BAREZZI, Barezzo
Nacque a Cremona intorno al i 560, figlio di un Giovan Maria, che forse proveniva dal contado e si era stabilito in città in epoca recente. Intorno al 1578 si trasferì a Venezia iniziando un lungo periodo di apprendistato in una delle più celebri stamperie dell'epoca: quella di Francesco Ziletti. Il 10 ag. 1591 ottiene di essere immatricolato fra i librai, previo esame che egli supera agevolmente; nel 1592 risulta associato con Bernardo Basa, nel 1599 con altri soci non meglio specificati, e nel 1601 con Mattia Collosini. Nel luglio dello stesso anno sostituisce il segretario Bartolamio Carapello nel "Capitolo di Banca e Zonta" e il suo nome appare ancora fra i partecipanti al capitolo del 9 giugno 1617. Il 15 ag. 1642 chiede il privilegio per ristampare la Vita dei Pontefici del Platina; l'anno seguente (24 agosto) dedica il Proprinomio historico, geografico e poetico a Giuseppe Locatelli. Muore sul finire dello stesso anno o ai primi del 1644, come risulta da un inventario degli oggetti esistenti nella stamperia e nella casa del B. "ad istantia del M. R. Pre Francesco Barezzi suo fig.Io et herede", che porta la data del 20 genn, 1643 more veneto.
L'attività editoriale del B. si inaugura, in proprio, nel 1591 con la Historia di Montevergine di Tommaso Costo e la Storia del reame di Napoli di Pandolfa Collenuccio, cui fece seguito (1592) l'Epitome delle vite dei pontefici del Costo. Dal 1591 al 1599 la sua attività tipografico-editoriale andò gradatamente crescendo: dapprima pubblicò alcune edizioni con soci non nominati né identificabili ("apud Baretium et socios"), molte però ne stampò da solo. E. Pastorello ne ha censite ventiquattro, ma dovettero superare certamente la trentina, benché, allo stato attuale delle ricerche bibliografiche sulla stampa italiana del '500, sia impossibile fissame con esattezza il numero. Nei primi due decenni del '600 i suoi affari prosperavano: il B. viaggiava per l'Italia visitando librai, frequentando fiere, ricercando buoni testi da pubblicare, spingendosi fino a Napoli per visitare il Costo, del quale, oltre le opere già citate, stampò Il fuggilozio (1600); Lettere scritte a diversi (1602); Discorso sul poemetto del Tansillo: Le lacrime di s. Pietro (1606); Discorso sul Petrarca (1629). A questa varietà di intenti e di iniziative non corrisponde tuttavia la buona qualità delle edizioni, quasi tutte condotte con troppo stretti criteri di economia: carta di cattiva qualità, caratteri raramente rinnovati, e - quel che è peggio - affrettatamente stampate e mal rivedute. Il Lancetti, pur riconoscendo i numerosi difetti delle edizioni barezziane, considerava una fortunata eccezione la stampa Delle rime piacevoli del Borgogna, Ruscelli, Sansovino, Lasca..., e d'altri vivaci ingegni pubblicate dal B. nel 1603 e dallo stesso ridotte "a lezione candida e buona". Tuttavia anche questo libretto non sì differenzia tipograficamente dagli altri con l'aggravante che ìl testo dei berneschi riprodotto è in genere spietatamente rimaneggiato e racconciato a caso, forse a garbo dell'inquisitore.
Al momento della morte del B. l'azienda non doveva essere fiorentissima: evidentemente non aveva saputo reggere alla crisi generale del commercìo librario che cominciava a manifestarsi in forme inquietanti a Venezia. Ancora nel testamento del figlio Francesco, collaboratore e continuatore dell'azienda patema, permangono tracce dei debiti contratti dal B. con ogni probabilità nell'ultimo periodo dell'attività, editoriale. E Francesco da parte sua disponeva "che il mio herede procuri di dar la dovuta soddisfatione (quando non l'havessi prima fatto io, come ho intentione) a gli legitimi heriedi del dicto Sig.re", continuando una prassi comune a molti stampatori veneziani dell'epoca.
