BARBATELLI, Bernardo, detto Bernardino Poccetti (Bernardino delle Grottesche, Bernardino delle Facciate, Bernardino delle Muse)
Nacque a Firenze, nell'agosto del 1548, da un Bartolomeo da San Gimignano, pentolaio, abitante presso la porta di S. Pier Gattolini. Rimasto presto orfano del padre, fu preso nella propria bottega da Michele Tosini di Ridolfo del Ghirlandaio, che era rimasto ammirato nel vederlo disegnare con il carbone sul muro di una chiesa. Nonostante la lunga permanenza nello studio di Michele di Ridolfo, il B. dovette assai presto sentirsi attratto da quell'ambiente artistico (allora certo il più interessante della città) gravitante intorno a Giorgio Vasari, che organizzava l'impresa decorativa delle sale di Palazzo Vecchio. Questo avvenne probabilmente fra il 1565 e il 1570 circa, anni in cui rientrano le decorazioni più significative del tempo per i risultati:e gli sviluppi che ebbero: cìuelle del Tesoretto e dello Studiolo. Fatto è che il B. dapprima appare come decoratore di pareti in grottesche, genere molto usato dal Vasari e dai suoi collaboratori e nel quale specialmente il Gherardi prima e il Poppi poi avevano raggiunto gli effetti più briosi e raffinati, anche in Palazzo Vecchio. Non si sa, dice il Baldinucci (Delle notizie de' professori del disegno..., VIII, Firenze 1770, pp. 174-205), se il B. fu spinto subito verso tale genere pittorico così in voga dal suo bisogno di guadagnare per vivere o dal suo naturale talento di decoratore. È certo che egli fu soprattutto un grande decoratore, anche quando esercitò prevalentemente la pittura figurativa e storica. Si distinse tanto nell'esecuzione di grottesche da esser chiamato Bernardino delle Grottesche, e poi, quando la moda si estese pure sulle facciate delle case, Bernardino delle Facciate. Nella decorazione di queste usò anche la tecnica del graffito, per la quale sono rimaste celebri le facciate dei palazzi di Bianca Cappello e del Buontalenti in via Maggio. Naturalmente, le pitture eseguite dal B. all'esterno delle case sono state distrutte e semicancellate dalle intemperie. Secondo il Baldinucci, egli tendeva a spartire il disegno minuto della grottesca in modo da farvi entrare figure anche di grandi proporzioni, dimostrando così ambizioni per una pittura più ampiamente figurativa: a tal proposito è da ricordare che egli dipinse le Nove Muse sulla facciata della casa del nobile fiorentino Niccolò Compagni, e ne riscosse tanto successo da meritarsi un altro soprannome, di Bernardino delle Muse. Simile attività di decoratore, soprattutto negli esterni degli edifici, fu svolta dal B. fra il 1570 e il 1578. Probabilmente intorno al 1579-80, lasciato il Tosini, fu a Roma. Viaggio breve, ma di sostanziale importanza per la formazione dell'artista; alloggiato in casa Chigi, dove erano gli affreschi e altri dipinti di Raffaello, fu così preso dall'arte dell'urbinate che si mise a studiarla con accanimento. Certamente dopo questo soggiorno romano s'inizia la vasta e assai varia produzione del B., che va dai motivi decorativi, in cui s'era già reso famoso, alla scena storicomonumentale. Usò quasi sempre la tecnica a fresco, e i suoi quadri a olio sono rarissimi e anche scadenti. Fu l'amore per Raffaello a indurlo a cercare un superamento dell'ultima maniera fiorentina e romana, ormai trasformatasi in accademia, seguendo gli esempi classici del primo Cinquecento. Tuttavia è da notare che lo studio di Raffaello dovette stimolare il B. verso quella corrente già sviluppatasi in seno al manierismo fiorentino ad opera soprattutto di Santi di Tito e di altri artisti, quali Girolamo Macchietti e Mirabello Cavalori. Anzi, più che nella direzione un poco pedantemente purista di Santi, il B. sembra ricollegarsi, come anche, per esempio, Andrea Bossoli, ai principi stilistici del Macchietti o, meglio, del Cavalori. Come già questi, egli tornò a considerare la razionale definizione spaziale di fra, Bartolomeo e di Andrea del Sarto, e persino di artisti anteriori, quali il Ghirlandaio, in una sincera nostalgia di semplicità ed equilibrio compositivo neoquattrocenteschi. Ma senza voler annull:tre, come già il Cavalori, l'esperienza della libera articolazione della forma dei primi manieristi fiorentini, quali Rosso e Pontormo, giunse a risultati di una scenografia pittoresca, atta sia a fondere le reminiscenze culturali dal Quattrocento fino al Salviati e al Vasari, sia a sostenere un racconto fluido e trasparente, perché intessuto soprattutto di particolari secondari, tutti presentati con ugual risalto. Egli finì quindi con tradurre le sue vivaci qualità ornamentali in illustrative e narrative, riuscendo anzi a un'abile sintesi sì che pur le sue "storie" si prestarono alla decorazione di ambienti, portandovi una piacevole impressione di ariosità e di movimento lineare e cromatico insieme. Ebbe una piacevolezza e una chiarezza narrativa, che dopo Domenico Ghirlandaio nessuno aveva avuto a Firenze, ma forse anche con più facilità e superficialità di quell'artista.
