PANNILINI, Barnaba
PANNILINI, Barnaba (Barnaba Senese). – Figlio di Nanni di Barna, nacque a Siena, dove fu battezzato il 15 ottobre 1399.
Il padre, imprenditore tessile, ricoprì importanti uffici e nel 1403 era tra i Savi deputati a riformare l’università (Tommasi, 2002, p. 309).
Barnaba seguì forse le lezioni di Guarino insieme a due ‘colonne’ dell’osservanza francescana di cui fu intimo, s. Bernardino e Alberto da Sarteano (Misciattelli, 1914, p. 190). Tali relazioni e il profondo sentimento religioso gli resero difficile il rapporto con gli umanisti attivi a Siena negli anni Venti del Quattrocento, autori di pagine scabrose e dissacranti: il Panormita, Giovanni Marrasio, Andreoccio Petrucci, Enea Silvio Piccolomini e l’anonimo novelliere detto Pseudo-Sermini. Perciò fu tentato di abbandonare il cenacolo e gli stessi humanitatis studia, di cui a Siena secondo Marrasio (1976, pp. 153-155) era stato precursore.
Di lui rimane una silloge di epistole latine (Siena, Biblioteca Comunale, Bernabei Senensis Epistolae, D. VI. 5), segnalata dagli eruditi (Ugurgieri Azzolini, 1649, I, pp. 555 s.; Mehus, 1741, I, pp. 95 s.) e trasmessa da un codice pergamenaceo pervenuto mutilo e censurato da un’ampia rasura, databile verso la metà degli anni Quaranta del XV secolo. In bella littera antiqua, il codice è del medesimo scriba e di uguali dimensioni e materiale della silloge epistolare di Andreoccio Petrucci, formando un corpus unitario nella veste e nei contenuti, pervasi dal timore per la libertà della patria minacciata da Firenze e dalla mancata concordia interna. Pregevole per la levatura dei corrispondenti e le questioni trattate, oltre che per la dignità formale, il testo di Barnaba è fondamentale per le origini dell’umanesimo a Siena.
La silloge tramanda fra l’altro l’epistola che Piccolomini scrisse da Genova ad Andreoccio Petrucci, un capolavoro della letteratura umanistica (Wolkan, 1909, pp. 7-11). Oltre che con Piccolomini, Barnaba corrispose con Leonardo Bruni, Francesco Filelfo, Agostino Dati, Antonio Pacini, Antonio Pessina, Porcelio Pandoni. Fra i concittadini, scambiò epistole con Paolo Lapini da Montalcino, fratello del poeta Ilicino, e Bartolomeo Agazzari, console dei catalani in Toscana; Jacomo Migliorini, impegnato nei traffici di mare; Giovanni Andrea Tolomei, del nobile casato imparentato a s. Bernardino; Castellano Tani, collezionista di testi classici (Nardi, 2009, p. 54), oltre un Bartolomeo Tomassoni e un Angelo (Petrucci?) cui scriveva volgendo in prosa l’elegia d’amore, il genere tipico del primo umanesimo senese (Ep. LV).
L’Ep. I, diretta ad Andreoccio, è un manifesto del culto per le humanae litterae, condiviso al punto che i due letterati si paragonavano agli eroi antichi dell’amicizia Damone e Finzia. Il legame si rafforzò nel 1436, quando Barnaba sposò Taddea, figlia di Andrea di Francesco Petrucci e di una Forteguerri, la famiglia materna di Pio II (Archivio di Stato di Siena, Gabella 193, c. 73v). Il matrimonio inseriva l’umanista, un homo novus, in una famiglia tra le più potenti di Toscana. In effetti la sua, come quella di Andreoccio, è letteratura militante a sostegno di Antonio Petrucci, il condottiero protagonista di un processo di ascesa signorile, che sarebbe stato portato a compimento a fine Quattrocento da Pandolfo Petrucci (nell’Ep. XII Barnaba manifesta ad Antonio la sua ammirazione). L’episodio più noto del sodalizio con l’illustre consorteria fu nel 1434 la chiamata di Filelfo presso lo Studio (Ep. XXIX, XXX, XXXI), che segnò a Siena il trionfo della notitia antiquitatis in sede istituzionale e non più solo nei circoli aristocratici. Eletto fra i Savi dello Studio, nel 1438 Barnaba si recò a Pavia per la condotta del giurista Catone Sacco e si interessò a quella del giurista Filippo Lazzari, cui nell’Ep. V annunciava la nascita di un figlio, del quale lo stesso Lazzari fu padrino (Rosso, 2000, pp. 254-261; Siena, Archivio di Stato, Biccherna 1132, c. 631v).