Oltre che all'attività di editore, il B. svolse un'originale, anche se non sempre geniale, opera di traduttore e di diffusore di romanzi picareschi. Un gusto sicuro gli permise di afferrare la novità del genere picaresco ed egli intuì con fiuto di editore, più che con finezza di crìtico, le possibilità implicite che esso riservava per diffondersi presso un vasto pubblico di lettori. Il che corrisponde perfettamente al giudizio che Tommaso Costo dava di lui: un giudizio del resto positivo, a parte le critiche che lo stesso Costo non esitava ad avanzare sulla faciloneria dell'amico editore ("huomo invero di cervello molto svegliato, e del vostro honoratissimo mestiere [dico de' libri] ne sapete quant'huomo che viva, il che confessa ciascheduno che vi conosce, non che io"). Povero, senza aver frequentato studi regolari prima di trasferirsi a Venezia, la cultura con la quale il B. sostenne il ruolo, certo non facile, di traduttore dallo spagnolo, appare quella tipica di un autodidatta, raffazzonata durante i lunghi anni di apprendistato nella bottega dello Ziletti, amorevolmente accresciuta nel corso dei numerosi viaggi che il B. intraprese in Italia per il suo lavoro e che gli assicurarono un rapporto costante e vivo con i rappresentanti ufficiali della cultura: "L'honorato mestiere de' libri - confessava con molta modestia lo stesso B. - mi costringe quasi ogni anno a fare lunghi viaggi... a diverse principali città d'Italia, nelle quali, oltre al guadagno de' denari, m'è sempre accaduto farne uno migliore, ch'è stato l'amicizia di persone letterate, virtuose, e di bello ingegno, delle quali ho cercato con ogni mezzo possibile, per loro honore, e per mio profitto, di haver qualche bella opera degna di stampa, non facendo però elettione, eccetto che di quelle che mi fussero parute tali".
La sua opera di traduttore si inaugura nel 1606 con la versione del Guzmdn de Alfarache di Mateo Alemán (Vita del Picaro Gusmano d'Alfarace. Descritta da Barezzo Barezzi Cremonese..., in Venezia, Presso Barezzo Barezzì. MDCXXI. Alla Libraria della Madonna). La traduzione si limita alla prima parte dell'opera dell'Alemán, ma l'edizione del 16 15 è già accresciuta del secondo libro (dedicato ad Almorò Lombardo, mentre il primo reca la dedica a Gabriele Morosini), e in due libri si continuò ancora a stampare a Milano dal Bidelli nel 1621, nel 1622 a Venezia sempre dal B. e ancora nel 1629 in edizione conforme alla precedente.
Sebbene risenta notevolmente della fretta con cui fu concepita e realizzata, questa prima traduzione si mantiene abbastanza fedele all'originale. L'edizione integrale del 1615 presenta anzi rispetto a quella del 1606 la soluzione di non poche incertezze (specie per quel che riguarda la resa di espressioni idiomatiche) e documenta un duro tirocinio linguistico, ancora una volta non compiuto soltanto sui libri, ma in un rapporto diretto con i rappresentanti di una cultura viva in quegli anni in Italia.
La seconda traduzione, condotta a termine dal B. nel 1622, si distacca radicalmente dalla prima esperienza. Si tratta della versione del più celebre romanzo picaresco, il Lazarillo de Tormes: Il Picariglio Castigliano. In Venetia, Presso il Barezzi MDCXXII: opera nella quale la padronanza assai accresciuta della lingua spagnola e il conseguente tentativo di misurarsi in qualche modo con l'originale approdano a una ricca e vivace capacità inventiva che sconfina assai spesso con l'arbitrio.
Nella prefazione il B. spiegava le cause per cui si era deciso alla traduzione del Lazarillo:"La lessi, e ritrovaí essere lettione da non essere sprezzata; perché scrivendo egli la sua vita ci avvisa a guardarsi da, molti errori, che corrono nella veloce corrente di questo mondo... e mentre díscorre, e ragiona sovente colpisce tal'uno, che non se ne avede, poscia dà ricordi utili per ben vivere; et ammaestra ciascuno a fuggire i vitij, et ad abbracciare la virtù: laonde lo giudicai degno d'esser trasportato nell'idioma nostro...". Un intento moraleggiante è dunque alla base del rifacimento del B. che accresce le dimensioni dell'originale introducendo motti popolari e favole classiche, personali risentimenti e perfino brani della Gitanilla di Cervantes, inseriti nel testo senza nemmeno lo scrupolo della citazione. Il B. teneva al pubblico dei lettori che non avrebbero sottilizzato sulla fedeltà della traduzione, ma avrebbero certamente accolto con interesse la trama delle nuove e romanzesche avventure, chiunque ne fosse stato l'autore. In effetti la fortuna non venne meno all'impresa: due ristampe fino all'anno 1624 (ad opera sempre del B.) e infine la traduzione della seconda parte del Lazarillo (1635), il cui frontespizio già rivendica i meriti che inequivocabilmente spettavano al Barezzi (Il Picariglio castigliano, seconda parte, che continua la narratione della vita del cattivello Lazariglio di Tormes, tradotta dal spagnuolo nell'italiano, et hora accresciuta di spiritosi, e nobilissimi pensieri da Barezzo Barezzi..., in Venetia, Presso il Barezzi, MDCXXXV).
