BANTU
. Nome dato, per la prima volta dal Bleek nel 1862, in base a criterî linguistici, ai popoli che occupano quasi tutta l'Africa negra a sud del Golfo di Guinea e dei grandi laghi equatoriali (v. la tavola Africa etnografica alla voce africa).
Distribuite su così vasto spazio e, in talune regioni, con una notevole densità demografica, le popolazioni che parlano le lingue bantu sono costituite da un numero ingente di piccoli e grandi aggruppamenti etnici: clan, tribù, gruppi di tribù affini, nazioni. Vengono qui segnalati i più rilevanti o più noti, seguendo l'ordine delle maggiori affinità linguistiche interne (Drexel) e incominciando dal nord-ovest.
La zona forestale Camerun-Ogoué-Congo è l'abitato delle genti del gruppo Teke: comprende i Duala e Jaunde del Camerun, i Bakoto, i Fan o Pahuin, disseminati su largo spazio con molte tribù, i Bateke; vi appartengono inoltre le tribù del basso Congo: Bavili, Bacongo (Mushicongo, Kacongo, Kabinda) e, risalendo il fiume, i Bobanghi (Bayansi), Bafuba, Bangala; poi le tribù dell'ampio arco congolese, Mongo e Balolo, Nkundu, Basoko, ecc. e i Bakuba del Sankuru. I Basongo appaiono intermedî, per la lingua, fra questo gruppo e il seguente.
A sud, sud-est ed est sono le genti del gruppo Ndonga, che include i Baluba e Balunda, fondatori di vasti principati (come il regno di Muata Yamwo), le tribù meno note dell'Angola (Ambunda, Amboim, Nbangala, Quioco, Ganguela, Amboella) sino agli Ovambo, Herero e Mambukushu, incuneati, nel sud-ovest, fra Boscimani e Ottentotti. Dal Catanga, le genti di questo gruppo, si collegano ai Wanyema, fra il Congo e il lago Tanganica, e ai popoli dei laghi, tra i quali la grande nazione dei Waniamwesi, e, più al nord, le aristocrazie pastorali dei watussi e Wahima e la forte massa degli agricoltori organizzata in numerosi principati: Barundi, Banyaruanda, Banyambo, Baganda o Waganda.
La zona costiera orientale è occupata dal gruppo Suaheli, che, oltre a questo popolo, notevolmente arabizzato, comprende varie tribù più interne e quelle che si insinuano nelle valli e sulle pendici montane fra le genti camitiche, sino al Tana (Wagiagga, Wakikuyu, Wakamba, Wapokomo) e ai fiumi della Somalia.
I territorî situati intorno al lago Niassa sono l'abitato del gruppo Konde (Kondo), le cui popolazioni dai Wahehe e Wapogoro al nord giungono sino all'alto Luapula (Wawemba o Lobemba) e allo Zambesi (Marawi, Tete, Zumbo). I Macua del Mozambico fan da transizione fra i Ndonga e il gruppo più meridionale. Quest'ultimo, o gruppo Sotho (da Va-sotho o Basuto), comprende le più bellicose tribù dei Cafri, Zulu̇, Pondo, Tembu, ecc. e i popoli Beciuana (Basuto, Bakalahari, ecc.) a occidente dei primi. Gli uni e gli altri hanno spinto, nel secolo XIX, avamposti di conquistatori sin oltre lo Zambesi (v. matabele, angoni, barotsè). Affini ai precedenti sono pure le tribù del Limpopo (Barunda, Barongo) e quelle stanziate fra questo fiume e lo Zambesi (Batonga, Mashona, ecc.), in gran parte riunite nel sec. XVI in un forte regno designato daî Portoghesi, dal nome del sovrano, col nome di Monomotapa.
