BARBAROSSA (Khair ad-dīn)
Famoso pirata ed ammiraglio della flotta ottomana dal 1533 al 1546. Secondo le fonti turche, nacque verso il 1465 a Mitilene; suo padre, Ya‛qūb, era un veterano dell'esercito turco. Khair ad-dīn si diede giovanissimo, insieme con altri tre fratelli, alla pirateria, nell'Egeo, fu prigioniero dei Cavalieri di Rodi, poi, liberato, riprese a corseggiare, avendo per base nelle spedizioni marittime il porto di Adalia. La sua fortuna cominciò quando, portatosi con il fratello Urūǵ (‛Arūǵ) sulle coste della Barberia, si stabilì nell'isola di Gerba e, messosi in buoni rapporti con il sultano ḥafṣida di Tunisi, ottenne di servirsi del porto di Goletta (ḥalq al-wādī) donde si spinse a depredare le coste del Mediterraneo occidentale.
Urūǵ e Khair ad-dīn occuparono successivamente Cherchel (Sharshāl) e Algeri, che diventò la capitale del loro regno corsaro. Ma nel 1518 Uruǵ fu ucciso da cavalieri spagnuoli; Khair ad-dīn (Cairedino o Ariadeno dei nostri cronisti) ne ereditò il comando e il nome di Barbarossa (che verrebbe da Bābā Urūǵ, benché altri ritenga abbia riferimento al colore della sua barba).
Va notato che nel 1517 il sultano ottomano Selīm I aveva conquistato l'Egitto; i pirati ottomani che agivano sulle coste della Barberia furono da quel tempo protetti e incoraggiati apertamente dalla Sublime Porta e le giovarono infatti per estendere il dominio ottomano sull'Africa settentrionale a scapito dell'influenza spagnola. Così Khair ad-dīn ricevé dal sultano Selīm e dal successore Solimano aiuti di mezzi e, specie, di munizioni diventando il più terribile corsaro della Barberia. Nel 1533 Solimano, che abbisognava di una potente flotta da opporre a Carlo V e agli altri principi cristiani, conferì a Khair ad-dīn la carica di Qapūdān pāshā o Qapūdān-i deryā "capitano del mare", cioè il comando supremo della flotta ottomana. Recatosi a Costantinopoli, il B. attese nell'inverno del 1533-34 ad allestire numerose galere; nel 1534 devastò le coste tirreniche dell'Italia ed occupò Tunisi, scacciandone il sultano ḥafṣida. La grave minaccia indusse Carlo V a guidare personalmente a Tunisi l'anno seguente una forte spedizione che valse a riprendere la città e a mettere in fuga Khair ad-dīn. Costui però non desistette dalle sue imprese piratesche; appena fuggito da Tunisi raggiunse ad Algeri una squadra di galere e depredò Port Mahon nelle Baleari. Guastatisi intanto i rapporti dei Turchi con Venezia, che fin'allora aveva mantenuto un atteggiamento neutrale, il Barbarossa dovette provvedere a fronteggiare, oltre l'armata imperiale comandata dal genovese Andrea Doria, anche la flotta veneta. Mandato da Solimano ad assalire la ben munita isola di Corfù, non riuscì a vincerne la resistenza; levato l'assedio, si vendicò sui possessi veneti nell'Egeo (Ceo, Paro, Nasso, ecc.) che furono sottoposti a tributo. Nella seguente primavera (1538) la flotta comandata dal Barbarossa lasciò Costantinopoli e, penetrata nell'Adriatico, si tenne prudentemente a Prèvesa, dove la fronteggiarono la flotta imperiale e quella veneta; l'indecisione di Andrea Doria o piuttosto l'ambigua politica dell'imperatore Carlo V, tendente ad accordarsi con il Barbarossa anzi che a concedere a Venezia un trionfo sul mare, fecero si che la battaglia mancò; i pochi episodî navali si risolvettero in piccoli successi ottomani, i quali contribuirono ad accrescere il prestigio della squadra ottomana e a deprimere quello delle flotte cristiane fino alla rivincita di Lepanto (1571). L'impresa di Algeri (1541) segnò un grave insuccesso per gli Spagnoli ed aumentò la baldanza degli Ottomani. Nel 1543 il Barbarossa condusse la flotta in aiuto di Francesco I, alleato dei Turchi, non senza avere devastato per via le spiagge della campagna romana e della Toscana; unitosi con le navi francesi, concorse alla presa di Nizza, svernò a Tolone e ne ripartì l'anno seguente dirigendosi a Costantinopoli. Cammin facendo, depredò Talamone e l'isola di Lipari.
Morì più che ottantenne, stimato ed onorato assai, a Costantinopoli il 5 luglio 1546 e fu sepolto a Beshiktāsh, sulla riva europea del Bosforo, in una türbeh nota con il suo nome. La sua tomba è ancor oggi molto venerata dai Turchi e il suo nome è volentieri ricordato ed esaltato dai Turchi nei momenti di riacceso nazionalismo. Un suo figlio, Ḥasan pascià, gli succedette nel governo di Algeri con il titolo di Beilerbei e rese segnalati servigi alla Porta ottomana.
Bibl.: Haggī Khalīfah, Tuḥfat ul-kibār fī asfār ul-biḥār ("Il dono dei grandi sui viaggi marini"), Costantinopoli 1913, p. 25 segg.; Meḥmed Shukri, Asfar-i bahriyyeh-i othmaniyyeh ("viaggi marini ottomani"), Costantinopoli 1890, pp. 356-429; E. Pelaez, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa voltata in italiano dalla inedita versione spagnuola di un originale turco conservata nella biblioteca del comune di Palermo, in Arch. Storico Siciliano, Palermo 1884-86; J. von Hammer, Geschichte des osmanischen Reiches, II, Pesth 1834, p. 125 segg.; N. Jorga, Geschichte des osmanischen reiches, II-III, Gotha 1903-1910; S. Lane-Poole, The Barbary Corsairs, Londra 1890; E. Jurien de la Gravière, Doria et Barberousse, Parigi 1886; C. Manfroni, Storia della Marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto, Roma 1897.