Di fronte a questa incontrollata e davvero picaresca duttilità inventrice (trentacinque capitoli aggiunti all'originale quasi interamente dettati da propositi moralistici), sorprendono a prima vista alcuni tagli, che diversamente non si spiegano se non tenendo conto di un'altra esigenza cui il B. si mantenne sempre fedele: quella di offrire un Lazarillo moralizzato, almeno secondo le pie intenzioni del traduttore, anche a voler scartare le ingerenze della censura veneziana e il modello che in questo senso offriva il Lazarillo de Tormes castigado,pubblicato a Madrid nel 1573 (ma che il B. con forti probabilità non conobbe).
Al tempo del Picariglio il B. già annunciava la sua terza fatica di traduttore: in effetti nel giro di soli tre anni la versione del Libro de entretenimiento de la Rcara Justina (attribuito da alcuni a Francisco López de TJrbeda, da altri al domenicano fray Andrés Pérez) era cosa compiuta. La prima edizione in due libri risale al 162425; la seconda, del 1628-29, reca inalterato il frontespizio della precedente: Vita della Picara Giustina Diez, regola de gli animi licentiosi: in cui con gratiosa maniera si mostrano gl'inganni, che oggidì frequentemente s'usano, s'additano le vie di superarli, e si leggono sentenze gravi, documenti morali, precetti politici, avertimenti curiosi, e favole facete, e piacevoli. Composto in lingua spagnola dal licentiato Francesco di Ubeda naturale della città di Toledo. Et hora trasportato nella favella italiana da Barezzo Barezzi cremonese..., in Venetia MDCXXIV. Appresso Barezzo Barezzi.
Interessante è un breve avviso che il B. ritenne opportuno di premettere all'edizione. In esso si scusa per il ritardo che ha subito la traduzione adducendo numerose e impegnative incombenze: era bene tuttavia affrettarsi a licenziare la Picara Giustina "perché siamo adesso in un mondo, nel quale vi sono più scimmie che gatti". Non si può non ravvisare nella sincera affermazione del B. una reale preoccupazione per gli eventuali concorrenti che avrebbero potuto inserirsi in un mercato ormai sperimentato e straordinariamente proficuo. Questo spiega la rapidità con cui venne portata a termine anche questa impresa e ciò giustifica ancora una volta la superficialità con cui venne affrontato un testo come la Pícara, certo non meno facile dei precedenti, irto di espressioni popolaresche e gergali che difficilmente il B. avrebbe potuto riscontrare nei dizionari e repertori disponibili nei primi anni del Seicento. Si aggiungano alle incertezze di traduzione gli errori provenienti dal testo della Pícara, di cui si servì il B. (nell'edizione di Bruxelles del 1608) certamente più scorretto di quanto non lo fosse nelle due precedenti edizioni di Medina e di Barcellona del 1605.
Di fronte a tali ostacoli la sicura baldanza del B. ebbe ancora la meglio: evitò le espressioni più difficili cercando di rendere il senso, ricorse a chiose marginali in mancanza di un termine italiano che corrispondesse esattamente all'originale; in parte soppresse, in parte riprodusse il testo, ma soprattutto aggiunse apologhi moraleggianti, citazioni da Dante e da Petrarca, racconti di vario genere e di dubbio gusto e arrivò persino ad inserire diciassette sonetti originali (pubblicati molto opportunamente dalla Aragone in appendice al suo studio) che costituiscono un'interessante e notevole testimonianza di poesia picaresca nel vecchio stile e nel metro del Burchiello. Sul gusto per queste rime di tipo disparatado (o semplicemente "Asinine" com'ebbe a definirle con la consueta bonomia il B.) avrà certo influito il vecchio amore per il Berni e la poesia giocosa, ma forse, e di più, anche l'intenzione tutta seicentesca di sbalordire i lettori, attraendoli con un nuovo ritrovato poetico che potesse allontanare definitivamente il pericolo di futuri e temuti concorrenti. Le modeste velleità culturali e l'orgoglio mercantesco il B. parimenti contemperava ravvivando con ingenuo esotismo una esausta, ma diffusa e amata tradizione letteraria.
