BARATTERIA
. La passione per i giochi leciti e illeciti, già viva presso i Romani e altrettanto presso i barbari venuti in Italia, non abbandonò il nostro popolo durante il Medioevo, tanto che i Comuni pensarono di trarne un utile, permettendo la tenuta di giochi d'azzardo e appaltandone il provento. Tuttavia, come il tenitore di case di mala fama, così colpito da disistima era il barattiere (baracterius) che teneva banco di gioco. Secondo gli statuti di Padova (ed. Gloria, n. 785, A. 1277), il barattiere non poteva assumere un pubblico ufficio; così pure a Modena (Stat., 1327, IV, 38); a Firenze (Stat., III, 92) non poteva entrare nel palazzo del podestà, né comparire dinnanzi a lui per chiedere giustizia. I barattieri si riunirono, nel periodo comunale, in associazioni, se non ammesse, almeno tollerate, con proprî capi detti podestà, capitani o re dei barattieri. Non mancarono però le repressioni e i divieti: per cui non poterono i pubblici barattieri tener gioco presso il palazzo del comune o in città, né possedere beni immobili che dessero loro la possibilità d'una partecipazione alla vita pubblica.
In un altro senso, la parola barattiere fu usata per indicare chi, per danaro o altro privato vantaggio, veniva meno ai doveri del proprio ufficio, danneggiando il suo comune o il suo signore. È la baratteria condannata da Dante (Inferno, XXI e XXII).
Bibl.: L. Zdekauer, in Arch. stor. it., 1885 e 1886, Giorn. d'econ., 1892, Studî senesi, IX (1892).