BARDI, Giovanni, conte di Vernio
Cultore insigne di studî musicali e letterarî, nato a Firenze nel 1534 e morto nel 1612. Di famiglia nobile e ricca, egli ebbe modo di dedicarsi quasi interamente all'opera che più gli stava a cuore, cioè ad un rinnovamento musicale rispondente allo spirito umanistico cui si doveva il Rinascimento. A esercitare siffatta influenza nell'arte musicale il B. era condotto dall'animo intimamente loico col quale egli sottoponeva a nuova critica, poggiata sui fondamenti d'una fervorosa - se pur malsicura - assimilazione delle teoriche d'Aristotele e di Platone, le consuetudini stilistiche dei grandi polifonisti. Quel che per sempre giova alla memoria gloriosa del B. è appunto il tenace, fervoroso sforzo da lui durato, così nel tempo trascorso alla corte dei Medici come in quello trascorso, dal 1592 in poi, presso Clemente VIII, per promuovere il rinnovamento della composizione musicale mediante una scrittura meglio atta di quel che non fosse la contrappuntistica, a ravvivare l'espressione d'un carme, a rendere evidente il dialogo nella rappresentazione drammatica, quale si trovò nella composizione monodica. Attingere alle conseguenze estreme delle tuttavia timide aspirazioni suggerite alla musica dall'umanesimo, conducendo il compito del musicista - da quello di comporre combinazioni contrappuntistiche sul fondamento di temi e di canti - fino ai termini, apparentemente ristretti, d'una semplice intonazione, d'un semplice "dar suono" ai versi d'una poesia lirica o drammatica, non un Gaffurio, un Andrea Gabrieli, un Gesualdo da Venosa, un Luca Marenzio, un Cipriano de Rore (i quali pure avvertivano, quasi tutti, l'ansito della nascitura tendenza monodica) avrebbero potuto. Lo poterono, invece, semplici amatori di musica come il letterato e accademico della Crusca conte di Vernio e gli artisti, pur meno gagliardi di quei vecchi maestri, che con lui si riunivano a ragionare e sperimentare in quella che fu detta "Camerata de' Bardi" o "Camerata fiorentina", i quali nella lettura dei teorici greci andavan trovando le fonti giuridiche cui richiamarsi per trarre dall'uso del popolo e dal "dolce stil novo" dei grandi madrigalisti gli elementi di tale scrittura destinata principalmente all'accentuazione espressiva della poesia, del dialogo drammatico.
Gentile poeta, oltre che musicista, e spesso partecipe con la presenza e con l'opera alle solennità e alle rappresentazioni delle corti, il B. chiaramente avvertiva la scarsa rispondenza della scrittura polifonica rispetto alle esigenze del dialogo e della scena in quegli intermedî, balletti, favole, commedie. E riflettendo, per contro, sulle notizie ch'egli aveva circa l'eccellenza della tragedia antica, si volgeva a ragionare sui precetti dei teorici antichi con i suoi amici per "ingegnarsi almeno di dare un poco di luce alla povera musica sventurata, la quale dalla declinazione sua in qua, che sono tante centinaia d'anni, non ha avuto artefice che abbia il caso suo pensato, ma trattosi ad altra via che quella del Contrappunto ad essa musica nemico....". Nel calore di tali riunioni, che raccoltesi intorno al B. prendevan coesione e continuità verso il 1580 nella Camerata fiorentina, al vivo fervore, alla varietà e prontezza delle argomentazioni del conte s'accendeva e rispondeva ugual fervore di ragionamenti e di tentativi da parte del Galilei, del Caccini, del Peri, del Rinuccini, dello Strozzi.
Analogo fervore di opere si cominciava intanto a dare alla nuova tendenza musicale anche fuori della Camerata, per virtù di uomini quali Emilio de' Cavalieri, allora intendente generale per le feste e le arti presso la corte de' Medici e Iacopo Corsi, gentiluomo fiorentino. In quei primi tentativi certo non appariva ancora un agio, un'efficacia d'espressione paragonabile a quel che s'era avvezzi a sentire nelle creazioni dei madrigalisti, e non senza un certo stento l'uso della monodia diventava stile, comunemente riconosciuto e preferito, di musica dotta.
