MORANO, Barnaba
MORANO, Barnaba (Bernabò, Bernabeo; Barnaba da Morano). – Nacque da Nicolò, del ramo veronese della famiglia, in data non precisata, che Vicini ritiene «con sufficiente sicurezza» collocabile nel «1330 circa» a Modena, dove avrebbe iniziato la sua attività professionale trovandosi il suo nome inscritto nelle trecentesche Matricole dei giudici e degli avvocati di Modena (Vicini, 1943, p. 12).
Alla nobile famiglia modenese dei Morano, che aveva per capostipite Bernardino da Morano e ramificazioni a Ferrara e a Verona, appartenne anche il Bonifacio da Morano (morto nel 1349) autore della Chronica circularis pubblicata da L.A. Muratori (Chronicon Mutinense, in Rer. Ital. Script., XI, Milano 1727, coll. 93-130). Di un Battista di Giovanni da Marano [Morano?] si ha notizia, nel Veronese, da due suppliche rivolte nel 1386 e nel 1387 ad Antonio della Scala per regolarizzare situazioni fiscali relative a fondi rustici (Bertoletti, 2005).
La prima notizia della presenza di Barnaba a Verona data al 16 maggio 1373 ed è riferita da una carta veronese che lo ricorda come vicario del podestà. Nelle fonti il nome di Morano si incontra sovente in quegli anni come vicario o vicepodestà (così a Vicenza nel 1374 alla morte di Alberto dalla Legge). Fu giudice del tribunale veronese detto «banco del pavone» (1378) e svolse attività consulente, come attesta un consilium dato in una lite tra Nicolò Zaccaria e la Factoria detta, più tardi, Camera fiscale. Succeduti i Visconti agli Scaligeri nella signoria di Verona, Morano continuò a godere della fiducia dei nuovi signori i quali lo chiamarono nel Consiglio dei Sapienti, che insieme ai Gastaldi reggevano la città.
Offrì i suoi servigi anche ai Carraresi, succeduti ai Visconti nel 1404, i quali gli affidarono importanti uffici. Dopo la conquista/ dedizione di Verona alla signoria della Repubblica di Venezia (22 giugno 1405), Morano non abbandonò la vita pubblica: in qualità di deputato ad utilia communis Verone (erano 12 in tutto), propose un mutamento dello Statuto cittadino per ridurre il numero dei partecipanti al Consiglio maggiore (da 500 a 50) con il proposito (non dichiarato, ma facilmente intuibile) di adeguare il regime di Verona alla oligarchia della Serenissima. La proposta di Morano, ufficialmente motivata «pro tolendis scandolis que forte oriri possint propter coadunationem populi et multitudinem … quia ubi multitudo ibi confussio » fu accolta e segnò la soppressione del Consiglio dei Cinquecento.
Dalla data del testamento di Morano (21 settembre 1411) si ritiene che egli sia morto verso la fine di quell’anno, ma non se ne ha documentazione.
Della sua attività di giurista rimangono soltanto alcuni Consiliamanoscritti conservati negli archivi veronesi (per un elenco dettagliato, Simeoni, 1910, pp. 218-219).
Il testamento (di cui furono beneficiari i nipoti), nella parte in cui dispone dei suoi libri (ibid., pp. 232-235), è di notevole importanza per ricostruire quella che doveva essere la biblioteca di un apprezzato giurista del Trecento, certamente bene introdotto negli ambienti della classe dirigente di Verona. Dall’inventario testamentario sono facilmente individuabili quattro gruppi di libri: di diritto canonico; di diritto civile; di filosofia e teologia; di testi sacri. Ai libri del primo gruppo appartengono il Corpus iuris canonici, probabilmente glossato, e opere di dottrina che vanno dalla Summa dell’Ostiense alle Summae monaldina e raimundiana, dalla Lectura di Innocenzo IV a quella di Giovanni Monaco e alla Novella in Sextum di Giovanni d’Andrea; le Clementinae con la Summa super Secundo Decretalium di Dino del Mugello.
Più ricco il gruppo dedicato al diritto civile. Del Corpus iuris civilis Morano nomina i tre Digesti e il Codice, ma sembra impossibile che non possedesse anche il Volumen e, si suppone, tutti corredati dalla Glossa accursiana. I glossatori sono appena rappresentati dalla Summa di Azzone e dallo Speculum di Durante; per il resto sono tutti commentatori: Cino da Pistoia, Raniero da Forlì con le sue Letture sul Digesto Vetus, Novum e sul Codice; Alberto da Gandino, Alberico da Rosate (Lectura super [parte] Codicis), la pregevole Lectura sul Vetus di Guglielmo di Cunio, e quelle di Iacopo Butrigario sul Vetus e sul Codice; di Bartolo da Sassoferrato «multa et multa opera enucleata ex Lecturis» e di Baldo degli Ubaldi la Lettura sul Codice e di Angelo [degli Ubaldi] da Perugia una Lectura sui Tres Libri. Possedeva inoltre la Lectura super secunda parte Digesti Novi e la Lectura super Infortiato di Pietro di Bellapertica. Sono citati: Arenge, opera ritenuta di Pietro Della Vigna e non meglio specificata e, in volume a parte, un Usus feudorum che è, probabilmente, quello di Baldo.