Era famoso per finir presto i suoi lavori, per i quali pare non pretendesse nemmeno alte remunerazioni, tenendo onestamente conto del poco tempo impiegatovi; e l'una e l'altra ragione hanno evidentemente provocato l'ingente quantità delle sue pitture, sia interne sia esterne, di abitazioni di Firenze e zone limitrofe. La prima importante decorazione di genere storiconarrativo da lui eseguita dopo il soggiorno romano, nel 1580, si trova nel chiostro grande di S. Maria Novella, in sei lunette con la Vita di s. Domenico, dove è chiara la volontà di rifarsi alle forme di fra, Bartolomeo e di Andrea del Sarto. Nondimeno la complicazione delle sue esperienze, dal primo manierismo a Michelangiolo e al Vasari, comincia a trovare un equilibrio e un'espressione personale negli affreschi delle pareti e del soffitto di una grande sala del palazzo Capponi (1585), sebbene i motivi quattrocenteschi (ritratti di casa Capponi) contrastino, come è stato notato (H. Voss, Die Malerei der Spátrenaissance in Rom u. Florenz, Berlin 1920, pp. 362-75), con una generale enfasi decorativa, che appare provocata persino da ricordi michelangioleschi, nella spartizione del soffitto. Solo, invero, alcuni anni più tardi, nel 1592-93, nelle Storie di s. Bruno della cappella maggiore della certosa del Galluzzo, egli si mostrerà completamente padrone dei suoi mezzi di frescante e conscio delle sue aspirazioni arcaistiche su cui innestare le trovate del manierismo: pure i suoi interessi naturalistici, esplicati in questo caso soprattutto nei ritratti, rientrano nella sua personale osservazione dell'arte del Quattrocento e del primo Cinquecento. Alla certosa aveva iniziato a lavorare nel 1590 (Quattro dottori della Chiesa nella volta), e vi lavorò poi a più riprese: nel 1597-98, con la decorazione della cappella delle Reliquie, nel 1602, con il quadro a olio del Tobia,nel 1607, con il piccolo affresco della Trinità. Però le Storie di s. Bruno restano l'opera più significativa e interessante nella sua carriera artistica.
Fra i numerosi affreschi di genere narrativo del B. sono da ricordare: a Firenze, l'Incoronazione della Vergine (1599) in S. Maria Maddalena dei Pazzi; il Sacrificio di Elia (1600) nel convento del Carmine; le lunette con Storie di s. Antonino (1601-02) nel chiostro di San Marco, mentre nella chiesa decorò la cappella Serragli; Storie della famiglia Usimbardi (1603) nell'omonimo palazzo (poi Acciaiuoli); Storie dei santi fondatori (1604) nel chiostro dei Morti, e decorazione della cappella Pucci nella SS. Annunziata; una Cena nel convento di Badia a Ripoli; cappella Strozzi (1606) in S. Trinita; Fatti dei primi granduchi medicei (1608) nella sala di Bona in palazzo Pitti, dove di nuovo tenne presenti gli esempi del Salviati e del Vasari di Palazzo Vecchio; la Strage degli Innocenti e la lunetta con Esculapio (1610), la Disputa di s. Caterina (1612), Ultimo suo lavoro, nell'Ospedale degli Innocenti. Fuori di Firenze sono di ricordare un vasto ciclo di affreschi (1596) nella certosa di Pontignano (Siena), da dove proviene anche il Cenacolo della Pinacoteca di Siena, e le Storie dei santi (1602) nel chiostro di Santa Maria dei Servi a Pistoia. Non va, inoltre, dimenticato l'eccezionale Autoritratto degli Uffizi, per la leggerezza atmosferica e la spumosa luminosità della macchia cromatica, sì da suscitare di già una suggestione del gusto pittorico settecentesco; come, del resto, si avverte spesso nelle pitture del B., specialmente nei particolari di forme in controluce, dove veramente riesce a portare la sfaccettatura di Andrea del Sarto fino all'effetto di macchia. Era lo sviluppo di elementi stilistici prima offerti da Cavalori, Macchietti, Maso da San Frìano e altri pittori dello Studiolo, che fu arricchito poi di un massimo di spirito e di eleganza da jacques Callot.