Anche dopo i saggi del Galilei per molto tempo si continua, nelle grandi solennità, l'uso delle musiche polifoniche; nel 1582 si pubblica in Ferrara Il lauro seco raccolta di madrigali a 5 voci di cui uno ("Lauro, ohimè Lauro...") è attribuito al B. Ed il B. stesso nel 1586, rappresentandosi per le nozze di Vincenzo Gonzaga con Virginia de' Medici una sua commedia (L'amico Fido) oggi perduta, ad essa commedia univa 6 intermedî da lui ideati, con musiche sue proprie (per il VI intermedio) e dello Striggio e del Malvezzi, oggi anch'esse perdute ma che per certo vanno ritenute scritte in stile polifonico. Così pure nel 1589, nei festeggiamenti per Ferdinando de' Mediei e Cristina di Lorena, il B. inserisce nelle commedie La pellegrina del Bargagli e La pazzia attribuita al Baglioni di Bologna, 6 intermedî (notevolissimi per la storia del genere) ideati da lui stesso e verseggiati, oltre che da lui, dal Rinuccini, dallo Strozzi e dalla Guidiccioni, e posti in musica da Emilio de' Cavalieri, dal Malvezzi, dal Caccini, dal Marenzio e dal B. medesimo (intermedio IV, madrigale "Miseri habitator del cieco Averno"), in stile polifonico. Si manifestava però di già, fino dal 1580-81 circa, il limpido estro musicale, cui singolarmente s'addiceva il nuovo modo di comporre, di quel Giulio Caccini che con le sue "Nuove musiche", nelle quali mostrava "... avere appreso più dai loro - (degli uomini della Camerata dei Bardi) - dotti ragionari che in più di trent'anni... nel contrappunto", offriva i primi esempî d'un canto monodico liberamente nato dalla commossa fantasia, atto a seguire, intensificare, colorire il verso e l'animo d'un carme.
Nel 1592 il B. lascia Firenze per Roma, dove lo chiama Clemente VIII quale maestro di camera e poi come luogotenente generale dell'una e dell'altra Guardia Pontificia, e a Roma si porta con l'animo di suscitarvi movimento analogo a quello già creato e diffuso nella sua camerata fiorentina; si studia di procurar fama alle musiche del suo prediletto Caccini, cui indirizza, a ricordo e riassunto dei fecondi ragionamenti della camerata, il suo Discorso sopra la musica antica e il cantar bene (poi edito nel volume II del Trattato dei generi e dei modi musicali di G.B. Doni). Da questo momento in poi, poco o nulla si può dire del B., la cui opera in Firenze era raccolta e continuata con le rappresentazioni dei primi melodrammi del Peri e del Caccini, da Iacopo Corsi; ma ormai il compito del B. e della prima camerata era finito.
Opere: Lauro, ohimè Lauro nella raccolta di Madrigali a 5 voci, edita a Ferrara presso Vittorio Baldini, 1582 (Eitner ritiene la scritta: "dell'illustre S. Giov. Bardi", una semplice dedicatoria, mentre il Vogel ne attribuisce al B. la composizione); Intermedî per l'Amico Fido (la musica è perduta); Avvertimento sopra l'Intermedî del 1589, in Memorie e ricordi (1588-89) di Girolamo Seriacopi provveditore del Castello di Firenze (Arch. di stato di Firenze); Intermedî per le rappresentazioni del 1589; musica per il madrigale Miseri habitator nel 4° intermedio, ed. a cura del Malvezzi nel 1591; Discorso mandato da G. de' B. a Giulio Caccini detto Romano "sopra la musica antica e il cantar bene".
Bibl.: G. B. Doni, Trattato dei generi e dei modi musicali; P. Bardi, conte di Vernio, Lettera al Doni nell'opera precedente.