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BARBAGIA

di Raimondo Bacchisio Motzo - Enciclopedia Italiana (1930)
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BARBAGIA (A. T., 27-28-29; lat. Barbaria)

Raimondo Bacchisio Motzo

Regione della Sardegna i cui limiti hanno variato col tempo. I Romani dissero Barbaria tutta la parte montuosa centro-orientale dominata dagli Insani montes, l'attuale massiccio del Gennargentu, nella quale aveva trovato rifugio, e si manteneva quasi indipendente, la popolazione indigena (la cui tribù più numerosa era quella degli Iliesi o Iolei), costretta dalla conquista cartaginese e poi dalla romana, a sgombrare le fertili terre delle pianure e delle pendici meno alte verso il S. e l'O. dell'isola. Numerose spedizioni non riuscirono per due secoli ad averne ragione; il clima spingeva nell'inverno gli abitanti dei monti a invadere con le loro greggi le pianure circostanti, e, dato lo stato di permanente ostilità, a depredare le popolazioni pacifiche sottomesse ai Romani. All'epoca di Augusto, anche fra i monti del centro l'autorità romana fu riconosciuta, ma la tranquillità della provincia non durò a lungo, se già sotto Tiberio si sentiva bisogno d'inviare truppe a frenare i rinnovantisi latrocinî di quelle genti. Cinque secoli dopo, sotto Giustiniano, i Barbaricini, come ormai eran detti, erano così pericolosi, che fu necessario stabilire un presidio in Forum Traiani (Fordongianus) ai margini della Barbaria centrale, allo scopo di tenerli a freno. Il pontefice Gregorio Magno si adoperò a convertirli al cristianesimo. Nei secoli seguenti, col rifluire verso i monti della popolazione delle pianure esposte alle invasioni provenienti dal mare, e con la conversione alla religione cristiana, si compì la romanizzazione di quelle popolazioni, i cui discendenti sono ora fra le genti neolatine quelli che han conservato più puro e schietto il carattere antico. L'isolamento della regione montuosa, il perpetuarsi delle occupazioni prevalentemente pastorali, l'ambiente fisico e il clima hanno fatto sì che, nonostante i grandi mutamenti storici, le idee, gli usi e i costumi si siano conservati antichi per molti rispetti. Nessun governo, né il pisano, né l'aragonese-spagnolo durato così a lungo sull'isola, né il sabaudo, riuscì a esercitarvi efficace e profonda autorità innovatrice: sino a qualche cinquantennio fa bande di montanari minacciavano ogni tanto le pianure, e sino ai giorni nostri fra i monti della Barbagia bisogna andare spesso a ricercare il bestiame mancante ai proprietarî dei Campidani e del Logudoro. Tradizioni ataviche facevan sì che non fosse ritenuto disonorevole, ma quasi prova di valentia e di virilità per i giovani, affrontare i rischi connessi con una bardana diretta a impadronirsi del bestiame altrui, così come la mancanza di un'autorità statale veramente efficace ha reso obbligatoria, e in un certo modo necessaria allo scopo della giustizia, la vendetta familiare, di cui qualche esempio clamoroso si è avuto ai giorni nostri. Oggi però il moltiplicarsi delle strade, delle ferrovie e degli autoservizî che congiungono anche i borghi più lontani col resto dell'isola, l'affermarsi dell'autorità statale, il diffondersi dell'istruzione, vanno trasformando rapidamente i costumi e le idee di questa regione. Scende ancora il pastore con le sue greggi verso le pianure, ma poiché la pastorizia l'ha reso più agiato che non l'agricoltore dei piani egli è spesso l'acquirente dei terreni che vanno in vendita; la popolazione sveglia e ardita dei monti muove alla conquista dei posti e degli uffici nell'amministrazione dello stato e in tutte le carriere. I pittoreschi costumi antichi più costosi vanno lentamente trasformandosi, come vanno scomparendo le industrie domestiche, che vi provvedevano, a causa dell'importazione di merci forestiere: fra alcuni decennî molte delle caratteristiche peculiari del paese saranno scomparse.

