BARTOLISTI
. Con questo nome, che soltanto nel sec. XVII assunse, sempre più decisamente, un senso in parte dispregiativo, furono, in Italia e fuori, specialmente dagl'inizî del sec. XV in poi, chiamati i giuristi fedeli alla tradizione giuridica italiana, o al cosiddetto mos Italicus iura docendi, prevalentemente pratico, e contrapposto, come tale, al mos Gallicus, prevalentemente storico, diffusosi in Francia, dopo l'Alciato. Questa designazione generica dei giuristi italiani per oltre tre secoli è il massimo segno dell'efficacia, così a lungo esercitata da Bartolo da Sassoferrato ed eloquentemente sanzionata dal detto, comune in Italia dalla metà del sec. XIV in poi, nemo iurista nisi bartolista: efficacia di cui s'incontra, ancora verso la metà del sec. XVI, esplicito riconoscimento in quello stesso Andrea Alciato (1492-1550) che dovrà iniziare la reazione contro di essa: sine Bartolo aliisque quibusdam interpretibus ius nostrum non consistere affirmare ausim. Benché l'indirizzo bartolista, abbia in Italia resistito sino oltre il sec. XVII all'influsso della giurisprudenza umanistica promossa in Francia dall'Alciato, il periodo migliore di quell'indirizzo è certo da scorgersi nei due secoli correnti tra la morte di Bartolo (1357) e la morte di Alciato (1550).
Massimo rappresentante della scuola, il più illustre fra gli scolari di Bartolo, è il perugino Baldo degli Ubaldi (1327-1400): ma meritano particolare menzione, tra la folla di giuristi di quei secoli, anche Luca da Penne, Bartolomeo Saliceto (1339-1422), Raffaele Fulgosio (1367-1427), Paolo da Castro (morto nel 1441), Mariano Socini (1411-1467), Bartolomeo Socini (1436-1507), Filippo Decio, Alessandro Tartagni (1424-1477), Giason del Maino (1435-1519). Tutti costoro si mostrano, nella enorme farragine delle loro opere teoriche e pratiche, inclini a esagerare, allontanandosi sempre più dalla esegesi dei testi, le tendenze di Bartolo, e ad abusare, talora sino all'assurdo, delle sottigliezze dialettiche care al maestro: ma pur dimostrano spesso un notevole acume nei ragionamenti e nella soluzione delle difficoltà, e soprattutto eccellono nel raccostare con senso pratico il testo del diritto romano alle esigenze della vita quotidiana: di qui l'importanza dei loro scritti per la storia del nostro diritto nazionale e, in genere, del diritto comune.
Bibl.: Il passo citato di Alciato è in Comment. ad Dig. l., 247 (L, 16, 15); cfr. poi F. C. Savigny, Gesch. d. Röm. Rechts, VI, Heidelberg 1850, p. 211 segg.; Fr. Schupfer, Storia del dir. ital., Le fonti, 4ª ed., Città di Castello 1918, p. 621 segg.; A. Solmi, Storia del dir. ital., 2ª ed., Milano 1918, p. 652 segg.; E. Besta, Storia del dir. ital., sotto la direz. di P. Del Giudice, I, ii, Milano 1925, p. 843, e le fonti ivi citate.