BAROVIER (Beroverius, Boroverius, Beroviero, Beroero, Berodero, Broio)
Famiglia di vetrai attivi nell'isola di Murano a partire dal sec. XIII circa. Il nome può derivare da "Beroviere", termine che indicava forse i provenienti dalla regione francese del Berry che forniva soldati di ventura. L'origine sembra essere Treviso, come testimonia il Melchiori, ricordato dallo Sbrissa; di là i Barovier si sarebbero trasferiti nella vicina Castelfranco. Ma già nella seconda metà del '200 si sa della presenza nell'isola lagunare di un ANTONIO, il più antico membro della famiglia di cui si conosca il nome, il quale esercitava il mestiere di "phiolarius" o soffiatore di fiale (bottiglie). Vetraio era anche il figlio SIMONE, citato negli atti del podestà di Murano nel 1310. Un altro ANTONIO appare ricordato poco più tardi, ma ancora nel sec. XIV, e con lui il fratello BARTOLOMEO, personaggio certamente importante tra i Muranesi del tempo, poiché in un atto del podestà di Murano (1348) è chiamato "Phiolarius principalis". Egli visse sino al principio del sec. XV e lasciò tre figlá, anch'essi maestri vetrai: SIMONE, GIULIANO (morto circa nel 1427) e Iacopo (o Iacobello), che ebbe dieci figli; attivo anche fuori patria è ricordato a Padova nel 1416. Forse appartenne alla stessa famiglia quel GIOVANNi detto "de Murano", il cui nome lo Zanetti (1866, p. 367) trovò citato l'anno 1317 per un lavoro di smalti e per la coloritura di vetri da finestre.
Nulla si sa di più preciso circa l'attivita di quei primi maestri se non che fabbricavano per lo più bottiglie, cioè vetri cavi di uso comune. D'altronde è impossibile ricostruirne le biografie nella scarsità di notizie unita all'assoluta mancanza di opere certe giunte sino a noi. Pure si sa che fu quello un periodo di felice attività e di espansione commerciale: lo statuto dell'arte era già organizzato (dal 1271) ed erano in piena espansione le fomaci, concentrate a Murano verso la fine del sec. XIII.
Tra i figli di Iacopo, SALVATORE, castaldo dell'arte dal 1446, è ricordato in un documento tra i più antichi (1447) nella storia dei vetri a smalto veneziani, per aver eseguito vetri che venivano poi decorati da Elena De Laudo. Ma il primo artista della famiglia di cui abbiamo più particolari notizie, nel sec. XV, è ANGELO di Iacopo, che ebbe numerosi figli, dediti anch'essi all'arte del vetro: Francesco, Marino, Maria, Giovanni, Ludovico (morto prima del 1517), Niccolò. GiovANNi, fratello di Angelo, è citato in una supplica alla Signoria del 1468.
Alla morte di Angelo (1461), l'attività della fabbrica passava definitivamente nelle mani dei figli MARINO e MARIA (detta Marietta). L'arte di Marino, che appare ricordata nel Trattato del Filarete, non doveva essere meno apprezzata e famosa di quella del padre, che già da vivo (nel 1459) gli aveva affidato la direzione della bottega. L'attività di Marino era pure dedicata agli smalti da mosaico ed ai vetri colorati, nonché alle vetrate dipinte. Le vecchie guide ricordano come opera sua una finestra nella chiesa di S. Pietro Martire di Murano, eseguita per la cappella Ballarin, su disegno del pittore Bartolomeo Vivarini, che andò distrutta nel sec. XIX. Nella fornace di questo maestro lavorò un apprendista venuto dalla Dalmazia, Giorgio Ballarin, che poi, secondo la tradizione, avrebbe carpito il segreto alla fabbrica, per iniziare, con notevole successo, una sua attività indipendente. A Marino toccarono, come al padre, cariche e onori; fu castaldo dell'arte dei vetrai nel 1468 e nel 1482, come è provato dalla mariegola, illustrata dallo Zecchin: fu pure cavaliere del podestà e giudice. Egli morì nel 1490 circa, lasciando la fabbrica ai fratelli Giovanni e Maria.
Di GIOVANNI si hanno varie notizie, in particolare riguardanti i rapporti col Ballarin già ricordato. Nel 1481 era castaldo dei vetrai, nel 1502 fece parte del consiglio che confermò lo statuto della comunità di Murano (Cicogna, VI, p. 394), nel 1506 era ancora castaldo. Fu citato inoltre per tessere di smalto impiegate nei mosaici di S. Marco (1489).
