BARDESANE
. Fu uno dei più antichi scrittori in lingua siriaca. Il suo nome in siriaco suona Bar Dayṣān, cioè "figlio del Dayṣān", che è il fiume che scorre attraverso la città d'Edessa, in greco Βαρδησάνης o Βαρδησιάνης. Fu rinomato filosofo e poeta, ed è ricordato nella storia ecclesiastica come uno dei maestri della gnosi.
Egli nacque a Edessa, città della Siria settentrionale, l'11 luglio del 154 d. C. da genitori persiani, emigrati dalla Persia a Edessa sotto il re Ma‛nū VIII, e sacerdoti pagani. Dopo che il giovanetto aveva già assorbito i principî pagani che formarono la base della sua accurata educazione, i suoi genitori si trasferirono a Gerapoli (Mabbūgh). dove abitarono nella casa del sacerdote pagano Anuduzbar, il quale, attratto dall'aperta intelligenza del giovane, lo adottò. Qui B. avrà appreso i rudimenti di quell'astrologismo che non abbandonò mai, neppure quando era già passato al cristianesimo. Nell'anno 179 egli ebbe occasione di udire a Edessa il vescovo Istaspe spiegare al popolo la Sacra Scrittura. Incuriosito della nuova dottrina, volle conoscere la fede cristiana e divenne discepolo del vescovo, dal quale fu battezzato e poi ordinato diacono o presbitero. Nello stesso anno Abgar IX, già condiscepolo alla corte, ascese al trono. B. ritornò allora alla corte, dove acquistò le simpatie generali, grande fama e un lungo stuolo di discepoli, specie tra le classi più colte della città. Egli fu un fervente cristiano, combatté le dottrine dello gnostico Valentino, contraddisse Marcione e scrisse in favore dei cristiani perseguitati. Invitato da un amico dell'imperatore Caracalla ad abiurare al cristianesimo, difese strenuamente la sua religione e rifiutò. Morì a Edessa nel 222, lasciando un figlio di nome Armonio.
B. scrisse dialoghi ed altre opere in lingua siriaca, le quali furono tradotte dai molti suoi discepoli in lingua greca. Compilò un dialogo sul destino, diretto all'imperatore Caracalla (o Elagabalo); trattati contro il marcionesimo; 150 salmi o inni, che tutti gli Edesseni conoscevano e cantavano, e per questa sua opera può esser riguardato come il creatore della poesia siriaca. I suoi inni, di cui abbiamo solo pochi e brevi frammenti, consistevano di versi composti per solito di cinque sillabe. Pubblicò uno scritto sull'India secondo le informazioni avute su quel paese da un'ambasciata di Indiani che si recava a Roma dall'imperatore Elagabalo. Scrisse inoltre una storia dell'Armenia e alcune opere astrologiche. Sotto il suo nome va anche un dialogo dal titolo Libro delle leggi dei paesi (Kthābhā dnāmōsē dathrāwāthā). Questo dialogo, del quale abbiamo anche qualche estratto d'una versione greca, fu redatto in siriaco da Filippo, suo discepolo, e difende il libero arbitrio. Esso è il più antico sicuro monumento della letteratura siriaca, fatta eccezione per le versioni della Sacra Scrittura. L'autore vi vuol dimostrare che l'uomo è libero nelle sue azioni e che per conseguenza egli sarà giustamente giudicato per le stesse nel giorno del giudizio e porterà la conseguenza del bene e del male fatti durante la vita. B. cerca di stabilire esattamente quali atti umani cadono sotto la libertà e quali invece sotto la natura (kāyān, ϕύσις) e la costrizione. Egli afferma che il male morale non proviene dalla nostra natura. Gli uomini seguono la natura come gli animali in tutto ciò che ha attinenza al corpo, ma in tutte quelle cose che riguardano lo spirito essi fanno ciò che vogliono, siccome sono liberi, padroni di sé stessi, immagini di Dio. Quando l'uomo fa qualcosa col libero arbitrio, egli fa o il bene e acquista merito, o il male e sarà condannato. Il destino non esercita, al contrario di quanto affermano gli astrologi, nessuna azione sulla libertà umana, come dimostra a chiare note l'esperienza, essendo che gli astri agiscono - ammesso che agiscano - in modo diverso in diverse regioni della terra e dappertutto succedono fatti contrarî alla supposta azione dei pianeti. Per dimostrare la varietà degli avvenimenti nonostante l'identità astrologica B. cita una lunga lista di costumi e qualità diversissime di varî popoli, abitanti le stesse ed anche diverse regioni della terra. Da questa parte del dialogo, che è la più lunga e la meno interessante, gli è derivato il titolo di Libro delle leggi dei paesi.