L’Ep. XI è rivolta a s. Bernardino e l’ultima, Ep. XLVI, tramanda quella scritta al predicatore dal dotto agostiniano Andrea Biglia. Barnaba infatti si adoperò per ricomporre un’aspra polemica fra i due religiosi. Perdute due opere dove celebrava i condottieri Niccolò Piccinino e Antonio da Pontedera, con i quali combatté Antonio Petrucci, rimane di Barnaba anche la prima biografia di s. Bernardino, scritta a soli dieci mesi dalla morte (Sancti Bernardini Senensis vita I. antiquior, auctore Bernabeo Senensi, in Acta Sanctorum, quotquot..., Antwerp 1685, V, coll. 739-746).
Trasmessa da un piccolo, elegante codice pergamenaceo nella stessa litteraantiqua della silloge, è una lunga epistola rivolta ad Alfonso d’Aragona per incoraggiare la canonizzazione ed è fonte preziosa per i viaggi del santo, che Barnaba talvolta accompagnò (Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 2227: Bernabei Senensis sancti Bernardini vita antiquior). L’opuscolo adotta schemi del genere agiografico ma, alieno «da ogni apertura mistica o ascetica», insiste sul significato sociale e politico (Ferraù, in Epistolario, a cura di G. Ferraù, Palermo, 1979, pp. 21-25).
Il cursus honorum di Pannilini iniziò nel 1423 in Consiglio del Popolo, nel 1425 fu podestà ad Abbadia S. Salvatore (Epistolario, cit., 1979, p. 17), nel 1427 castellano a Radicofani, nel 1428 priore, commissario ad quasdam partes nel 1430, priore nel 1433, nel 1441-42 camarlingo dei Paschi, priore nel 1442. Nel 1444 si recò a Milano per assoldare Niccolò Piccinino, che morì in quei giorni, come apprese in viaggio, ospite di casa Medici (Archivio di Stato di Siena, Concistoro 1407, cc. 49r, 55v, 83v, 121v, 217r, 222v, 229r, 250v). Si recò allora anche dal capitano senese Antonello Ruffaldi a Cassano Spinola (ibid., Concistoro 1955, n. 97; 1956, nn. 29, 30, 36). Scrittore del vino nel 1445, fu ancora priore nel 1446 (ibid., Concistoro 2407, cc. 260v, 266r). Svolse poi anche altri incarichi, spesso di rappresentanza con Andreoccio Petrucci.
Esaltò quale princeps principum il duca di Milano ed ebbe contatti con l’umanesimo lombardo e i dignitari viscontei (Ep. X, XIII, XVIII, XIX). Nel 1436 fu scrittore di Biccherna, la massima magistratura finanziaria, e il registro fu decorato da Giovanni di Paolo con una preziosa immagine di s. Girolamo, il santo degli umanisti (Le Biccherne..., 1984, pp. 140 s.). Sempre nel 1436 accompagnò l’ambasciatore Pietro de’ Micheli presso Filippo Maria Visconti per trattare una svolta politica decisiva (Filelfo, 1502, c. 13). Quell’anno le sorti di Siena si saldarono alle mire degli Aragona e si formò la fazione degli emergenti di re Alfonso, guidata da Antonio Petrucci. Da ciò conseguirono fitti contatti con Napoli, nonché gravi contrasti civili, non senza conseguenze per la parte d’Italia centrale che considerava Siena come l’unico argine all’espansione di Firenze.