L'ultima prova del B. ispanista è la traduzione del Poema trágico del espanol Gerardo di Céspedes y Meneses, apparsa nel 1630 (ma la dedica a Pio Enea Obici "colonnello della Repubblica di Venezia" reca la data del 7 nov. 1629). Si tratta de Lo spagnuolo Gerardo, felice e sfortunato, historia tragica..., in Venetia MDCXXX. Appresso il Barezzi (la traduzione si limita alla prima parte del romanzo spagnolo ed è condotta quasi sicuramente sull'edizione parziale del 1618).
La critica ravvisa giustamente in quest'opera le migliori doti del B. traduttore: a contatto con un genere letterario che non è più il romanzo picaresco ma "quello psicologicosentimentale", si direbbe che anche l'arbitrio e la troppo lesta inventiva del B. si siano definitivamente arresi di fronte alla pacata evidenza dell'originale. Adesso il cremonese si astiene dall'introdurre citazioni e racconti, traduce anche i versi dell'originale o parafrasa liberamente, ma sempre in maniera più attendibile di quanto non sia dato constatare nelle altre traduzioni. Ad un proposito di chiarezza risponde anche la suddivisione di ciascuno dei tre discursos, che compongono l'originale, in vari capitoli che il B. corredò di ampi e compendiosi titoli. Le sole parti del Gerardo in cui si ravvisa un intervento personale e arbitrario del traduttore restano così soltanto quei passi che al B. sembravano doverosamente riducibili a una moralizzazione, come avviene nel proemio'in cui riesce a far dire all'autore cose che "Don Gonzalo" probabilmente non avrebbe sottoscritto: "Il mio scopo particolare è stato sempre d'incitarti a fuggire la peste mortifera dell'amor lascivo".
Di minore interesse la produzione originale del B. che s'apre tuttavia con un fortunato opuscolo: Relatione della segnalata et come miracolosa conquista del Paterno Impero conseguita dal serenissimo giovine Demetrio gran duca di Moscovia, in quest'anno 1605. Narra le avventure del monaco che, spacciandosi per il figlio di Ivan il Terribile, Demetrio V, ucciso per ordine di Boris Godunov, riuscì a conquistare il trono, che avrebbe però conservato per un solo anno. Di tale storia il B. segue le vicende fino agli ultimi mesi del 1605, valendosi, come egli stesso confessava, dei "sincerissimi avisi" che informavano periodicamente il pubblico della lontana e leggendaria avventura. Il pregio dell'opera del B. doveva proprio consistere in una spiccata e originale impronta giornalistica che gli consentì una notevole diffusione. Ristampata a Firenze nel i 606, fu tradotta in francese (Discours merveilleux et véritable de la conqueste faite par le jeune Démetrius gran duc de Moscovie du sceptre de son père, advenue en ceste année 1605, tirez de bons avis par Bareze Barezi, Arras 1605) e infine riprodotta nel 1858 tra i volumi dedicati dal Techener alla "Bibliothèque Russienne".
Al 1606 risale la revisione del B. al testo del Thesaurus Ciceronianus di Mario Nizzoli, emendato "diligentissime" e arricchito di numerose voci francesi e spagnole (Marii Nizolii Brixellensis Thesaurus Ciceronianus... Nunc demum in hac editione Baretiana erratis omnibus... diligentissime perpurgatis..., Venetiis MDCVI. Apud Baretiurn Baretium), seguita due anni più tardi da una continuazione Delle Croniche dell'ordine de' Frati Minori istituito dal serafico padre San Francesco. Parte IV raccolta con ogni fedeltà e diligenza da vari ed approvati scrittori della lingua italiana trasportati da Barezzo Barezzi. Si tratta di un'appendice dell'opera di Marco da Lisbona, tradotta dal portoghese in spagnolo da Filippo de Sosa e poi in italiano dal p. Orazio Diola (Croniche de'frati Minori). La prima edizione della traduzione Diola fu stampata a Venezia nel 1582 e in seguito più volte riprodotta, fino all'edizione dei Gioliti del 1604-1606.
In appendice a questo testo il B. aggiunse una quarta parte (dedicata al cardinale Odoardo Farnese) di cui si conosce una tempestiva traduzione in lingua francese, stampata a Parigi nel i 609.