I libri non riguardanti le materie giuridiche comprendono in un primo gruppo, per i classici, Seneca (Tragedie, Epistole) e Valerio Massimo; per la filosofia in genere testi medievali, come un Liber Moralium; il diffusissimo Lucidarius; un non meglio specificato Dialogus e una Istorie scolastice; Sermones editi a Rico de Morano (probabilmente uno dei giuristi di cui è ricco l’albero genealogico della famiglia); un De virtutis in comuni; Breviloquium de virtutibus antiquorum principum et philosophorum; un Liber de regimine principum di cui non si menziona l’autore; un Moralium philosophorum cum Prospero et Esopo glosate.
Insieme a questi sono raccolti libri di pietà, come Predicationes quadragesimales e le Figure del genovese Antonio Rampegoli; Sermones mortuorum editi a fratre Deomolducio ordinis Heremitarum; Arenge Arnaldi clerici augustinensis.
I testi sacri comprendono il Vecchio Testamento e il Nuovo, gli Atti degli Apostoli e le Epistole di San Paolo; Casus sumani [sic.], Biblia et nomina Hebreorum; il Salterio Offitium beate Marie Virginis e Breviarium secundum curiam romanam et ordinem minorum. Il codice contenente l’Antico e il Nuovo Testamento, preziosamente miniato (Trento, Biblioteca Comunale, Mss., 2868), costituisce un importante documento per gli studiosi delle scuole dei miniaturisti del secolo XIV e ha una sua storia per essere stato l’esemplare «su cui giurarono i Padri del Concilio [di Trento] la loro fedeltà alle decisioni del Concilio medesimo» (Vicini, 1943, p. 4). L’identificazione del cimelio risulta da una nota di possesso del secolo XV: «Ista biblia fuit quondam legum egregii doctoris de Morano domini Bernabei et nunc Benedicti de Morano» e dall’annotazione, del secolo XVI, di chiusura del Concilio con l’elenco dei partecipanti.
Dai suoi libri giuridici si può facilmente intuire quali siano stati gli interessi e i limiti della cultura di Morano. Come giurista, riteneva del tutto superate le opere dei glossatori, salvo Azzone e Guglielmo Durante; ma quanto ai commentatori evidente è l’assenza di opere di Bartolo, del quale possedeva solo degli estratti, e di tanti altri sui quali la biblioteca appare muta. Ma pur con queste deficienze, l’opera dei commentatori è largamente rappresentata, e si può ritenere che la formazione di Morano e la sua cultura derivino da questa scuola.
Le opere di edificazione religiosa e di filosofia sono quelle comuni nel medioevo e diffuse anche in questo periodo, mentre l’assenza quasi totale dei classici latini (salvo Seneca e Valerio Massimo, anche loro noti nei secoli precedenti) sembra inverosimile in epoca di Umanesimo; né è lecito pensare che i giuristi siano rimasti insensibili a quel richiamo.
La chiesa veronese di S. Fermo deve alla munificenza di Morano il pregevole pulpito gotico, costruito nel 1396, opera di Martino di Alberto di Pontepietra, e il sepolcro (nel quale, vestito da frate minore, Morano si fece inumare), opera di Antonio da Mestre. Morano fece costruire nella stessa chiesa un altare poi rimosso e oggi perduto.
Fonti e Bibl.: G. Dalla Corte, Dell’Istoria di Verona …, I, Verona 1592, pp. 223-224; P.M. Campi, Dell’Historia ecclesiastica di Piacenza…, III, Piacenza 1662, p. 161; L. Vedriani, Dottori modonesi di teologia, filosofia, legge canonica e civile…, Modena 1665, pp. 83-84; Id., Historia dell’antichissima città di Modona, II, ibid. 1667, p. 327; [G.A. Morano], Serie genealogica della famiglia Morano patrizia modanese, ibid. 1759, p. 23; L. Simeoni, Il giurista Barnaba da Morano e gli artisti Martino da Verona e Antonio da Mestre, in Nuovo Archivio Veneto, n.s., X (1910), pp. 216s. (con ampia documentazione d’archivio); E.P. Vicini, La Bibbia del Concilio di Trento e il suo primo proprietario Barnaba da Morano, Modena 1943; E. Rossini, Medici, giudici e notai, in Cultura e vita civile a Verona. Uomini e istituzioni dall’epoca carolingia al Risorgimento, a cura di G.P. Marchi, Verona 1979, pp. 227-270; R. Avesani, Verona nel Quattrocento. La civiltà delle lettere (Verona e il suo territorio, IV, t. 2), Verona 1984, pp. 16-17; M. Medica, La città dei libri e dei miniatori, in Duecento. Forme e colori del Medioevo a Bologna. Catalogo della mostra … Bologna 2000, a cura di M. Medica, Venezia 2000, p. 131; N. Bertoletti, Testi veronesi dell’età scaligera. Edizione, commento linguistico e glossario, Padova 2005, pp. 443-444; G.M. Varanini, Bartolomeo Cipolla e l’ambiente veronese: la famiglia e le istituzioni municipali, in Bartolomeo Cipolla: un giurista veronese del Quattrocento tra cattedra, foro e luoghi del potere. Atti del convegno …Verona … 2004, a cura di G. Rossi, Assago 2009, pp. 121s.