Una così larga e compatta diffusione di lingue (o, se si vuole, di dialetti) strettamente affini pare dover risultare da un processo di espansione di carattere "recente", perché vuol dire che non c'è stato il tempo per una forte differenziazione regionale. Si è cercato perciò di ricostruire tale processo e di localizzarne il centro, che è quanto dire il territorio d'origine dei Bantu. L'indagine linguistica poco ha giovato finora a risolvere il problema: l'ordine delle affinità interne è, in complesso, quello geografico; i gruppi più differenziati sono i più lontani: Teke e Sotho, i più affini, sono geograficamente contigui. Il solo caposaldo da tener presente è il legame più remoto che collega il bantu alle lingue sudanesi, specialmente attraverso i gruppi sudanesi bantoidi: e ciò indica che il fenomeno di separazione deve essere avvenuto in qualche regione settentrionale dell'attuale territorio bantu. È interessante anche la particolare affinità linguistica fra i Bantu del sud-ovest e quelli del NE. (gruppo Ndonga), la quale dimostra che certi movimenti etnici hanno girato intorno al territorio della foresta equatoriale, lasciandolo relativamente isolato.
II problema è complicato dal fatto che all'unità linguistica non corrisponde l'unità antropologica né la culturale. Le lingue bantu sono parlate anche da molti gruppi Pigmei e da genti di tipo etiopico, come i Wahima, e anche il tipo fisico dei Bantu negri presenta forti deviazioni regionali, specialmente nel bacino congolese. La cultura stende le sue varietà principali indifferentemente sui Sudanesi e sui Bantu, in tutta la zona di contatto, e non si può quindi parlare di una cultura bantu più di quanto si possa parlare di un tipo somatico bantu. Ciò si deve probabilmente al fatto che la formazione delle varietà di razza dev'essere anteriore ai movimenti etnici che diffusero la lingua senza avere sempre effetto sensibile sulla compagine antropologica: mentre quella delle varietà culturali può essere avvenuta in ogni tempo, ma è forse in misura non lieve posteriore all'assetto linguistico.
Il meccanismo delle migrazioni che portarono a quest'ultimo ci è pertanto ignoto. Nell'Africa australe le spinte etniche storicamente constatate (sec. XIX) si sono svolte dal sud al nord, ma vi sono forti indizî, i quali fanno ritenere che in tempi più antichi l'espansione dei Bantu si sia svolta in senso contrario, avanzando verso il sud a spese delle popolazioni austro-africane (Ottentotti e Boscimani). Sentore di vasti movimenti etnici ebbero anche, nella zona centrale, i Portoghesi nel sec. XVI. Il paese aperto delle savane è forse sempre stato la sede di una notevole mobilità etnica: la regione delle foreste pare essere stata invece più ricettiva che espansiva. Si sarebbe così condotti a porre, come qualcuno ha già fatto, il centro primario della migrazione bantu verso il nord-est, nella regione dei grandi laghi equatoriali.
Bibl.: K. Barthel, Völkerbewegungen auf der Südhälfte des afrikanischen Kontinents, Lipsia 1894; B. Ankermann, L'ethonographie actuelle de l'Afrique mér., in Anthropos, I, Mödling 1906 (bibl., carte) e in Archiv. für Anthr., XXXIII, Brunswick 1906; S. M. Molema, The Bantu, Edimburgo 1920.
Religione. - La religione delle popolazioni bantu non è così bene caratterizzata come la loro lingua, avendo molti elementi in comune con la religione di altre popolazioni africane, specialmente di quelle che partecipano al medesimo tipo di civiltà fondato sopra una rudimentale agricoltura. L'animismo (v.) ha gran parte nelle credenze religiose dei Bantu come di altre genti africane ed extra-africane; solo è da notare che in corrispondenza con la stabilità delle dimore (a sua volta dipendente dalla coltivazione del suolo) si ha presso i Bantu un particolare sviluppo degli spiriti locali - della casa, del villaggio, dell'albero, della rupe, del ponte, ecc. - e una più grande differenziazione di esseri divini, che dà luogo a una quantità di culti speciali. Anche il feticismo (v.) specialmente diffuso presso i Bantu dell'Africa occidentale, si riconduce all'animismo e al demonismo. Particolarmente sviluppato è il culto degli spiriti degli avi, spesso anche rappresentati plasticamente in figure rozzissime. Si crede che i morti continuino a vivere