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BOCCHINI, Bartolomeo

di Gianni Ballistreri - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)
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BOCCHINI, Bartolomeo

Gianni Ballistreri

Nato a Bologna il 4 apr. 1604 da Giovan Battista, si indirizzò dapprima alla pittura; ma ben presto la viva passione per il teatro lo spinse a calcare le scene della commedia dell'arte col nome di Zan Muzzina (probabilmente dalla Muzza, torrente che scorre presso quella Sant'Agata Bolognese di cui era originaria la sua famiglia). Alternò quindi teatro e pittura, mettendo al centro di ambedue le attività la figura dello Zanni, o "Zagno", come preferiva dire: dipingeva infatti "bambocciate" o "capricci", caricature cioè e ritratti di mendicanti, guitti, ciarlatani, quello stesso mondo insomma cui dava vita sulla scena e che rappresentava anche nelle sue composizioni poetiche: si che poteva affermare, nella dedica del suo Miscuglio a G. F. Barbieri, di essere "Zagno tra i pittor, Pittor tra i zagni".

Se sono credibili i cenni autobiografici sparsi qua e là nelle sue opere, ebbe una vita avventurosa e sfortunata: assai giovane un amore disgraziato lo spinse ad abbandonare Firenze per Roma, dove si fece soldato; tornato dopo varie vicissitudini a Bologna, una nuova questione di donne lo obbligò a fuggire a Venezia. Qui fu Zanni apprezzato e autore popolarissimo di canzonette e poesie in vernacolo; ma la malasorte continuò a perseguitarlo, e conobbe la povertà, la prigione, la malattia.

Tornò poi a Bologna, dove condusse probabilmente una vita più tranquilla e priva di soverchie preoccupazioni economiche; nei lunghi ozi estivi in villa tentò d'abbandonare il dialetto e scrisse in italiano la Piva dissonante e il Lambertaccio.

Incerta è la cronologia di alcune tra le sue opere, che spesso furono stampate senza data e dopo aver circolato in fogli volanti: probabilmente La prima parte della Corona macheronica vide la luce in data anteriore al 1635, e fu quindi la sua prima opera edita; della Seconda parte si conoscono solo la seconda e la terza edizione, comparse rispettivamente a Ferrara nel 1646 e a Modena nel 1648. Nel 1635 pubblicò a Bologna il Miscuglio di pensieri, più volte riedito; seguirono La Piva dissonante (Modena s.d., ma forse 1639, e poi Bologna 1644 e Modena 1648) e Le Pazzie de' Savi, overo Il Lambertaccio, Poema Tragicoeroicomico (Venezia 1641, con moltissime riedizioni sino a quella, mutila, di Venezia 1844). Dopo le due ultime opere, in lingua, tornò alle predilette "zagnerie" con Il Trionfo di Scappino, parte prima e Del trionfo della Zagnara parte seconda, uscite a un mese di distanza l'una dall'altra, la cui prima edizione è probabilmente quella modenese del 1648. La produzione poetica del B. rimase a lungo popolare anche dopo la morte dell'autore, e molti tipografi ne ristamparono i componimenti a mano a mano che si esaurivano. Per primo, a Modena nel 1655, il Soliani raccolse la Corona, il Miscuglio, la Piva e le due parti del Trionfo in un unico volume, poi più volte ristampato a Modena e a Bologna. Unica opera del B. che rimase inedita fu l'Absalon, tragedia in un prologo e cinque atti (Bologna, Bibl. Univ., cod. 1882).

Generalmente assai scarso è il valore letterario di questi scritti; le poesie in dialetto veneziano - non bergamasco, come erroneamente si ritenne - hanno un interesse puramente documentario, specie per quel che riguarda la storia della commedia dell'arte e del suo personaggio più diffuso, lo Zanni. Le canzonette, che crearono al B. la fama di poeta popolare, anche se talora non prive di sentimento, sono superficiali e spesso volgari, e quel mondo di "zagne" e di "zagni" viziosi e famelici che aveva affascinato il giovane B. è rappresentato senza incisività; più notevoli sono i prologhi, rudimentali farse in cui è possibile avvertire le forme della commedia improvvisa.