Dopo la rotta di Anghiari, Barnaba dal Casentino scriveva: «Come veghano un sanese, lo’ pare vedere Domenedio» (Archivio di Stato di Siena, Concistoro 1949, n. 1). Di accenti antifiorentini è anche la corrispondenza con i grammatici Bartolomeo Aretino e Antonio Burletti, sempre di Arezzo, con il quale scambiava i Vocabula Guarini. Incerta è l’identità di un altro aretino, Johannes, forse Giovanni Bacci (Epistolario, cit., 1979, pp. 70-73; Ferraù esclude Giovanni Tortelli e propone Giovanni da Fagnano).
La parte ghibellina, cui l’umanista aderì, fu incoraggiata dalla presenza dell’imperatore Sigismondo a Siena nel 1432 e Barnaba con Andreoccio e l’umanista Leonardo Benvoglienti accolse il sovrano. Fra i dignitari della corte, frequentò Brunoro della Scala (Tra politica e cultura nel primo Quattrocento, 1990, p. 29; Ep. XL). Forse ebbe una scuola privata di retorica, ma non trascurò gli affari e nel 1440 vendette all’Ospedale della Scala il guarnello per i trovatelli che lì erano assistiti e istruiti (Pertici, 2012, p. 296).
Pertanto negli affreschi del Pellegrinaio dell’Ospedale è plausibile riconoscerlo nel maestro ritratto tra fanciulli vestiti di quel modesto tessuto. Il ciclo, dei primi anni Quaranta, tra i più originali e innovativi del gotico internazionale, riflette le esperienze di Pannilini e Petrucci, allora al vertice del potere.
Barnaba non compare nelle cariche dopo il 1446 e certo morì prima del 1465, quando i figli Francesco e Giovanni dichiararono al fisco i 50 fiorini destinati dal padre alla propria cappella in S. Quirico in Castelvecchio a Siena (Archivio di Stato di Siena, Lira, 152, n. 497).
Fonti e Bibl.: Francisci Philelphi Epistolarum familiarium libri XXXVII, Venetiis 1502; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi o’ vero relazione delli huomini e donne illustri di Siena e del suo Stato, Pistoia 1649; L. Bruni, Epistolarum libri VIII, a cura di L. Mehus, Firenze 1741; Der Briefwechsel des Eneas Silvius Piccolomini, ed. R. Wolkan, Wien 1909; P. Misciattelli, Misticisenesi, Siena 1914; Johannis Marrasii Angelinetum et carmina varia, a cura di G. Resta, Palermo 1976; G. Fioravanti, Università e città. Cultura umanistica e cultura scolastica a Siena nel ’400, Firenze 1980; Le Biccherne. Tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), a cura di L. Borgia et al., Roma 1984; Tra politica e cultura nel primo Quattrocento senese: le epistole di Andreoccio Petrucci (1426-1443), a cura di P. Pertici, Siena 1990; P. Rosso, Catone Sacco. Problemi biografici. La tradizione delle opere, in Storia del diritto italiano, LXXIII (2000), pp. 237-338; G. Tommasi, Dell’historie di Siena, Deca seconda, vol. I, Libri I-III (1355-1444), Siena 2002; P. Nardi, Maestri e allievi giuristi nell’Università di Siena. Saggi biografici, Milano 2009; Id., Lo Studio di Siena e l’insegnamento del diritto in epoca rinascimentale, in Umanesimo e Università in Toscana (1300-1600), a cura di S. U. Baldassarri - F. Ricciardelli - E. Spagnesi, Firenze 2012, pp. 225-232; P. Pertici, Lo Pseudo Gentile Sermini agli Intronati, in Bullettino senese di storia patria», CXVIII-CXIX (2011-2012), pp. 487-491; Id., Siena quattrocentesca. Gli anni del Pellegrinaio nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, Colle di Val d’Elsa 2012, passim.