CANIGIANI, Barduccio
Nato intorno alla metà del XIV secolo da Piero di Donato, il C. proveniva da un'antica famiglia patrizia di Firenze imparentata con la madre del Petrarca, Eletta Canigiani. Fin dalla metà del Duecento, i Canigiani abitavano nel quartiere di S. Spirito a Firenze, e svolsero un importante ruolo nella politica fiorentina; come Piero di Donato, il padre del C., che fu uno dei più importanti leaders della parte guelfa, e come Ristoro, fratello del C., uomo profondamente devoto, che fu avvocato canonista e poeta.
Sappiamo ben poco della fanciullezza del C., salvo che era assai incline alle pratiche religiose e ai problemi spirituali. Da giovane fu un seguace dell'eremita don Giovanni dalle Celle di Vallombrosa, che si rivolge al C. come suo "figlio". Il C. tuttavia è noto soprattutto per l'attività svolta al fianco di s. Caterina di Siena. Probabilmente incontrò Caterina nell'inverno del 1374, quando costei si recò a Firenze nel tentativo di bloccare la minaccia di guerra fra il Comune e la S. Sede. Durante il suo soggiorno a Firenze, Caterina riuscì a guadagnarsi l'appoggio politico costante e la devozione spirituale delle più importanti famiglie guelfe, gli Altoviti, i Soderini, i Canigiani; d'altro canto, i suoi stretti legami con i Canigiani sono dettagliatamente testimoniati dalle lettere che la santa inviò a Piero e a Ristoro. Al momento culminante della rivolta dei Ciompi, nel giugno 1378, ella rimase presso la famiglia Canigiani, e la santa e il C. sfuggirono a malapena alla morte per mano dei rivoltosi. Più tardi, in quello stesso anno, nel luglio 1378, il C. accompagnò Caterina a Siena: da questo momento, fino alla morte di lei, avvenuta nell'aprile del 1380, egli fu il suo fedele compagno, ed uno dei suoi segretari, insieme con Neri di Landocci e Stefano Manconi.
Caterina, in una lettera a Raimondo da Capua suo confessore e maestro generale dell'Ordine domenicano, parla del C. come del proprio figlio spirituale. E Raimondo, impressionato dalla pietà del fiorentino, scrisse del C. come di un uomo "iuvenis aetate, moribus canus Florentinus origine: sed omnibus (meo iudicio) virtutum floribus adornatus"; e della sua comunione spirituale con la santa: "...quem ipsa sacra virgo postmodum, ut comperi, tenerius ceteris diligebat; et puto propter puritatem eius, quam aestimo esse virgineam".
Nel novembre del 1378 il C. accompagnò Caterina a Roma, dove la santa gli dettò numerose lettere che egli fedelmente trascrisse, una delle quali, l'epistola indirizzata al papa Urbano VI nel gennaio del 1380, è considerata il suo testamento politico. Il C. fu inoltre uno dei segretari che trascrissero le mistiche gioie ed agonie di Caterina nell'opera conosciuta come il Dialogo o Libro della Divina Dottrina. Ma soprattutto dobbiamo al C. la vivida descrizione degli ultimi giorni di Caterina, dei suoi tormenti, delle sue mistiche visioni e della sua profonda pietà. Tale descrizione si trova in una famosa lettera, pubblicata numerose volte, che il C. scrisse a suor Caterina Petriboni, una monaca del convento di S. Pietro a Monticolli, vicino Firenze. La lettera contiene inoltre una dettagliata narrazione della morte di Caterina, nella quale egli cita alcune delle ultime frasi mistiche della santa e testimonia che, sul suo letto di morte, "ciò diceva quasi com'affamata del Sangue di Cristo". Don Giovanni dalle Celle, appresa la notizia della scomparsa, scrisse una paterna lettera al C. per consolarlo della perdita della "nostra madre" e per invitarlo a Vallombrosa per essere ancora una volta uno dei suoi figli in religione: "Vienne adunque, dilettissimo figliuolo, vienne al tuo antico Padre: vienne a' tuoi fratelli, i quali con grande desiderio t'aspettano...". Comunque s. Caterina aveva disposto che, dopo la sua morte, il C. rimanesse presso l'Ordine domenicano e così evidentemente egli fece. Ma ben presto cadde malato, e Raimondo da Capua, lo inviò a Siena per rimettersi.
Morì nella città natale di Caterina nel dicembre 1382.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la vita del C. è l'Epistola della morte di santa Caterina, scritta da lui stesso, che fupubblicata per la prima volta nel Libro della Divina Dottrina di s. Caterina, a Bologna nel 1475 circa; per la tradizione manoscritta delle lettere del C. a suor Caterina Petriboni, si veda: R. Fawtier, S. Cathérine de Sienne, I, Paris 1921, pp. 90 s.; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VI, p. 253 n. 6223; A. Sorbelli, I primordi della stampa, Bologna 1908, pp. 195-199; per le numerose e diverse ediz. di questo testo, si veda A. Capecelatro, Storia di s. Caterina da Siena e del Papato del suo tempo, Siena 1878, p. 523; cfr. anche Raimondo da Capua, Legenda b. Catherinae Senen., in Acta Sanctorum,Aprilis, III, Parisiis 1866, pp. 861, 947, 967-69; Tommaso da Siena, Supplementum legendae b. Catherinae Senen., a cura di G. Tinagli, Siena 1938, p. 226; Il processo Castellano (Fontes vitae S. Catherinae Senensis historici), a cura di M. H.Laurent, Milano 1942, pp. IX, LXVI, LXXV, 82, 88 s., 260; Dialogo della Divina Provvidenza, a cura di I. Taurisano, Roma 1947, pp. XIII, XVII, XXXVI; le lettere di don Giovanni dalle Celle al C. sono state edite da B. Sorio, Lettere del b. Giovanni dalle Celle, Roma 1845, pp. 96 s. Sulla famiglia Canigiani, siveda: N. Ottokar, Il Comune di Firenze alla fine delDugento, Firenze 1926, pp. 69 s.; G. Brucker, Florentine Politics and Society 1343-1378, Princeton, N. J. 1962, p. 416, s. v. Canigiani; E. G. Gardner, S. Catherine of Siena, London 1907, p. 430, s. v. Canigiani.