BARBARIGO, Pietro, detto lo Zoppo
Nato a Venezia il 13 sett. 1711,trascorse la giovinezza nei consueti studi umanistici. Sin da allora la grande tradizione religiosa della famiglia, che vantava in campo ecclesiastico da secoli nomi luminosi per specchiata ortodossia e zelante fedeltà alla Chiesa e che in piena controriforma seicentesca si era rivelata come uno dei baluardi della fede cattolica nella Repubblica di San Marco, lo indirizzò decisamente verso un mondo di convinzioni e di consuetudini alle quali il destino familiare gli apparì indissolubilmente legato.
Entrato nella carriera politica, la sua prima carica di qualche importanza appare, allo stato attuale degli studi su di lui, quella di podestà e vice-capitano a Brescia, ricoperta dal 1751 al 1753; ma in altre cariche minori e nell'assìdua frequentazione dei dibattiti politici veneziani egli aveva guadagnato, per il suo carattere fermo e tenace e per l'impegno vigoroso nella difesa delle sue idee, buona rinomanza d'uomo pubblico, distinguendosi ben presto dalla grigia massa della maggior parte del patriziato quale personalità forte e decisa. Non s'era ancora risolutamente schierato, però, in quel gruppo curialesco che lo avrebbe in seguito annoverato quale irremovibile e spesso ottuso e pertinace alfiere; unito invece al potente Andrea Tron, solidale con lui in quella politica di rivendicazioni giurisdizionali che sfociò nel celebre e discusso decreto del 7 sett. 1754, lo vediamo in quest'anno schierarsi apertamente in Senato in favore dell'approvazione del decreto stesso, e farsi parte importante per la sollecita conclusione del dibattito.
Non tuttavia la sostanza giurisdizionalista e antiromana dell'episodio egli aveva vissuto, ma l'aspetto morale e politico di quella vicenda diplomatica, in essa scegliendo la strada che gli parve essere più rispondente alle tradizioni di dignità politica della Repubblica. Già verso la conclusione del dibattito l'accordo tra la sua posizione e quella del Tron, spirito aperto alle nuove idee e laicista convinto, s'era fatto più perplesso ed incerto: e in futuro, ben presto, le loro battaglie furono combattute su due fronti opposti, il Tron riponendo le possibilità di sopravvivenza della Repubblica in una cauta ma tenace ricerca di adeguamento alle nuove esigenze intellettuali e politiche, il B. all'opposto convinto dell'ineluttabile rovina cui ogni concessione allo spirito dei tempo avrebbe condotto il vecchio organismo veneziano, e deciso a trovare i rimedi salutarì alla crisi della Repubblica in una tenace e severa opera di moralizzazione, fondata sulla tutela della religione e delle istituzioni ecclesiastiche contro i veleni dissolutori dell'epoca.
Dopo il 1760 tutta l'attività del B. in Senato e nelle varie importanti magistrature da lui ricoperte si accentra intorno a questo ristretto ma tenace credo politico di resistenza e di conservazione. Quando andò prendendo ampie proporzioni politiche l'ondata di riforme giurisdizionali promossa dal Tron tra il 1769 e il 1774, il B. lottò con tutte le sue energie contro il vecchio amico, nulla lasciando di intentato per arrestare la minacciosa valanga di soppressioni di monasterì e di nuove pesanti leggi nei riguardi degli ecclesiastici; finché fu viva e presente l'attività e la volontà politica del Tron, poco valsero le manovre del B.; quando egli vide coronati i suoi sforzi, assistendo verso il 1776 al tramonto graduale delle iniziative, erano soprattutto la stanchezza e la paura della classe dirigente veneziana a permettergli d'imporre il suo punto di vista, di sterile e rinunciataria conservazione: in concreto, la sua politica non aveva nulla da dare alle sorti future dello stato veneziano, e il suo scopo non era di prendere iniziative, ma di troncare tutte quelle intraprese dalle parti avverse.
Fu il B., tra il 1776 e il 1777, a perorare in Senato contro una Accademia poetica tenuta in Treviso attorno a temi rousseauiani da un giovane insegnante del seminario, Lorenzo Da Ponte: questi fu interdetto dall'insegnamento e ricordò più tardi il bigotto e "scaltro zoppo", "proteggitor infaticabile del cappuccio", nelle sue Memorie. Quando, nel 1777, il governo veneziano montò per evidenti scopi antiromani una polemica sull'ortodossia del futuro vescovo di Ceneda e di Vicenza Pietro Marco Zaguri e della sua Orazione funebre recitata in un'assemblea di amanti del buon senso (Venezia 1777),cercando di colpire in lui gli eccessivi sintomi di una retriva e troppo stretta obbedienza alla corte papale, fu ancora il B., seguendo le direttive romane, a perorare in Senato a discolpa dell'imputato. Nel 1779, riformatore allo Studio di Padova, spalleggiato dal collega Sebastiano Foscarini, si oppose duramente al Tron e alla sua velata intenzione di chiamare uno degli spiriti più liberi e moderni della cultura veneta, l'abate Alberto Fortis, alla cattedra di storia naturale.
