CARAVOGLIA (Garavoglia, Garavoglio, Caravoglio), Bartolomeo
Figlio di Lorenzo, nacque intorno al 1620 a Crescentino (Buffa [cit. in Schede Vesme, p. 135], Dionisotti, Bertolotti) o a Livorno Ferraris nel Vercellese (De Gregory, ripreso dalla storiografia recente). Tradizionalmente indicato come allievo del Guercino, egli ne dovette piuttosto assimilare i modi in Piemonte tramite quelle opere che erano presenti nelle collezioni ducali, o a Roma, in un soggiorno documentato, peraltro piuttosto tardo; mentre non si ha notizia di periodi trascorsi a Bologna a diretto contatto col maestro emiliano. Di forte sapore guercinesco sono intrisi in effetti molti dei suoi quadri, tanto che la paternità di alcune tele è stata ed è oggetto di dubbio.
La prima data sicura che riguarda il C. risale al 1644, e lo mostra attivo per la corte sabauda; l'anno dopo a Rivoli iniziò lavori (andati distrutti), continuati a più riprese fino al 1664. Già messosi in luce evidentemente, con opere ora perdute, fu chiamato dalla corte torinese anche ad imprese più impegnative (del pari perdute) nel palazzo di S. Giovanni (1650). Sottopriore della Compagnia di S. Luca nel 1655, nel 1658 sposò Giovanna Benedetti, figlia di Giovanni Francesco, tesoriere del principe Tommaso, dalla quale ebbe tre figlie; nominato priore della Compagnia di S. Luca nel 1659, nel 1660 compare tra gli artefici del più risonante barocco in palazzo reale. Qui gli sono affidate le decorazioni di due importanti soffitti: nella sala della Dignità (successivamente rinnovata con decorazione dei secc. XVIII e XIX) è ricordata una figura della Dignità imperiale; nella camera dell'Alcova rimane il complesso della tela centrale, con Clodoveo che riceve lo scudo, alcuni riquadri trapezoidali e del fregio, di cui almeno sette di sua mano.
Già a questa data (1662-63) al di là dei sensi aulici ed encomiastici dei soggetti, del solenne carattere didascalico dei motti, la pittura del C. si volge a una più naturalistica cultura bolognese, accostata in modo generico, non essendo immune da suggestioni francesi mediate, in quelle sale di palazzo reale, dal lorenese Dauphin. Perduti molti altri soggetti (un Celeo e Cerere nella sala dei Paggi, nonché soprapporte e molti riquadri di fregi in altre sale e anticamere), è ancora possibile ritrovare il C. più ossequiente alle esigenze retoriche della celebrazione sabauda, a un livello peraltro alquanto inferiore, nelle allegorie della Bellezza e della Modestia, create per la sala del Trono della regina.
Nel 1663 il C. fu ricevuto confratello della Compagnia di S. Paolo: è possibile datare agli anni immediatamente successivi il notevole ciclo eseguito per l'oratorio della Compagnia (o Monte di pietà), con Storie di s. Paolo.
Qui la cultura eclettica del C., altre volte indurita in un disegno secco e in composizioni più legate (per es., la Madonna con quattro santi, del 1655, ola Madonna con i ss. Ippolito e Cassiano, del 1656, nel duomo di Torino), si scioglie in una sicura vena inventiva, a volte scandendo quasi espressionisticamente i ritmi dell'aneddoto, a volte fermandosi in una meditazione classicheggiante di forme e di paesaggi, tale da mostrare legami non mediocri con l'ambiente emiliano, con brani che per abilità di colore (azzurri, rossi fondi) e per soluzioni inventive mostrano un intelligente studio del Guercino e di Vouet.