Non è facile intendere esattamente la posizione storica di B. Secondo alcuni, egli praticò uno stoicismo scientifico, bene elaborato, avverso agli eccessi dell'astrologismo: come risulterebbe dal Diologo e da un'osservazione di Sergio di Rēš‛ainā. Altri invece dubitano dell'autenticità del Dialogo e anche della possibile sua compilazione da parte di un immediato discepolo di B.; come pure dubitano che B. fosse semplicemente uno stoico nel vero senso della parola. Ché, si osserva, resterebbe pur sempre un grave problema: in qual modo B. conciliava questa sua filosofia con il cristianesimo da lui apertamente professato?
L'astrolatria stessa non è del resto se non uno degli aspetti (sia pure il principale) del sincretismo religioso che durante l'Impero s'era diffuso in tutto il mondo classico, ma in Oriente era a casa propria e in Edessa, per un complesso di ragioni, aveva messo radici profonde. Un carattere non meno importante di tutte le dottrine religiose del tempo è la loro preoccupazione soteriologica: tutte vogliono indicare all'individuo il modo di realizzare la propria salvezza. E B. stesso, a quanto pare, predicava una dottrina dualistica, secondo la quale il corpo dell'uomo è per sua natura malvagio. La ragione di ciò era da cercare nel modo stesso in cui sarebbe stato costituito l'universo: attraverso cioè una serie di emanazioni dall'essere supremo, l'Altissimo (Padre della vita), che, congiuntosi con la materia (Hyle, gr. ὕλη "Madre della vita"), avrebbe generato il vento e lo Spirito (sir. rūḥā, femminile: "vento" e "spirito") dai quali sarebbero stati poi procreati il Fuoco e l'Acqua. Ma le Tenebre, l'elemento malvagio, avrebbero turbato l'armonia dell'universo, unendosi con violenza agli elementi buoni: in soccorso dei quali l'Altissimo inviò poi il suo verbo.
Questa dottrina ha molti punti in comune con quelle di altre sette gnostiche (sebbene sia in complesso più semplice) e, anche nella terminologia, ricorda il manicheismo. Infatti sant'Efrem (v. C. W. Mitchell, St. Ephraim's prose refutations of Mani, Marcion, Bardaisan, I, Londra 1912; II, ivi 1921) mette insieme Māni, Marcione e B. e anche qualche critico moderno (p. es. F. C. Burkitt, in The religion of the Manichaeans, Cambridge 1925) vede nel sistema di B. l'antenato diretto del manicheismo. Ma la scuola di B., che fu combattuta anche da Rabbūlā vescovo di Edessa (morto nel 435), continuò a lungo, fino al sec. X, arricchendosi di elementi nuovi, taluni presi forse a imprestito dal manicheismo stesso; certo è che i superstiti bardesaniti furono combattuti, non meno che i manichei, da scrittori arabi. Alcuni tuttavia dei seguaci di B. si accostarono invece all'ortodossia. Quest'"ala destra" finì presto, in parte assorbita dalla chiesa ortodossa, in parte dalla corrente più nettamente ereticale. Da questa emanerebbe il Dialogo.
Ed. e Bibl.: W. Cureton, Spicilegium Syriacum, Londra 1855; A. Merx, Bardesanes v. E., Halle 1863; A. Hilgenfeld, Bardesanes, der letzte Gnostiker, Lipsia 1864; F. Nau, Une biographie inédite de Bardesane l'astrologue, Parigi 1897; id., Le livre des lois des pays, Parigi 1899; id., Bardesanes, Liber Legum Regionum, in Patrologia Syriaca, I, ii, Parigi 1907, pp. 490-658; G. Levi Della Vida, Il dialogo delle leggi dei paesi, Roma 1921: id., in Rivista trim. di studi filosofici e religiosi, I, pp. 399-430; A. Baumstark, Geschichte der syrischen Literatur, Bonn 1922, pp. 12-14.