BIANUCCI, Bartolomeo
Nacque a Montecarlo, in Val di Nievole, il 16 apr. 1718, da Lamberto e Maria Angiola Cinelli, di famiglia agiata. Compì i primi studi a Firenze, presso lo zio prete Scipione Bianucci, parroco di S. Apollinare. Dagli scolopi apprese i primi rudimenti di grammatica, ma già in età di dieci anni venne indirizzato alla carriera ecclesiastica, e dalle Scuole Pie passò al seminario fiorentino, retto da Giuseppe Maria Brocchi, molinista di vedute assai liberali e protettore di non pochi giansenisti. Oltre al Brocchi, in morte del quale il B. scriverà poi un Elogio istorico (s.l. 1761), i principali maestri che egli ebbe nel seminario di Firenze furono il Foggini per le lettere latine e greche, lo Zelio per la filosofia, il Barsotti per la teologia e le scienze canoniche. Terminati gli studi del seminario e ordinato prete, divenne maestro di retorica, e poi di filosofia, nello stesso istituto. Emerse in quel periodo il suo particolare ingegno per la matematica e la fisica, il cui insegnamento curò accanto a quello della metafisica e della psicologia: per quel seminario era un'audace innovazione.
Già convinto fautore della fisica di Newton, il B. fu tra coloro che contribuirono all'affermazione in Italia della teoria elettrica di B. Franklin, combattendo la teoria dei fluidi elettrici contrapposti. E il Lami cominciò sin da allora a valersi della sua collaborazione per la redazione degli articoli delle Novelle letterarie, sia per questioni di fisica, sia per questioni di teologia e diritto canonico. Fra i contributi del B., numerosi e non sempre di agevole attribuzione, va ricordata in particolare la controversia con Iacopo Nicola Gattolini in materia agiografica: il B. e il giansenista Foggini polemizzarono assieme contro le leggende relative alla vita di s. Romolo, vescovo di Fiesole, che il Gattolini accreditava.
Nel 1746 il granduca Francesco II di Toscana lo destinò alla cattedra di logica dell'università di Pisa, dove il B. insegnò quella che, contro l'aristotelica, veniva chiamata la "nuova filosofia" (ossia la fisica sperimentale).
I biografì suoi contemporanei lodano la sua pedagogia comunicativa e la sua dottrina enciclopedica in storia, politica, arte militare. Della considerazione di cui godeva è testimonianza l'unico suo opuscolo a stampa di cui i contemporanei parlino, peraltro di scarso interesse quanto al contenuto: il Passatempo autunnale o lettere d'un amico a un amico (s.l. 1771), in cui il B. difende Angiolo Fabbroni, preside dell'università di Pisa, dalle accuse di plagi e inesattezze storiche contenute nelle sue Vitae Italorum doctrina excellentium, mossegli nelle Novelle letterarie da A. M. Bandini. L'anonimo "amico" è il Lami o altro dei redattori delle Novelle letterarie; certo è che dopo il Passatempo autunnale quella polemica cessò, e le Novelle letterarie, contro cui il B. aveva polemizzato, si associarono nel 1792 al Giornale de' Letterati e allo stesso Fabbroni nel dedicare al B. un caldo necrologio.
All'apice del suo prestigio personale, come dotto e come uomo di chiesa, il B. fu nel 1787 mandato, con il Lampredi, in qualità di procuratore del granduca Leopoldo I all'assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana a Firenze.
È molto difficile ricostruire il pensiero personale del B. in materia teologica: formato sotto i differenti, ma non antagonistici, influssi del Brocchi e del Foggini, svolse all'interno della Chiesa un'azione soprattutto diplomatica, e in essa rivelò grande abilità; all'assemblea fu tra i maggiori protagonisti del conflitto dal quale uscì battuto il giansenista moderato De Vecchi, che difendeva la riforma democratica sanzionata dal concilio di Pistoia, sostenuto dal teologo regio Palmieri e avversato dalla corte granducale.
Dell'insegnamento scientifico del B., che è l'attività degna di maggior nota, rimangono due significativi documenti manoscritti, uno dei quali appartenente alla sua età più tarda. Essendo infatti avanzato con gli anni, ed essendo divenuto quasi sordo, ottenne dal Fabbroni d'essere dispensato dall'insegnamento accademico, a patto di ricevere in casa propria, due o tre volte la settimana, i giovani dell'ateneo, per spiegare loro la fisica secondo la teoria di Newton e l'analisi geometrica. La sua casa divenne così una specie di cenacolo, e uno dei suoi corsi, redatto da un allievo, costituisce l'opera sua più interessante.
Il B. morì a Pisa il 14 genn. 1791 nel collegio Ricci, di cui era rettore.
