CARAFA, Bartolomeo
Della nobile famiglia napoletana dei Carafa, nacque sul finire del XIII secolo da Bartolomeo, consigliere regio, e da Mabilia di Montefalcione; abbracciò molto presto lo stato clericale e nell'anno 1325 ottenne da Roberto d'Angiò, che molto stimava il padre del C., la promessa di un canonicato nella chiesa di S. Nicola di Bari, non appena se ne fosse reso libero uno. Non sappiamo quando tale evenienza si sia verificata, ma nel 1334 il C., che ricevette il giuramento di fedeltà di Taddeo Pepoli di Bologna, familiare del re, già appare come legum doctor e cappellano. Nel 1337, per i servigi che il padre aveva reso ad Andrea d'Ungheria, duca di Calabria, ottenne le rendite della cappella di S. Lucia in Somma, di patronato regio. Il 23 maggio 1347 fu eletto arcivescovo di Bari per i buoni uffici di Roberto, principe di Taranto e imperatore nominale di Costantinopoli, il quale, in seguito, lo nominò cancelliere dell'Impero. Oltre a una fattiva opera di consolidamento dell'arcidiocesi, il C. dovette anche svolgere una complessa attività politico-diplomatica per difendere la città dagli assalti delle soldatesche di Luigi d'Ungheria: infatti tra le altre opere di pubblica utilità portate a termine durante il suo pontificato, si ricordano le fortificazioni di Modugno, Bitritto e Cassano. Anche dopo la caduta di Bari (1349). la sua positiva opera di ampliamento dei possessi vescovili continuò, come dimostrano l'acquisto del casale di Pescarola da Filippo Ursileone (1364), e la donazione, nello stesso anno, da parte di Roberto, del feudo di Caivano, e l'acquisto del casale di Santeramo.
Sebbene scarse siano le notizie riguardanti il C., tuttavia esse concordano nel giudicare particolarmente illuminato e politicamente positivo il suo operato nei terribili frangenti dell'assedio di Bari. Unica voce discorde è quella del notaio Domenico da Gravina, cronista legato a Luigi d'Ungheria, che chiama il C. tiranno e lo accusa d'aver avuto a cuore più il suo potere ed i suoi interessi personali che non il bene delle popolazioni agricole, per aver rifiutato, nel 1349, l'aiuto dei soldati ungheresi, che si erano offerti di portare a termine la vendemmia. Il C. rispose evasivamente, in pratica rifiutando la proposta, nel timore - facile a comprendersi - che una simile offerta di collaborazione, con la guerra in atto, potesse celare un inganno. Domenico da Gravina, che fu l'estensore materiale della lettera, ovviamente, si fa strenuo difensore della limpidezza delle intenzioni degli Ungheresi. Il C., infine, riuscì a raggiungere un accordo col re d'Ungheria, senza mai cedere quel potere che esercitava sulla città di Bari.
Morì il 16 marzo 1367.
Fonti e Bibl.: Dominici de Gravina not. Chronicon de rebus in Apulia gestis(1333-50), in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 3, a cura di A. Sorbelli, pp. 125 ss., 150; A. Beatillo, Historia di Bari, Napoli 1637, p. 149; B. Aldimari, Historia geneal. della fam. Carafa, Napoli 1691, I, pp. 109 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VII, Venetiis 172 1, coll. 643 ss.; F. de' Pietri, Cronol. della fam. Carafa, Napoli 1803, p. 137; M. Garruba, Seriecrit. de' sacri pastori baresi, I, Bari 1844, pp. 271 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XXI, Venezia 1870, p. 17; P. Litta, Le fam. celebriital., sub voce Carafa di Napoli, tav. II; C. Eubel, Hierarchia catholica, I, Monasterii 1913, p. 128 e n. 10.