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BARBIANO di Belgioioso, Antonia

di Nicola Raponi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)
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BARBIANO di Belgioioso, Antonia

Nicola Raponi

Nacque il 29 giugno 1730 dalla nobildonna Barbara Elisabetta d'Adda e dal conte Antonio, che aveva suscitato ai suoi tempi l'attenzione dell'ambiente milanese per un tumultuoso e ancor tipicamente seicentesco interesse a viaggi e ricerche, ed era infine riuscito ad acquistare dalla Camera aulica víennese il titolo di principe del Sacro Romano Impero, non senza pettegolezzi e immancabili dicerie avallate poi da Pietro Verri, secondo il quale "il conte Belgioioso era stato fatto principe, comprando una parola con la pingue eredità di sua moglie" (Carteggio, III, p. 80).

Erede delle disordinate e fervide inquietudini paterne, ma anche della nobiliare altezzosità con cui giudicò sempre personaggi e ambienti limitati ad una chiusa esistenza di provincia, la giovane B., avvenente e "agitata da cento passioni", in rapporti con la casa ducale di Modena, che era in quegli anni tra le più in vista nella vita pubblica milanese, ebbe dall'infanzia una discreta e ambiziosa preparazione letteraria, ma soprattutto nutrì l'aspirazione ad un mondo di sfarzosa cultura cui mal convenivano le esigenze del matrimonio, accettato all'età di soli sedici anni, coi modesto conte di Orio, Giovanni Maria della Somaglia.

La casa milanese e la villa di Orio, nel Lodigiano, accolsero il mondo degli studiosi e degli artisti con la più generosa e mecenatesca ospitalità: dai fratelli Verri, nipoti della B., ma quasi suoi coetanei, al Beccaria, dal Frisi a Giovenale Sacchi, da Alfonso Longo al Goldoni, che dedicò alla B. La Peruviana,una commedia rappresentata a Venezia nell'autunno del 1754, a Gian Rinaldo Carli, che compose nell'ambiente del salotto Belgioioso il celebre articolo La Patria degli italiani destinato al Caffè. Furono specialmente gli anni del Caffè (1764-66) che segnarono il vertice della fama e del successo della bella Aspasia milanese, brillante e originale animatrice di quel cenacolo di cultura cui il Verri aveva affidato le migliori speranze illuministiche., destinate al rapido tramonto quando la rottura tra il Verri e il Beccaria determinò un improvviso raggelo anche nei rapporti degli altri collaboratori e soprattutto tra la B. e i nipoti, ai quali la condotta della zia cominciava ad apparire sconveniente e piena di torbido egoismo. Pietro scopriva in lei "un fondo di reale insensibilità ai mali altrui e di pensata apparente beneficienza che ti debbono porre in guardia", come scriveva ad Alessandro (Carteggio, I, 2, p. 59), ed era un giudizio sostanzialmente obiettivo anche se rifletteva gli screzi con i vecchi amici verso i quali la B. aveva avuto il torto di conservare un ambiguo e irrisoluto atteggiamento.

Continuarono comunque ad essere suoi fedeli ammiratori e frequentatori il Sacchi e íl Longo, che convisse con lei per più tempo suscitando le gelosie dell'abate Giulio Arese che pare sollecitasse inutilmente i risentimenti del rassegnato conte di Orio. Ma dal 1767 la vita della B. divenne sempre più desolata e la compagnia degli an-ùci più ristretta e persino equivoca, anche se essa esteriormente continuava a riscuotere successo e ammirazione, come avvenne nella stagione teatrale del 1769, durante la quale Giuseppe Il fu tra i più assidui frequentatori del suo palco.

Passò gli ultimi anni della sua vita - ancora bella e piacente, ma sempre in preda alle sue passioni e infine colpita da un morbo inguaribile - accanto al marchese Longo, che oscillava "tra il coro e lei", guardato "come un apostata dal clero" e "dagli uomini di mondo... come un imprudentissimo", secondo quanto scrive il Verri (Carteggio, III, p.318), alludendo a spiacevoli conseguenze dei suoi rapporti con la contessa.

Il 6 ott. 1773, alcuni giorni dopo il matrimonio della figlia Camilla con il conte Solaro di Casalgrosso, ormai presaga della fine, la B. scriveva in una accorata lettera al fratello Alberico: "Il cielo lo vole. Ho fatto dentro di me questo distacco dal momento dello scritto, né più debbo pensarvi. Bisogna però dire ogni momento: gli uomini più che Iddio mi hanno voluto infelice, e che uomini, oh Dio!" (Arch. Belgioioso,cart. 147, fasc. 3).

Testò il giorno stesso della morte, il 13 ott. 1773 assistita dal Longo (che morendo nel 1804 lasciò a sua volta una grossa eredità al figlio della B., Antonio Mario), nominando erede il figlio ed esecutore testamentario il fratello Alberico.

Prima di morire ordinò che si distruggesse la sua copiosa corrispondenza con la principessa Elisabetta d'Este, figlia del duca di Modena e sua intima amica, morta l'anno seguente; il carteggio conteneva una documentazione singolare sulla vita privata alla corte estense: con la sua distruzione venne a mancare una preziosa fonte per la storia del costume nel Settecento.

Fonti e Bibl.: Documenti relativi al matrimonio e alla morte della B. nella Bibl. Trivulziana di Milano, Archivio Belgioioso, cart. 147; ivi sono anche alcune sue lettere ai familiari; Famiglie notabili milanesi, I, Milano 1875, tav. IV; Carteggio di Pietro e Alessandro Verri,a cura di F. Novati e E. Greppi, Milano 1910-1923, V0ll. I, II, III, V e VI, ad Indicem; C.Goldoni, Tutte le opere,a cura di G. Ortolani, IX, Milano 1950, pp. 739-741, 1345; E. Landry-S. Ravasi, Un milanese a Roma. Lettere di Alfonso Longo agli amici del "Caffè"(1765-r766),in Arch. storico lombardo, XXXVIII (1911), pp. 102 ss., 138; A. Giulini, Nuovi documenti relativi all'avventura di Donna Maria Marina d'Este Colonna, ibid., XLVII (1920), p. 376; A. Casati, Giuseppe Gorani e la guerra dei Sette anni, ibid., LVIII (1931), p. 97; C. A. Vianello, La giovinezza di Parini, Verri e Beccaria, Milano 1933, pp. 204, 310, 315-316; Illuministi italiani,a cura di F. Venturi, III: Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, Milano-Napoli 1958, p. 216; G. Seregni, La cultura milanese nel Settecento, in Storia di Milano, XII,Milano 1959, p. 600.

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