Il primo dei due documenti manoscritti conservati è una Philosophia naturalis, appunti da un suo corso del 1771-72, conservata presso la Biblioteca Comunale di Pescia (Ms. I. B. 54), in cui si espongono organicamente i fondamenti della fisica di Newton. I primi sei capitoli, concernenti la natura del corpo, lo spazio e il vuoto, la figura del corpo, la divisibilità e sottigliezza della materia, la composizione del corpo e la sua porosità, rarefazione e condensazione, fanno da propedeutica alla trattazione e, secondo il modello corrente delle esposizioni di fisica sperimentale, confutano la teoria cartesiana della materia come identica all'estensione. I capp. VII-XII, sulle qualità del moto uniformemente accelerato e ritardato, la quantità e composizione del moto, e la forza, sono di ispirazione newtoniana, ma si avverte soprattutto l'influsso metodologico galileiano. Chiaramente newtoniana è tutta l'ultima parte del corso (capp. XIII-XXIX), dove si affrontano le questioni dell'inerzia, dell'attrazione, della gravità, dell'equilibrio dei solidi, dell'urto e della comunicazione del moto, e dove si fondano i principi della dinamica.
Il secondo manoscritto (De igne et aere) del 1783-84, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Pisa (sec. XVIII, n. 26), ha uno sviluppo più aderente allo schema monografico e contiene elementi, se non di originalità, di autonomia rispetto a Newton. Esso è diviso in due parti, la prima dedicata al fuoco, la seconda all'aria; non è escluso che sia la prima parte di un corso completo in cui, sulla scia delle trattazioni aristoteliche, si parlasse di tutti e quattro gli elementi, fuoco, aria, acqua, terra. Le pagine senz'altro più importanti del B. sono quelle in cui discute, anche in contrasto con Newton, la teoria del fuoco: vi si avverte la presenza di un sostrato metafisico, sia pure rielaborato alla luce della scienza più aggiornata. Contro Newton, il B. ritiene che il fuoco sia un "fluidum sui generis": un immenso elemento di cui la natura si serve ora per comporre, ora per far crescere, ora per condurre a termini stabiliti i corpi. Ma contro Boyle, Musschenbroeck, Homberg e Duclos, nega che questo elemento abbia un peso. La sua teoria si riallaccia per un verso a quella aristotelica dell'etere, per un altro a quella neoplatonica (di cui si ritrovano echi anche nel ms. pesciatino), secondo la quale vi è nell'universo una elasticità essenziale, che riempie gli spazi vuoti ed è a fondamento dell'elettricità e del magnetismo. Il distacco da Newton è estremamente tenue, mentre assai reciso è il rifiuto della meccanica cartesiana. Il B. è a conoscenza delle recenti esperienze di Lasson, Priestley, Lavoisier, e appoggia la propria concezione del fuoco come elemento sugli esperimenti di fusione dei metalli. Questi sono da lui così interpretati: i metalli constano di due parti, l'una terrestre e l'altra infiammabile; privati della parte infiammabile, si calcinano; ma possono essere privati della parte infiammabile solo per mezzo dell'aria, che subentra nelle parti porose in luogo del fuoco. Importante è anche la polemica contro la teoria del "flogisto", di Becker, Stahl e Crawford. Contro Boerhaave, poi, il quale teme che dalla dissoluzione dei corpi derivi un aumento all'infinito del fuoco, il B. pone la distinzione tra "ignis pabulum" (pascolo del fuoco, cioè tutta la materia in quanto infiammabile) e "verus ignis" (fuoco vero, ossia fiamma ardente, terrestre o solare): "se dalla dissoluzione dei corpi si scioglie nuovo fuoco, e si sprigiona in libertà, dalla nascita e dalla crescita di nuovi corpi si fissa e si imprigiona nuovo fuoco". Vi è dunque un permanente equilibrio.
Il trattato comprende un'ampia dissertazione sui termometri, e nella parte De aere espone le diverse esperienze compiute, a partire da Galileo e Torricelli, sul peso dell'aria.
Bibl.: F. Zaccaria,Storia letter. d'Italia, III, Venezia 1752, pp. 730s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1199; Giorn. dei letterati di Pisa, I (1792), pp. 22-25; Novelle letterarie, VIII (1792), coll. 113-118; A. Fabbroni,Vitae Italorum doctrina excellentium, XVII, Roma 1792, p. 373;F. Inghirami,Storia della Toscana, I, Firenze 1841, p. 262; G. Ansaldi,Cenni biogr. dei personaggi illustri della città di Pescia, Pescia 1872, pp. 373s.; E. Codignola,Illuministi,giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947,passim; E. Appolis, Le "Tiers Parti" cathol., Paris 1960,passim.