Quanto agli scritti in lingua, La Piva dissonante è una raccolta di mediocri versi, per lo più d'occasione, inviati ad amici, poeti, pittori, cantanti; assi più interessante, il Lambertaccio. Questo si apre sulle origini della guerra tra Petroniani e Gimignani: rifiutata dai Bolognesi la restituzione dei castelli di San Cesario e Nonantola, i Modenesi si alleano a re Enzo e affrontano in campo i rivali. Nel campo bolognese rifulge il coraggio di Antonio Lambertazzi e della bella Minerva Malatesta; dopo la vittoria di Fossalta, i due eroi celebrano il loro matrimonio. Fin qui i primi quattro canti, il cui argomento è comune a quello della Secchia del Tassoni; gli otto canti seguenti trattano prolissamente le lotte intestine tra Lambertazzi e Geremei causate dalla folle ambizione di Antonio, intrecciate alla storia delle guerre esterne sostenute da Bologna in quegli anni agitati, fino alla morte del protagonista causata dal tradimento del faentino Tebaldello Zambrasi, cui i partigiani del Lambertazzi avevano rubato un maiale. L'insieme è statico e prolisso: ridotti il tragico e l'eroico a motivi accessori, il comico è generalmente triviale e grossolano; la facilità con cui viene maneggiata l'ottava, qualche brano non privo di pregi comici non valgono a celare il clima d'improvvisazione in cui dovette nascere l'opera. Impossibile qualsiasi confronto con La secchia rapita, con cui si pensò che il B. avesse voluto gareggiare per vendicare i propri concittadini dalle burle tassoniane: d'altronde, pur se è probabile che questa fosse tra le intenzioni dell'autore - e certo nel Lambertaccio si colgono frequenti echi tassoniani - di tale intenzione l'autore si dimenticò assai presto, e non c'è più traccia di satira antimodenese dopo i primi quattro canti. Fonte principale del poema è piuttosto l'Historia dei fatti di Antonio Lambertazzi nobile e potente cittadino Bolognese che lo storico G. Bombaci aveva pubblicato a Bologna nel 1632: non per nulla lo stesso biografo aveva notato che i casi che avevano condotto alla morte il suo eroe erano "materia degnissima di Poema Heroicomico", e il B. nella dedicatoria ricorda di essersi ispirato appunto all'opuscolo del Bombaci sul Lambertazzi, "il prode, ma dispietato, e fiero nemico della quiete, e del riposo della propria Repubblica". E il poema si attiene fin troppo all'Historia, di cui sovente non è che la piatta versificazione; di suo il B., ad imitazione del Tassoni, volle inserire una miriade di personaggi contemporanei, modenesi e bolognesi, e frequenti accenni a vicende e costumi della sua epoca, già allora scarsamente comprensibili per chi vivesse fuori dell'Emilia: tanto che, venendo il poema pubblicato a Venezia, lo stampatore C. Zenero fece aggiungere da un anonimo bolognese - da identificare forse col B. stesso - delle Dichiarazioni alla fine di ogni canto per spiegare quei modi di dire e quegli accenni ad avvenimenti troppo legati a un ambiente provinciale per poter esser intesi da tutti i lettori. Proprio questo rifarsi a fatti e personaggi minori e minimi, se rende oggi più di allora difficoltosa la comprensione di alcuni brani, restituisce al Lambertaccio, sul piano del documento, quel valore che gli viene negato dalla poesia, e il poema può essere ausilio prezioso per chi voglia studiare la cronaca dell'Emilia secentesca.

Incerti sono il luogo e la data della sua morte, avvenuta nel Bergamasco o a Venezia tra il 1648 e il 1653.

Bibl.: G. Bombaci, Historie memorabili della città di Bologna, s. l. né d. (ma Bologna 1666), p. 117; L. Rasi, Icomici italiani, I, Firenze 1897, pp. 453-58; G. Canevazzi, L'autore del "Lambertaccio", in Misc. tassoniana di studi stor. e lett. Pubbl. nella festa della Fossalta, Bologna-Modena 1908, pp. 415-44; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1929, pp. 263-64, 335; D. Ortisi, "Le pazzie de' Savi" ovvero "Il Lambertaccio" di B. B., in Italica, XXXII (1955), pp. 248-58; A. G. Bragaglia, Storia del teatro popolare romano, s. l. né d. (ma Roma 1958), pp. 164 s., 168-70.

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