Invece, nella decorazione pura, quella dei motivi a grottesche (che in realtà è la meno sopravvissuta della sua copiosa produzione), fu quasi sempre un abile e veloce grafico: come si può constatare nel soffitto del primo corridoio degli Uffizi. Solo nel bagno della villa di Artimino raggiunse anche in questo genere straordinari effetti pittorici di vena macchiettistica, fondendo con autentico gusto e sensibilità poetica ricordi culturali (dall'antico al manierismo), impressioni della natura e della vita di tutti i giorni (i paesi e le figurine sono sorprendentemente veri e vivaci, pur nella raffinatezza capricciosa del decoratore di classe), l'imitazione illusoria di materiali diversi (sete, marmi, boiseries).Di lui sono rimasti anche numerosissimi disegni essendo stato instancabile disegnatore per la maggior parte conservati agli Uffizi, al British Museum, all'Albertina di Vienna.
Grande lavoratore, per passione e facilità, e ricercato dai personaggi più elevati della Firenze del tempo, condusse tuttavia vita umile, disordinata e stravagante, per ingenuo desiderio di primeggiare, sempre a contatto di gente volgare, con cui trascorreva molte ore a macchinare crudeli burle, tipicamente fiorentine, e a bere nelle osterie. Pare, nonostante il Baldinucci non ne sia sicuro, che da questo ultimo vizio gli venisse il soprannome di Poccetti (da "pocciare").
Morì il 10 nov. 1612, ed ebbe dagli Accademici del Disegno funerali solenni, finiti però nel farsesco: infatti, per un improvviso violento temporale fu necessario riparare per alcune ore il feretro nel luogo più vicino possibile, che fu proprio quell'osteria della "Trave torta", già quotidianamente frequentata dal Barbatelli.
Bibl.: Fino al 1933 V. F. Baumgart, in U. Thieme-F. Becker, Künstler - Lexikon, XXVII, Leipzig: 1933, pp. 166 s. (sub voce Poccetti, Bernardino); per la bibl. post. v.: A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 597 SS.; C. Brandi, B. Poccetti..., in Old Master Drawings, IX (1934), pp. 12-14; O. H. Giglioli, Nuove attribuz. per alcuni disegni degli Uffizi, in Bollett. d'arte, s. 3, XXX (1937), pp. 540 s.; A. Graziani, Bartolomeo Cesi, in La critica d'arte, IV, 2 (1939), pp. 64, 66 s., 71, 82; Mostra del Cinquecento Toscano in Palazzo Strozzi (catal.), Firenze 1940, pp. 126, 161 s.; M. Piacentini, Dipinti e disegni ital. in Atene, in L'Arte, XLIV (1941), p. 12; L. Marcucci, Appunti per Mirabello Cavalori disegnatore, in Riv. d'arte, XXXVIII (1953), p. 94; Id., G. Macchietti disegnatore, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, VII (1953-56), p. 129; A. Foriani, Mostra di disegni di Andrea Boscoli, Firenze 1959, p. 7 e passim; G. Briganti, La Maniera italiana, Roma 1961, p. 62; D. Frey, Wandfresken B. Poccettis im palazzo Acciaiuoli zu Florenz, in Scritti di st. dell'arte in onore di M. Salmi, III, Roma 1963, pp. 63-76; Enciclopedia Ital. XXVII, pp.575 s.