MOROSINI, Barbone
MOROSINI, Barbone. – Nacque nel 1414 a Venezia, figlio di Barbone di Marco Morosini, del ramo della «sbarra» che ne contrassegna lo stemma, e di una Contarini.
Il padre fu savio agli ordini nel 1403, alle «raxon vechie» nel 1406. Nominato procurator del «comune» (24 febbraio 1408), in tale veste si recò a Chambery (9 agosto 1409) ove il conte di Savoia nonché «vicario» imperiale Amedeo fungeva da arbitro nelle pendenze veneto-genovesi. Provveditore a Padova, nel 1412 operò anche in Friuli con Ludovico Buzzacarini. Più tardi, il 26 settembre 1422, concordò con Carlo Malatesta la cifra di 28.000 ducati, da questo dovuta alla Signoria, recuperabile con trattenute detratte dallo «stipendio per le lance». Sullo stesso versante privato dell’operatore in affari d’una certa entità, ben 4400 ducati d’oro furono versati da Spifano d’Acri, fattore suo e di Domenico Contarini, al gran maestro dell’ordine gerosolimitano Philippe de Naillac, che questi, il 22 marzo 1402, s’impegnò a restituire; mentre, il 12 settembre 1406, fu venduta a Barbone, a suo fratello Bernardo e a Francesco Corner, nell’incanto di beni sequestrati ai da Carrara, parte della gastaldia incluse le cartiere situate a Battaglia.
Vieppiù distinguibile, nella Venezia del Quattrocento ormai inoltrato, al contrario dei fratelli Marco e Girolamo, Morosini il 3 dicembre 1432 entrò in Maggior Consiglio per poi anteporre a un immediato impegno pubblico un prolungato soggiorno a Padova. Laureatosi in artibus il 19 gennaio 1434, alla qualifica di «artium doctor» fece seguire quella di «iuris civilis peritus» ché studente di legge. E, nel 1438-39, assente il rettore dei giuristi, il bresciano Lorenzo de Calcagni, lo sostituì quale vicerettore. Sempre «legum scolar» anche nel biennio successivo – una lettera datata 12 aprile 1439 di Leonardo Giustinian gli suggeriva la frequenza alle lezioni di Giovanni da Porto – il 19 agosto 1442 Morosini si addottorò in utroque iure. Nel frattempo, nel 1441 s’era accasato con Suordamor di Giovanni Molin, da cui ebbe due figli, Giovantonio e Bernardo, e una figlia, Andrianna (sposa, nel 1471, di Girolamo Malipiero di Giovanni).
Più volte tra i «promotores» di «licentia» o in diritto civile o in utroque (novembre 1442 - maggio 1444), fu incaricato, a detta di Niccolò Comneno Papadopoli, d’un insegnamento giuridico nel 1443-44. Nel 1444, a ogni modo, concluse la sua applicazione agli studi per volgersi esclusivamente alla politica.
Il 12 luglio 1446 s’insediò, quale commissario della Signoria (in ottemperanza alla nomina del 7 maggio in virtù della quale subentrò a Ludovico Foscarini), andando «a stare in vescovato», in una Bologna che, lacerata da interne discordie, era purtuttavia in lega con Venezia e Firenze contro la minaccia viscontea. «Orator» veneto a Firenze nel 1448, savio di Terraferma nel 1451, il 10 giugno di quell’anno fu nominato – con Zaccaria Trevisan, al pari di lui dottore in artibus e in utroque – procuratore della Signoria nella pattuizione relativa all’ammontare di redditi e rendite friulane di spettanza patriarcale, tenutasi a Venezia l’11 successivo, nell’isola di S. Giorgio, col cardinal Ludovico Scarampi Mezzarota, patriarca d’Aquileia, di cui era procuratore il nunzio apostolico Ottaviano Pontano.
Nel frattempo di nuovo savio di Terraferma, Morosini risulta pure – con Girolamo Barbarigo e Foscarini – fra i membri della commissione al cui esame, il 24 luglio 1452, fu sottoposta la richiesta di risarcimento danni per 3500 ducati avanzata da Guglielmo Gualcerano des Rubes di Barcellona; l’accordo fu raggiunto nello stesso giorno, col ridimensionamento della cifra da risarcire all’interessato – in effetti danneggiato da galee venete, ma in minor misura di quanto lamentato – per la cifra di 1200 ducati.
Fu quindi oratore veneto a Napoli (fine settembre 1452 - luglio 1453), soprattutto col compito di attivare Alfonso d’Aragona a volgere le sue forze contro Firenze, la quale così non avrebbe potuto più appoggiare Francesco Sforza, in tal caso per Venezia agevolmente battibile. Capitano di Verona nel 1453-54, assieme al podestà Pietro Bembo fissò una normativa – ispirata dal criterio a detta del quale «ubertas annonae plebem», una volta sottratta all’incubo dei «ieunia, pacatissimam tenet» – «pro re frumentaria»: da un lato mirata al mantenimento «in libertate» dei «precia bladorum» e dall’altro penalizzante incette e contrabbandi. Fu durante il capitaniato di Morosini che venne nominato vescovo di Verona Ermolao Barbaro (16 novembre 1453), nipote di Francesco cui proprio Morosini, al rientro da Napoli, aveva recapitato il manoscritto della traduzione in latino delle Leggi platoniche di Giorgio da Trebisonda.
Di nuovo savio di Terraferma nel 1455, venne nominato ambasciatore a Roma, che raggiunse al principio del 1456: frutto del suo adoperarsi fu la revoca delle rappresaglie di Venezia contro Ancona del 23 giugno, seguita il 24 dall’accordo – conseguito da Morosini alla presenza del papa Callisto III con due rappresentanti anconetani – del pagamento di 1600 ducati a due operatori veneziani danneggiati da Ancona.
Podestà, infine, a Bergamo nel 1456, doveva essere ancora in vita il 12 maggio 1457 quando risulta fissato un pagamento a lui dovuto.
Finì i suoi giorni, con tutta probabilità a Bergamo, prima del 13 gennaio 1458.
Una perdita – questa sua morte prematura nel pieno d’una carriera di crescente affermazione – e per Palazzo Ducale e per l’umanesimo civile a Venezia rigoglioso, nel quale Morosini esemplava la praticabilità d’una competente capacità di impegno pubblico coniugata all’assidua coltivazione «omnis generis litterarum» nonché del diritto di cui era «peritissimus». Rimangono senza riscontro il commento, che avrebbe composto, al ciceroniano Somnium Scipionis e la riflessione, che avrebbe ultimata, De immortalitate animae ad mentem Aristotelis. Appurabili sono, invece, la sua corrispondenza – e più con le lettere a lui indirizzate che non con quelle di suo pugno –, e i suoi rapporti con Francesco Barbaro, Leonardo Giustinian, Maffeo Vallaresso, Ludovico Foscarini e le personalità, Antonio Beccadelli, Giorgio da Trebisonda, da lui contattate all’accomunante insegna degli studia humanitatis. Stimato da Flavio Biondo, era ammirato per la sua eloquenza da Foscarini, a detta del quale, oltre che giurista eminente, Morosini sarebbe stato «dyalecticus acutissimus» e «philosophus gravissimus».
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