comin del Trino, 1540; Il quarto di Vergilio tradotto in lingua toscana, Venezia, Nicolò d'Aristotile, 1540).Alcune sue composizioni entrarono nelle seguenti antologie poetiche cinquecentesche: Tutte le opere del Bernia in terza rima, Venezia 1542, pp. 76r-78r; Rime diverse di molti eccellentissimi autori, I, Venezia 1545, pp. 123-136; Rime di diversi et eccellenti autori Venezia, Giolito de' Ferrari, 1556, pp. 236-257; Primo volume della scielta di stanze di diversi autori toscani, Venezia 1579, p. 7.Cfr. inoltre: Sonetti di diversi accademici senesi, Siena 1608, pp. 24-29; Scelta di sonetti e canzoni de' più eccellenti rimatori d'ogni secolo, II, Bologna 1708, p. 95.
La fama del C. come autore di prose "compiutamente perfette", che "se ben sono in man di molti, nondimeno non sono in pubblica luce", è legata alle menzioni che ne fece Alessandro Piccolomini. Questa osservazione non è mai stata verificata nella storia della letteratura finché la Belladonna non ha ritrovato - nel fondo Piccolomini Clementini dell'Archivio di Stato di Siena ordinato da Giuliano Catoni - i testi manoscritti delle prose in lingua italiana: due libri de Ilperfetto cancelliere (di particolare importanza per la testimonianza dell'influenza erasmiana sulla struttura del pensiero politico del C.); sei del Nove trattati della prudenza (che allargano il concetto di simulazione o nicodemismo religioso facendo intravvedere un'originale e demitizzante formulazione politica); vari volgarizzamenti di Cicerone: un adattamento incompleto del ProMilone e uno completo del ProLigario oltre a un Parlamento di Cicerone avanti ch'egli andasse in esilio (dedicato a Emilia Ugurgieri e datato 2 nov. 1526). Di tutta questa produzione è stato finora pubblicato solo un Commento sopra la canzone "Hotti donato il cor di buona voglia", Siena 1909. Tra le opere manoscritte figurano anche alcune esercitazioni latine sopra, i classici: una Praelectio in Tusculanas questiones;una Lectio sui problemi della educazione e della retorica (in "due versioni); un dialogo dal titolo Puer, ispirato al Charon di Pontano. èopportuno rilevare che il trattato sul cancelliere, oltre alle numerose, interessanti osservazioni sulla figura del segretario di una repubblica e sulle sue funzioni che si inseriscono nella letteratura politica "machiavellica", presenta un sistema di annotazioni linguistico-filologiche il cui più immediato referente è l'ambiente degli "Intronati senesi. Nei Trattati della prudenza si esibisce invece l'accentuazione della crisi (che nello scritto precedente viene solo accennata) dell'intellettuale che si ritiene ancora "libero" ma è posto di fronte all'autoritarismo dello Stato e al dogmatismo della Chiesa.
Il C. morì nel 1538 0 1539.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Siena, Piccolomini-Clementini;Ibid., Consorteria Piccolomini 12; Siena, Biblioteca Comunale, H. IX. 18: A. Guglielmi, Oratione per la morte di B. C. P.;Ibid., P. IV. 10: S. Bichi Borghesi, Bibliogr. degli scrittori senesi, ad nomen;A. Piccolomini, De la institutione di tutta la vita de l'homo nato nobile, Venezia 1542, pp. 44v-45r; A. Palearii Verulani, Epistolarum libri quattuor, Lugduni 1552, pp. 315 s.; A. Piccolomini, Della institution morale, Venezia 1560, pp. 115s.; S. Bargagli, Delle lodi dell'accademie, Firenze 1569, p. 40; I. Ugurgieri Azzolini, Lepompe sanesi, I, Pistoia 1649, p. 576; G. A. Pecci, Memorie storico-critiche della città di Siena, III, Siena 1755, p. 30; B. B. Wiffen, Introduzione a J. de Valdés, Alfabeto cristiano, London 1861, pp. XI s.; A. Lisini, Geneal. dei Piccolomini di Siena, Siena 1900, tav. VII; L. Sbaragli, I tabelloni degli Intronati, in Bull. senese di storia patria, XLIX(1942), p. 189; V. Marchetti, Appunti per un profilo del primo Paleario, in Misc. stor. della Valdelsa, LXXVII-LXXIX (1971-1973), pp. 6-7, 16-18; R. Belladonna, B. C., nobile senese, imitatore di Juan de Valdés, in Critica storica, X (1973), pp. 514-528; Id., Cenni biografici su B. C. P., ibid., XI(1974), pp. 507-516.