MARIA collaborò attivamente alla direzione della fabbrica, insieme con Giovanni; sembra che a lei in particolare facesse capo la produzione dei vetri dipinti a smalto. Un documento del 1497 riguarda, infatti, la concessione speciale rilasciata dal doge Agostino Barbarigo, per l'uso di una piccola fornace (una "muffola") che doveva servire alla ricottura degli smalti (atti del podestà di Murano, 26 luglio 1497, in Levi, 1895).
È, oltremodo interessante leggere l'Inventario della bottega Barovier compilato l'anno 1496 e conservato presso l'Archivio di Stato di Venezia (atti del podestà di Murano, in Levi, 1895). Vi compaiono oggetti che ci informano sulle produzioni più tipiche di quella fornace: dalle coppe di vetro azzurro a quelle bianche di lattimo (o latesino), vasi di calcedonia, tazze di circostanza (dett'e, alla francese, "gobeletti"), una coppa lattimo "con Dante" (evidentemente portava dipinto il ritratto del poeta), ecc. Con l'aiuto di tali citazioni si è pensato di attribuire a Marietta molte di quelle tazze in vetro colorato dipinte a smalti policromi, di cui il pezzo più noto in Italia è la coppa nuziale (chiamata Coppa Barovier) del Museo vetrarìo di Murano. Bienché tale attribuzione non sia sicuramente documentata, pure è indubbio che dalla famosa fornace in quegli anni uscirono, oltre ai candidi lattimi, alle calcedonie e agli altri tipi sopra descritti, i vari oggetti con decorazioni a smalto figurate, a fregi fioreali e geometrici o a squame, punteggiati con oro, su fondo per lo più scuro (azzurro, verde' rosso amaranto). I colori usati per gli smalti erano di preferenza l'azzurro chiaro, il bianco, il rosso, il verde. I motivi venivano tratti dall'arte sacra, ma più spesso dai repertori profani, mitologici, allegorici che facilmente si potevano attingere tra le miniature e le xilografie del tempo. Era anche questo un segno dell'aggiornamento rinascimentale nella stessa produzione vetraria, verso gli ultimi decenni del '400. Ne sono testimonianza gli esemplari, spesso stupendi e raffinati anche nella parte figurata, che si conservano in vari musei italiani e stranieri.
Marietta (Maria) morì forse nei primi anni del sec. XVI.
Numerose erano le fornaci dei Barovier, suddivise in rami diversi e indipendenti. Così esistevano le fabbriche con l'insegna der'angelo, della campana, della ruota o della stella. Ai Barovier fu attribuit~?????i stenuna, pero non confermato nei ????menti, con una ruota al centro.
Ci è giunto qualche altro nome della famiglia tra i vetrai attivi in Murano nei sec. XV e XVI. Un ANGELO (da non confondersi con Angelo di Iacopo) fu camerlengo e tesoriere al tempo del doge Leonardo Loredan, essendo podestà di Murano Gabriele Venier (1502); in quel momento si rinnovava lo statuto dell'isola. Egli è ancora ricordato per la sua fornace all'insegna dell'angelo. Deve essere identificato con quell'Anzoletto (figlio di Ludovico e nipote dei vecchio Angelo) il cui nome appare sin dal 1494. Nel 1505 gli sono ordinati alcuni "vasi cristallini" da Isabella d'Este. Nel 1508 è castaldo dell'arte, e compare anche nella mariegola, tra i padroni di fomace, nel IPo e nel 1539 (Zecchin, 1957). là ricordato dal Sanuto nel 1515 quando il maresciallo di Vendóme visitò le sue fabbriche, e infine nel 1525. Un altro GiovANNi figlio di Iacopo è castaldo dell'arte nel 1500 (Cicogna, VI, p. 457). Un Niccolò di cui non sappiamo la patemità, nel 1524 e nel 1531 era giudice di Murano (Cicogna, VI, p. 394). Sul finire del sec. XVI va ricordato un MARCO indicato come castaldo dell'arte; con decreto del 1602 il Consiglio dei Dieci conferma una sua istanza. Nel sec. XVII un ZUANE detto "Campana" appare in un elenco (1674) come "maestro perfeto de cristali". Allo stesso secolo appartiene quel Domenico, attivo nell'isola di Maiorca, dove-aveva certamente contribuito all'affermarsi del cristallo veneziano; il suo nome è citato per una concessione nel 1605.
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