La continuità degli interessi per una letteratura devota (che si avverte del resto anche attraverso gli spiragli moralistici delle traduzioni) si documenta direttamente in un'opera tarda (1636) ispirata alla Miracolosa Vita del Serafico Padre San Francesco, compilazione, a detta del B., eseguita sulla scorta di "gravissìmi Autori" e tale da assicurargli una discreta rinomanza presso gli scrittori ed esegeti dell'ordine.
Le ultime prove del B. ardiscono inserirsi in un orizzonte più vasto di cultura, pur mantenendosi sempre entro un ambito strettamente compilatorio: significativo contrappeso di un'attività che negli anni migliori aveva aspirato a un più immediato e cordiale rapporto coi pubblico dei lettori. Lo Specchio della scienza politica (fiorito in margine all'edizione della Historia memorabile di Luigi XI Re di Francia che Girolamo Canini tradusse dal Mathieu) si articola nell'antiquata e arida forma del dizionario, dalle cui voci - tutte più o meno vertenti sulla scienza politica - il B. si studia di trarre una generale (e generica) lezione di moralità ("ognuno potrà saggiamente abbellire la faccia dell'animo suo"). Del 1643 è infine il Proprinomio historico, geografico e poetico, una grande e farraginosa compilazione enciclopedica che non spiacque ad un altro scrittore cremonese, erudito, moralista e insopportabilmente prolisso: Francesco Arisi.
Anche del figlio del B., FRANCESCO, si possono fissare alcune date. Nato nel 1590 a Venezia, svolse nella tipografia patema un'opera che da principio dové limitarsi alla correzione di stampa (come risulta dalle Decisiones regulares et canonicae del p. Manuel Rodriguez -1619 - ove appare la scritta: " Corrigebat admodum R. D. Franciscus Baretius"). Sostituì talvolta il padre sottoscrivendo le dediche dei libri stampati (come avvenne nel caso della Perfetta historia di Francia di Pierre Mathieu dedicata a Michelangiolo Baglioni, marchese di Morcone). Dopo la morte del padre pubblicò il Dictionarium septem linguarum del Calepio (sempre "presso il Barezzi", 1644) e l'anno successivo tradusse dallo spagúolo i Discorsi quaresimali dell'agostiniano Diego Lépez de Andrade sacerdote e vicario generale del vescovo di Torcello; morì presumibilmente a Venezia all'età di sessantasei anni (1656).
Bibl.: Sulla figura di B. B., stampatore e ispanista del Seicento possediamo ora l'ottimo studio di E. Aragone in Rivista di letterature moderne e comparate, XIV (1961), pp. 284-312 (cfr. la rec. in Rassegna della letteratura italiana,s. 6, LXVII [19631, pp. 158-91), al quale si rinvia anche per l'indicazione delle principali fonti documentarie. A titolo semplicemente informativo si ricordano i maggiori repertori che offrono notizie sulla vita del B.: Juan de S. Antonio, Bibliotheca universa franciscana, Madrid 1732, pp. 181, 520, 534; F. Arisi, Cremona literata, III, Cremona 1741, p. 23; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 349 ss.; V. Lancetti, Biografia cremonese, II, Milano 1820, pp. 84 s.; E. Toda Y Gúell, Bibliografia espanyola d'Italia,Castell de Sant Miquel d'Escornalbou, 1927-31), I-V, passim.Cfr. inoltre A. Albertazzi, Il Romanzo (Storia dei generi letterari italiani), Milano 1904, pp. 101 S.; E. Mele, Más sobre la fortuna de Cervantes en Italia en el siglo XVIII,in Revista de Filologia Espaflola, VI (1919), pp. 336 s.; G. Calabrito, I romanzi picareschi di Mateo Alemán e Ficente Espinel, Malta 1929, p. 14. Una notizia riguardante il figlio del B., Francesco, presso C. Arlia, I correttori di stampe nelle antiche tipografie italiane,in Il Bibliofilo, VII (1886), p. 82.
Per l'attività editoriale del B., Venezia, Arch. di stato: Librai e stampatori, Atti n. I, CC. 20, 21, 94, 192; Ibid., Privilegi, n. 166, C. 35; Ibid., Inventari, petizioni,n. 109, c. 358; Ibid., Libri rifiutati dal s. Ufizio, busta 78, n. 141; Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3044, C. 178; T. Costo, Lettere a diversi, Napoli 1604, p. 369; H. Brown, The Venitian printers, London 1882, p. 398; P. Delelain, Inventaire des marques d'imprimeurs et de libraires, III, Paris 1888, p. 95; E. Pastorello, Tipografi, editori e librai a Venezia nel sec. XVI, Firenze 1924, D. S.