BARÈRE de Vieuzac, Bertrand
Nato a Tarbes il 10 settembre 1755, fu avviato giovanissimo all'avvocatura; e l'avvocatura esercitava a Tolosa quando fu nominato consigliere alla Sénéchaussée di Bigorre, che poco dopo l'inviò agli Stati generali (1789). Nell'assemblea appartenne a quel numeroso gruppo di deputati che, pur essendo monarchici, non ebbero né il coraggio né l'opportunità di sostenere un programma monarchico. Veramente, B. si disse sempre, più tardi, repubblicano: ma non bisogna credergli. Senza la Convenzione a cui fu mandato dal dipartimento degli Alti Pirenei egli sarebbe passato però poco meno che inosservato. Temperamento moderato, fondamentalmente timido, oratore facondo e immaginoso (onde il soprannome di "Anacreonte della ghigliottina"), ingegno penetrante e ricco di varia cultura, fu trascinato dalla paura del peggio, dalla vanità, dall'abilità avvocatesca, lontano dalla meta ch'egli si era prefissa nel 1789. Membro del comitato incaricato di proporre una nuova costituzione, nell'autunno 1792, B. presiedeva la Convenzione quando fu votata la morte di Luigi XVI, e si oppose a un appello al popolo con quelle parole memorabili: "La legge chiede la morte, ed io non sono qui che l'organo della legge". Più tardi esaltò lo spirito repubblicano della Francia, "dei sanculotti liberati da ogni pregiudizio religioso e monarchico, senz'altro dio che non sia quello della natura e della libertà". Naturalmente, quando si procedette, il 6 aprile 1793, alla elezione del comitato di salute pubblica, B. vi fu compreso; ebbe anzi 360 voti, riuscendo primo degli eletti. B. e Danton, nella divisione delle cariche in seno al comitato, ebbero gli Affari esteri, e in sì fatta qualità dovevano, fra l'altro, provvedere alla scelta degli agenti rivoluzionarî presso l'esercito e nell'interno della Francia. B. continuò a far parte del comitato anche quando esso divenne strumento docile dell'onnipotenza di Robespierre. Fu anzi proprio lui che il 5 settembre 1793, parlando in nome del comitato di salute pubblica alla Convenzione, denunziò con parole roventi gli sforzi dei realisti alleati allo straniero e le oscure previsioni di rivolta delle masse parigine, e affermò che si doveva tradurre in atto il motto della Comune parigina: "Mettiamo, signori, il Terrore all'ordine del giorno". Dovette pertanto seguire Robespierre fino gli estremi momenti, senza per questo salvarsi dalla denuncia dello stesso Robespierre nell'ultimo suo discorso alla Convenzione (l'8 termidoro); ma con abile mossa riuscì in tempo a separare la propria responsabilità da quella dell'uomo odiato. Sfuggì al massacro dei fedeli di Robespierre, ma dopo il 9 termidoro egli non poteva aver più alcuna fortuna. Deportato il 1° aprile 1795, con molti altri antichi suoi colleghi, fu liberato dall'amnistia del 18 brumaio. Aderì a Napoleone e visse in silenzio, occupato in umile ufficio di cancelleria fino a quando, durante i Cento giorni, fu nominato membro della Camera dei rappresentanti. Ma avvenuta la restaurazione, dovette andare in esilio (a Bruxelles), donde non ritornò che nel 1830. Dal 1831 al 1840, già molto vecchio, fu membro dell'amministrazione del dipartimento degli Alti Pirenei. Morì a 86 anni il 14 gennaio 1841.
Autore di libri e opuscoli numerosissimi come: Montesquieu peint d'après ses ouvrages (s. l. 1797); Beautés poetiques d'Ed. Young, trad. (Parigi 1804); Esprit de mad. Necker (Parigi 1808); Histoire des Révolutions de Naples depuis 1789 jusqu'en 1806 (Parigi 1809); tradusse il Platone in Italia di V. Cuoco e fondò il primo giornale politico della rivoluzione, Le point du jour (Parigi 1789-1791). I suoi Mémoires (Parigi 1842-43) in 4 voll., furono pubblicati da Ippolito Carnot, figlio del suo antico collega alla Convenzione nazionale.
Bibl.: Per tutti, ved. R. Launay, Barère de Vieuzac, Parigi 1929.