BALASSA [pron. bå′låsciå], barone Bálint (Valentino)
È da considerarsi il primo poeta ungherese, nello stretto senso della parola; fu il primo infatti che, scrivendo canzoni amorose, adoperasse la lingua della sua nazione. Per questo si disse nel suo paese che, pur nelle sue ridotte proporzioni, fu il Dante e, ad un tempo, il Petrarca dell'Ungheria: come Dante, infatti, nobilitò la lingua volgare del suo paese, elevandola a lingua letteraria; e come il Petrarca, scrisse rime ispirate direttamente agli avvenimenti della propria vita: contemporaneamente fu anche il primo lirico - e il solo - che si sia ispirato alla poesia popolare, compensandoci, con le sue geniali e fresche imitazioni, della perdita quasi totale di quella letteratura, ugualmente perseguitata dai teologi cattolici e protestanti. Nacque nel 1581, quando il Turco teneva asserviti due terzi della sua patria, e il re d'Ungheria, che era in pari tempo imperatore di Germania e arciduca d'Austria, già aveva la sua residenza in Vienna. Ancor giovane, si segnalò alla corte di Vienna, con l'esecuzione di un ballo di pastori ungheresi. Passò poi la maggior parte della sua vita nelle fortezze di confine dell'Ungheria settentrionale, combattendo strenuamente contro i Turchi ed esaltando in canti ispirati le gioie e le fatiche della vita militare, piena di stenti e di pericoli ma bella e romantica. Fu più volte in Transilvania alla corte del principe Stefano Báthory (più tardi eletto re di Polonia); giuntovi come prigioniero di guerra, venne rimesso in libertà. Corteggiò molte belle gentildonne, alle quali usava dedicare le sue poesie. Ma la grande passione della sua vita fu Anna Losonci, che amò fanciulla senza esserne riamato, e che vagheggiò - sempre invano - anche più tardi quando essa rimase vedova. Risposatasi essa, prese anch'egli moglie, sposando una sua cugina. Venuto poi a litigio con un parente di sua moglie, gli tolse con le armi un castello, per la qual cosa si trovò ben presto inviluppato in una serie di scandalosi processi. Fu accusato dai suoi avversari, d'incesto (perché aveva sposato una cugina!) e persino di professare la fede maomettana. Condannato, perdette i beni e la carica di capitano, e dovette rifugiarsi in Polonia presso re Stefano Báthory che continuava a tenerlo in amicizia. Dopo aver tentato invano di riavere il grado di capitano di qualche fortezza di confine, si arruolò nell'esercito imperiale che assediava la rocca di Strigonio (Esztergom), e morì durante l'assedio (1594), colpito da una palla di cannone. Le rime del B. si diffusero soltanto manoscritte, perché il sentimento religioso dei tempi non consentiva che fossero stampate. Sono per la maggior parte canzoni amorose, e, in parte minore, canti religiosi che rammentano i salmi e che soli vennero pubblicati. Quelli d'argomento profano, raccolti dal fedele amico Giovanni Rimay e ritrovati solo nel 1874, sono in gran parte composti in una strofa novenaria di sua invenzione e che da lui prende il nome. Il B. scrisse anche un dramma pastorale su modello italiano, di cui però non rimangono che due foglietti stampati. Per quanto individualmente originale, ebbe anch'egli, come i poeti del Rinascimento, i suoi modelli che furono specialmente le poesie latine di due umanisti del Quattrocento, Marullo e Angeriano. Conobbe certamente nella lingua originale le Rime del Petrarca, anzi sembra che il concetto delle canzoni che diresse a Giulia (Anna Losonci) sia derivato direttamente dal Canzoniere. Quattro delle canzoni del B. sono composte su melodie italiane allora in voga, tra le quali quella della "Giannetta Padovana".
Ediz.: Le opere complete del B. vennero pubblicate da Lodovico Dézsy: Balassa Bálint minden munkái, voll. 2, Budapest 1923.
Bibl.: Zoltan Ferenczy, La lingua volgare nella letteratura italiana, in Corvino, I (1921); A. Eckhard, Valentino Balassi e Petrarca, ibidem.