I documenti medievali provano che la Barbagia comprendeva un territorio assai più vasto di quell'odierno. Il confine geografico meridionale era segnato dal corso del Flumendosa, a partire dall'angolo ch'esso fa nel territorio fra Gadoni e Seulo mutando la direzione EO. in quella NO.-SE.: esso lascia così sulla sinistra la Barbagia di Seulo, a oriente della quale si stendeva la Barbagia di Agugliastra (attuale Ogliastra), che abbracciava tutto il territorio e i villaggi dal Golfo di Orosei alla foce del Flumendosa. A ovest il confine geografico era segnato dal corso medio del Tirso, dalla località di Ottana sino a Fordongianus, o meglio all'incontro dell'affluente Arixi, il cui corso può servire in parte di limite meridionale lasciando a N. la Barbagia di Belvì (o di Meana), e forse anche l'altipiano del Sarcidano. Verso il nord il limite era segnato approssimativamente dal Rio di Onotelli che affluisce nel Tirso e dal Rio Isalle che va a finire in quello di Orosei. Dentro questi confini, la Barbaria, o Barbagia, comprendeva le tre attuali Barbagie di Seulo, di Belvì e di Ollolai, l'Ogliastra, il Mandrolisai, il Nuorese, l'antica curatoria di Austis (il cui nome ricorda l'influsso esercitato da Augusto sulle Civitates Barbariae) e la parte Barigadu. Ma anche fuori di questi confini il Gerrei e il Sarrabus a S. e a N. il Bittese e tutto il territorio ad E. del corso superiore del Tirso, per le analoghe condizioni del suolo montuoso, dell'indole e delle occupazioni degli abitanti, erano considerati come appendici, o parti della Barbagia stessa. Il nome andò tuttavia perdendo di estensione, e ha finito con l'indicare una regione assai più ristretta che non sia quella geografica. A ciò contribuì il fatto ch'essa sin dal sec. XI appare divisa fra i quattro giudicati in cui l'isola era ripartita, suddivisi alla loro volta in curatorie, che avevano nomi particolari, i quali finirono col prevalere. Ma nell'uso degli studiosi il nome di Barbagia è spesso adoperato in senso più lato, per indicare, cioè, la parte più montuosa e caratteristica dell'isola.

La provincia di Nuoro, creata recentemente con l'unione dei due circondarî di Nuoro e di Lanusei, abbraccia quasi tutta la Barbagia medievale. In senso ristretto il nome Barbagia si applica oggi alla Barbagia superiore, o di Ollolai, a N. del Gennargentu, comprendente i villaggi di Fonni, Mamoiada, Gavoi, Olzai, Ovodda, Ollolai e Lodine, con una superficie di ettari 34.516 e una popolazione di 13.950 abitanti (censimento 1921); alla Barbagia centrale, a O. del Gennargentu, detta anche Mandrolisai, che comprende i villaggi di Tonara Desulo, Sorgono, Samugheo, Atzara, Ortueri, con 33.902 ettari di superficie e 13.391 ab.; alla Barbagia inferiore suddivisa in Barbagia di Belvì (o di Meana) che comprende i villaggi di Aritzo, Meana, Belvì, Gadoni con 21.117 ettari e 6285 ab., e Barbagia di Seulo comprendente i villaggi di Seui, Seulo, Sádali, Esterzili, Ussassai con 40.502 ettari di superficie e 7325 ab. Complessivamente la superficie di tutte le Barbagie è di ettari 130.037 con 40.951 abitanti; la popolazione relativa è di 31 abitanti per kmq., sale però a 40 nella Barbagia superiore e nel Mandrolisai, per scendere a 22 abitanti per kmq. nelle Barbagie inferiori di Belvì e di Seulo, assai più aspre, montuose e meno abitate. La popolazione era di 26.069 abitanti nel 1826: sicché nel periodo di un secolo non è riuscita a raddoppiarsi. La Barbagia è la parte climaticamente più sana della Sardegna, e più ricca di acque, che compensano, in certo modo, la minore fertilità del suolo, costituito in massima parte di scisti cristallini e di graniti, e solo in alcune zone (monti di Oliena a N. del Gennargentu, Tacchi e Toneri a S.) di calcari giurassici. Le acque hanno inciso profondamente le valli e il paesaggio vi assume forme varie e pittoresche: boschi di castagni e di querce rivestono alcune zone, e dovrebbero essere moltiplicati, mentre vanno diminuendo sotto la scure degli speculatori e per il vandalismo dei pastori. La Barbagia offre l'esempio di una società semplice e in parte primitiva. Vita rude di pastori induriti a tutte le inclemenze del clima e a tutti i pericoli, vigili, accorti, osservatori acutissimi, di poche parole, avvezzi alla libertà sconfinata e all'indipendenza fra le balze dei monti e nelle campagne quasi deserte; odî e amori tenacissimi, ereditarî, ospitalità larga, gelosia del proprio onore. Le donne, nelle piccole case semplici, sono dedite a tessere nel primitivo telaio, a fare il pane, all'allevamento dei bimbi, e in alcuni villaggi alla coltivazione degli orti. I costumi sono assai severi, l'onore familiare è custodito gelosamente: Dante (Purg., XXIII, 94) ha certamente calunniato le donne di Barbagia, paragonando ad esse le corrotte fiorentine del suo tempo. Le vesti degli uomini e delle donne, dai colori vivaci, ricordano quelle in uso nel Medioevo in tanta parte d'Italia e d'Europa; accenti e parole richiamano quelli di Roma antica.

Bibl.: E. Pais, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, Roma 1923; I. Bazzi, In Barbagia, Treviglio 1889; E. Castiglia, Undici mesi in Barbagia, Sassari 1899; G. Deledda, Tipi e paesaggi sardi, in Nuova Antologia, 1901; P. Casu, Spigolature storiche sulla B., Cagliari 1904; G. Devilla, La Barbagia e i barbaracini, Cagliari 1889; P. Nurra, Nella B. settentr., Sassari 1896; C. Setzu, La Barbagia e i barbaracini, Cagliari 1911; V. Angius, Barbagia, in Casalis, Dizionario geografico-storico statistico commerciale degli Stati del re in Sardegna, 1834; L. Wagner, Die Barbagia in Sardinien, 1913-14.

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