Una lettera del sindaco Busca del giugno 1667 documenta l'avvenuta esecuzione del Miracolo dell'ostia, per la chiesa del Corpus Domini: un'opera complessa e certo matura, tonalizzata sui registri di caldi e scuri marroni poco contrastati, tale da rispondere a quella "modesta armonia che unisce i suoi quadri" di cui già diceva il Lanz. Sono, per il C., anni densi di commissioni da parte della corte e degli Ordini religiosi: un ms. inedito (ora reperito dalla Moccagatta nella chiesa dei SS. Martiri: comunicazione orale) lo documenta nel 1668 attivo a un gonfalone con i SS. Saverio,Solutore,Avventore e Ottavio; dello stesso anno è una bella Circoncisione di Gesù nella chiesa di S. Bernardino (o S. Nome di Gesù) a Crescentino (per la stampa con lo stesso soggetto nel Fogg Museum di Cambridge, Mass.: cfr. Pinto, 1972). Più tardi, nell'anno 1676, l'artista dipinse un Cristo in croce per la Confraternita della Misericordia a Livorno Ferraris; nel 1682 egli eseguì due ritratti sabaudi da esporsi nel Consiglio civico (dispersi; esiste la stampa, cfr. Heinecken); precedentemente (c. 1663-69) aveva partecipato, in concorso con il Miel, il Dauphin e altri, alla serie di doppi ritratti equestri per il salone di Diana al castello della Venaria, con i ritratti di Claudia Scaglia di Verrua e Ludovica San Martino di Agliè, aderendo allo spirito berniniano che animava l'ideatore del ciclo, il Miel, e ben reggendo l'enfasi celebrativa che doveva animare la dimora reale.
L'ultimo decennio di vita del C., fino alla morte avvenuta nel 1691 (Giuliano), non è documentato.
Non è possibile attualmente avanzare ipotesi cronologiche relative a un gruppo di tele per le quali occorrerà un'analisi più precisa: è il caso, per es., delle due Madonne col Bambino (nn. 78 e 556) della Galleria Sabauda, tanto guercinesche che si può ora pensare siano state eseguite dall'artista a diretto contatto con le opere del maestro (il che poté avvenire nel 1668, anno del soggiorno romano). A queste saranno da avvicinarsi la bella Madonna allattante (Vercelli, Museo Borgogna, attr. dalla Griseri), le Storie della Vergine nella sacrestia di S. Filippo a Torino (Griseri), la notevole Presentazione al tempio della parrocchiale di Front (Mallé): mentre forse più antichi sono il S. Antonio da Padova con Gesù Bambino (n. 362 della Gall. Sabauda) e il dipinto di soggetto analogo conservato nella chiesa torinese della Madonna degli Angeli. Da espungersi molto probabilmente dal catalogo la Immacolata e s. Francesco nella stessa chiesa, mentre la più nota Madonna del Carmine (n. 593 della Gall. Sabauda), attr. dalla Griseri, potrebbe essere datata più tardi, nell'ambito, per es. di G. Bottani (G. Romano: comunicazione orale).
Fonti e Bibl.: Se non altrimenti indicato, i docc. sono riportati in Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 267-270; ma vedi anche F. Bartoli, Notizia delle pitture,scult. ed archit. d'Italia, I, Venezia 1776, pp. 15, 27 s., 31, 35, 79; K. H. von Heinecken, Dict. des artistes dont nous avonsdes estampes..., III, Leipzig 1789, p. 590; G. De Gregory, Storia della vercellese letteratura ed arti, Torino 1821, pp. 242-44; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia, XI, Milano 1831, p. 165; L. Cibrario, Storia di Torino, Torino 1846, II, pp. 188, 366, 370, 445, 574; C. Dionisotti, Not. biogr. dei vercellesi illustri, Biella 1861, p. 218; A. Bertolotti, Artisti subalp. in Roma nei secc. XV,XVI,XVII, Mantova 1884, pp. 198 s., 257, L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte, Torino 1961, p. 266; A. Griseri, in Mostra del Baroccopiemont. (catal.), II, Torino 1963, pp. 7, 30, 39, 40, 57 s., tavv. 17, 30 s.; M. Viale Ferrero, Festedelle Madame Reali di Savoia, Torino 1965, p. 70; G. F. Giuliano, Biogr. livornesi, I, Vercelli 1970, pp. 46-54; N. Gabrielli, Galleria Sabauda - Maestri italiani, Torino 1971, pp. 129 s.; J. Pinto, A drawing by B.C.: a documented instance ofartistic patronage in Seventeenth-Century Piedmont, in Master Drawings, X (1972), 2, pp. 150-55; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp. 575 s.