Fu in questa rigida posizione di moralizzatore e di censore delle inquietudini intellettuali, morali e politiche della vita veneziana che egli si distinse nella famosa vicenda della "correzione" del 1780, legata ai nomi di Carlo Contarini e di Giorgio Pisani, ultimo episodio di turbamento politico prima della caduta della Serenissima. Abile e intransigente insieme, il B. dapprima operò a mettere in posizione sospetta, a qualificare come sediziosi gli atteggiamenti e i discorsi dei partigiani della "correzione" opponendo a loro in Senato l'immagine d'un organismo politico operante e pensoso che veniva offeso ed esautorato dalle richieste dei novatori, e riaffermava solennemente i suoi principi collegandoli a tutta la tradizione della Serenissima ("Religion xe costume, religion xe servizio patrio; tutto xe diretto dalla religion"), e consigliava i colleghi, conformemente alle sue convinzioni religiose e morali, a ridurre il problema delle riforme politiche ad un solenne impegno di moralizzazione personale: "Vorle un bon ministero? Le impari a far ben i magistrati, a regger le provincie, a far el so dover, e le vederà allora levà e distrutto el scandalo nel ministero". Nonostante questo suo discorso, pronunciato in Senato il 20 febbr. 1780, e conclusosi con una minacciosa rampogna ai giovani per la loro smania d'azione e con un patetico rimpianto per quei "tempi felici della Repubblica nei quali la renga [la tribuna degli oratori in Senato] non era con tanta frequenza occupata", segno d'imperturbabile serenità politica, il B. fu eletto, assieme a Girolamo Ascanio Giustinian, Giorgio Pisani, Alvise Contarini e Zaccaria Vallaresso, il 12 maggio di quello stesso anno, nel corpo dei cinque correttori che avrebbe dovuto portare innanzi il dibattito e tradurlo in disegni di riforme legislative e costituzionali. Vecchio ormai di settanta anni, malato e stanco, il B. fu ancora abbastanza attivo nella nuova magistratura, contribuendo a distorglierne ogni effettiva carica rinnovatrice e a ridurre tutto quel moto politico a mere riforme d'ordinaria amministrazione.
Gli ultimi anni della sua vita furono occupati nella tenace realizzazione d'un suo progetto scolastico, che aveva per fine il riordinamento delle scuole religiose dei chierici secondo un'impostazione più rigidamente disciplinata e severa di quella in uso, da realizzarsi in uno schema di studi decennali ispirati alla più chiusa osservanza del cattolicesimo controriformistico: da esse il B. si riprometteva una rinascita del clero, da lui vista come essenziale alla tutela delle future sorti dello Stato. Rieletto riformatore agli Studi nel 1784, giunse a far approvare il nuovo ordinamento col decreto del Senato dell'8 giugno 1785, facilitato dall'assenza del Tron, che doveva morire pochi giorni dopo. Eletto l'anno seguente presidente delle scuole dei chierici, con decreto del 4 ottobre, dedicò a questo scopo tutte le rimanenti energie della sua veneranda età, e "sprezzando la inclemenza del verno e l'ardore della state vestito della voluminosa aristocratica toga si recava a visitare la scuole, ad assistere per molti e molti giomi a, pubblici esami".
Morì in Venezia il 15 maggio 180i, dopo che il destino non gli aveva risparmiato la visione, che per lui dovette essere d'inaudito dolore, della vecchia Repubblica travolta da quella Rivoluzione contro la quale aveva speso tutta la vita; ultimo discendente del suo ramo nobiliare, lasciò erede universale la nipote Contarina Barbarigo.
Fonti e Bibl.: A Venezia nella Bibl. Marciana, mss. It., CI. VII, MDCCXXVI-MDCCXXVII (8546-8547), due registri raggruppano i documenti dell'attività politica del B. durante la podesteria bresciana del 1751-1753, offrendo una agevole copia ordinata degli originali dell'Archivio di Stato di Venezia, che sono divisi in diversi fondi. Per l'attività del B. durante la "correzione" dei 1780 cfr. a Venezia nella nìbl. del Civico Museo Correr, ms. Cicogna 2Z27, le Memorie storiche della correzione 1780 raccolte in XXIV lettere familiari.. scritte al N. U. s. Francesco Donado... dal N. U. s. Gio. Mattio Balbi,che riportano (ff. 82-89) il discorso citato del B. in Senato e (ff. 298-307) un discorso pronunciato come correttore, riportato anche nel ms. Cicogna 2222 della stessa biblioteca (ff. 103-123); tra i mss. P. D. del Correr si trovano anche svariate carte personali del B., soprattutto lettere e documenti sulla sua situazione patrimoniale: tra essi il testamento (ms. P. D. C 1178/io).
A stampa su di lui: M. Barbaro, Istoria delle auestioni promosse da un eccitamento del N. U. s. Carlo Contarini, Venezia 1799, 11, pp. 69-94 (il discorso del B. pronunciato in Senato); L. Da Ponte, Memorie,a cura di G. Gambarin e F. Nicolini, I, Bari 1918, PIp. 43 s., 46, 217; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII, I, Venezia 1806, p. 258; A. M. Bettanini, Benedetto XIV e la Repubblica di Venezia,Milano 1931, passim, sul citato decreto giurisdizionalista del 1754 e sul ruolo del B.; M. Berengo, La società veneta alla fine del '700, Firei.ze 1956, pp. 161-63; G. Tabacco, Andrea Tron (1712-1785) e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Trieste 1957, pp. 55 s. e passim,in cui è documentata con continuità l'azione curialista svolta dal B. nella politica veneziana.