BARBEY D'AUREVILLY, Jules Amédée
Nato a Saint-Sauveur-le-Vicomte nel 1808, morto a Parigi nel 1889, romanziere e critico di spiriti fieramente legittimisti e cattolici in tempi di democrazia, da tale contrasto pensava derivasse la poca e, per lo più, ostile attenzione concessa ai suoi libri: il che gli era causa di rammarico, insieme e di orgoglio. Si sentiva un uomo dell'antico regime, fuorviato e solitario nel volgare e chiassoso tumulto della competizione democratica; di qui il motto della sua impresa: too late, troppo tardi! Strano può sembrare in un uomo di idee cattolicamente così ortodosse quel gusto per i sentimenti morbosi, per le passioni singolari e mostruose e per un erotismo complicato di perversità che si osserva nei suoi romanzi. Il primo di essi, a tacere di un racconto giovanile, La Bague d'Hannibal (1843), Une Vieille Maîtresse, suscitò, quando fu pubblicato (1851), aperte accuse di immoralità. Il d'Aurevilly rispose che il suo cattolicesimo, vigoroso e sano, disdegnava "le vili decenze", difese per es., dal Rousseau, e che le sue audacie miravano "à terroriser le vice". Seguirono L'Ensorcelée (1854), che è a giudizio di molti il suo capolavoro; Le chevalier Des Touches (1864); Un prêtre marié (1865); una raccolta di novelle bizzarre e terribili, Les Diaboliques (1874); Une histoire sans nom (1883). Aveva comune con lo Chateaubriand, dalla cui arte egli procede, il gusto delle passioni tragiche in un quadro di avvenimenti bizzarri e romanzeschi, e col Byron una grande ammirazione per le arie un po' teatrali e l'eleganza raffinata, come apparisce dallo scritto: Du dandysme et de G. Brummel, da lui pubblicato nel 1845. Molta parte della sua operosità diede alla critica, letteraria, filosofica, morale, prima nel Pays, Journal de l'Empire (1851-61), poi sul Nain jaune e in molti altri giornali, e ne trasse materia a parecchi volumi: Les Øuvres et le hommes du XIXe siècle (14 voll., 1860-1895; Les romanciers (1866); Le Théâtre contemporain (1887-96);, Goethe et Diderot (1880); Les Ridicules du temps (1883); Les Vieilles Actrices (1884); Sensations d'Art (1886); Les Quarante Medaillons de l'Académie française (1833) raccolta di satire letterarie, ecc. Se come romanziere tiene dello Chateaubriand e del Byron e ci fa pensare ora a René ora a Manfredo, il d'Aurevilly esercita la critica letteraria con l'imperioso autoritarismo teocratico di un Giuseppe De Maistre. Parlando in nome dell'Assoluto egli non si crede in obbligo di piegarsi verso lo scrittore che esamìna, di penetrare le sue intenzioni e di giustificarlo storiçamente, ma lo domina dall'alto e lo giudica impetuosamente alla luce dei principî religiosi e del tradizionalismo monarchico. Perciò la sua analisi sembra molte volte come un atto d'accusa e la sua sentenza come una requisitoria sdegnosa od ironica. Ma, sebbene il suo verbo suoni spesso fastoso e ieratico, il d'Aurevilly è scrittore di razza ed ha pagine narrative, descrittive, satiriche di singolare potenza.
Bibl.: A. Dusolier, J. Barbey d'Aurevilly, Parigi 1862; P. Bourget, Préface ai "Memoranda" di J. B. d'Aurevilly, Parigi 1883; e dello stesso: Souvenirs sur J. B. d'Aurevilly, in Nouvelles Pages de critique et d'histoire, Parigi 1921; Ch. Buet, B. d'A. Impressions et souvenirs, Parigi 1891; E. Grelé, J. B. d'Aurevilly, sa vie et son øuvre, Parigi 1902-04; J. Boulanger, Sous Louis-Philippe, les Dandys, Parigi 1907; F. Clerget, B. d'A., Parigi 1909; E. Seillière, B. d'A., Parigi 1910; F. Laurentie, Sur B. d'A., études et fragments, Parigi 1912. E cfr. anche oltre i cit. Memoranda l'epistolario: Lettres à Leon Bloy, Parigi 1902; Lettres à une amie, Parigi 1907; Lettres à Trébutien, Parigi 1908; e le due novelle inedite (con un saggio di R. L. Doyon), Le cachet d'onyx e Lea, Parigi 1921.