BARBO, Pantaleone, il Giovane
Figlio di Francesco, iniziò l'attività politica verso la metà del sec. XIV, quando fu inviato nel 1353 ambasciatore della Repubblica veneta, insieme con Marco Venier, a Bernabò e Galeazzo Visconti. Dopo aver ricoperto cariche pubbliche, ed essere stato incaricato di ambascerie sempre più importanti - tra l'altro nel 1360 fu inviato ambasciatore al re di Cipro Pietro I, da cui ottenne il rinnovo del trattato venetocipriota del 1328 e la concessione di nuovi inprivilegi per Venezia; nel 1365 fu inviato come provveditore a Creta per sedarvi alcuni tumulti -, assunse una posizione di rilievo negli anni 1371-72, in occasione della guerra veneto-padovana. Fautore accanito della guerra ad oltranza, nel marzo 1372 fu inviato a Verona per ottenere da Cansignorio della Scala il permesso di assoldare uomini contro Padova. Quando nell'aprile di quell'anno si giunse a un primo trattato di pace, il B. fu uno dei cinque commissari veneziani eletti per la determinazione dei confini tra i due territori. In realtà i contrasti si mantenevano vivi, per cui nel giugno il signore di Padova, Francesco da Carrara, inviò a Venezia dei sicari per uccidere i suoi più accaniti avversari, tra cui il Barbo. Fallito l'attentato, il 26 luglio il B. fu inviato, con Giacomo Moro, presso Luigi di Ungheria, per sostenere le ragioni di Venezia contro il Carrarese; ma quando Luigi si dichiarò in favore di quest'ultimo, fu rimandato in patria.
Anche durante la guerra di Chioggia la sua opera fu preziosa. Inviato in un primo momento a Creta come provveditore, per farvi armare sei galee, fu successivamente provveditore della flotta comandata da Vettor Pisani, che sconfisse i Genovesi nel maggio 1378 presso Anzio. Nelle sfortunate vicende della guerra, egli contribuì a sostenerne le spese con lire 6.000 e prestò la sua opera sia come uomo d'armi nella difesa di Treviso, sia come diplomatico nelle trattative col duca Leopoldo d'Austria. Stipulata la pace a Torino, alla fine del 1381 fu inviato ambasciatore presso l'imperatore di Costantinopoli Giovanni V, per sistemare i rapporti veneto-bizantini; contemporaneamente doveva svolgere trattative con l'imperatore di Trebisonda e il sultano ottomano Muràd, e controllare i negoziati in corso con il signore di Soldaia, in Crimea. Si trattava praticamente di riorganizzare le posizioni diplomatiche veneziane in Oriente. Più delicato era l'altro incarico affidatogli, provvedere cioè alla consegna di Tenedo al rappresentante dei conte di Savoia: per giungere a ciò si dové vincere l'opposizione del bailo e capitano veneziano dell'isola, Zanachi Muazzo, che si rifiutava di abbandonarla.
La posizione del B. in questi avvenimenti non è molto chiara. Il 6 maggio 1383 egli fu condannato a non poter ricoprire, per dieci anni, alcuna carica pubblica, per aver consigliato il Muazzo a non abbandonare Tenedo. Forse la signoria veneziana cercò in questo modo di far ricadere esclusivamente sul B. la responsabilità della decisione; ma è forse più probabile che il B. abbia effettivamente consigliato il Muazzo a resistere, prevedendo quello che sarebbe accaduto, cioè l'occupazione turca dell'isola.
Ad ogni modo, nel 1385, la condanna inflittagli fu revocata, ed egli riprese la propria attività, assolvendo, anche in quest'ultimo periodo della sua vita, funzioni importantissime. Nel 1387 fu ambasciatore in Ungheria, per eliminare i contrasti tra i baroni e il re Sigismondo, che il 31 marzo lo creò cavaliere; nel 1392 fu inviato nuovamente ambasciatore a Costantinopoli presso l'imperatore Manuele II e nominato duca di Candia, carica che ricapri sino al 1395.
Fece testamento il 13 febbr. 1398, e probabilmente morì poco dopo.
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