nell'al di là, e che nei neonati riviva qualche avo defunto. Si concepisce una specie di regno dei morti, e talora un dio dei morti che vi presiede. Il totemismo è più o meno rappresentato presso le singole popolazioni bantu. Esso assume un aspetto speciale in quanto, in corrispondenza con l'importanza attribuita alla vegetazione e all'agricoltura, accanto agli animali totem si hanno frequentemente le piante come totem. La magia è largamente coltivata. Specialmente tutto ciò che ha rapporto con la lavorazione del ferro, che presso le genti bantu è notevolmente sviluppata, va soggetto a una quantità di pratiche e prescrizioni magiche, che sono scrupolosamente osservate dai fabbri e metallurgi. Il fattucchiere ha un'importanza grandissima nelle singole tribù, specie in quanto ha il potere di curare le malattie e d'intercedere perché cada la pioggia. Anche il "re" ossia il capo della tribù, ovvero d'un gruppo di tribù, dispone di un potere occulto per far cadere la pioggia. L'importanza attribuita alla pioggia si spiega con i caratteri speciali del clima africano, ed è anch'essa in rapporto con la coltivazione del suolo. Molte delle popolazioni bantu hanno la nozione di un essere supremo, designato più frequentemente col nome di Nzambi, da cui s'invoca specialmente la pioggia. Infatti questo essere supremo è prima di tutto un essere celeste, non essendo che il cielo stesso personificato, tanto è vero che presso taluni bantu non è distinto dal cielo fisico. Di solito questo supremo essere celeste non è oggetto di un culto vero e proprio, e si riduce a una nozione alquanto evanescente; in certi casi esso tende ad assimilarsi con la figura del proavo, o primo uomo (p. es. Unkulunkulu presso i Zulu), oppure con la divinità del sole (Leza, Chintu, Ruwa, ecc.).
Presso le varie genti bantu esistono miti relativi all'origine del mondo e dell'uomo, all'origine della morte, ecc. Il sacrifizio si fa specialmente agli spiriti degli avi, per placarli o per ottenere il loro aiuto. In certe occasioni si praticano anche sacrifizî umani, con relativa consumazione di carne umana in un banchetto rituale. L'ordalia assume forme svariate, specie quando si tratta di appurare la verità di un'asserzione, la responsabilità di un individuo, ecc. Cerimonie d'iniziazione si celebrano ogni anno, o ad intervalli più lunghi, per introdurre successivamente i giovani dei due sessi nella vita della tribù. Queste cerimonie hanno una grande importanza nella vita delle popolazioni bantu; esse consistono in gran parte in danze mascherate. Gl'iniziandi sono sottoposti a pratiche di vario genere, destinate a far di loro degli esseri nuovi, rinati ad altra vita. Le feste delle primizie comprendono una serie di atti rituali di carattere purificatorio, destinati specialmente ad allontanare i mali accumulatisi nella tribù nel periodo precedente, compresi i peccati; per l'eliminazione dei peccati si pratica in tale occasione anche una specie di confessione.
Bibl.: W. Schneider, Die Religion in afrikanischen Naturvölkern, Monaco 1891; L. Frobenius, Masken u. Geheimbünde Afrikas, Halle 1898; M. L. Lurat, Bantu Folk-lore, Città del Capo 1906; E. L. Hartland, art. Bantu, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, II, Edimburgo 1909, pp. 350-367; C. Mainhof, Afrikanische Religionen, Berlino 1912; B. Ankermann, Verbreitung und Formen des Totemismus in Afrika, in Zeitschrift f. Ethnologie, 1915, p. 105 segg.; J. Roscoe, The Northern Bantu, Cambridge 1915; B. Ankermann, Totenkult u. Seelenglaube bei afrikanischen Völkern, in Zeitschrift für Ethnologie, 1918, p. 89 e segg.; C. W. Hobley, Bantu Beliefs and Magic, Londra 1922; R. Pettazzoni, Dio: Formazione e sviluppo del monoteismo, I: L'essere celeste nelle credenze dei popoli primitivi, Roma 1922; C. Meinhof, Der Gottesbegriff der Bantu, in Allgemeine Missions-Zeitschrift, 1923; A. Werner, The Mythology of all races, VII, ii: African, Boston 1925; Callaway, The religion system of the Amazulu, 1868, nuova ediz., Londra 1925; J. Tom Brown, Among the Bantu Nomads, Londra 1925; E. Johanssen, Mysterien eines Bantu-Volkes, Lipsia 1925; C. Meinhof, Die Religionen der Afrikaner in ihrem Zusammenhang mit dem Wirtschaftsleben, Oslo 1926; H. A. Junov, The Life of a South African Tribe, Neuchâtel 1913, 2ª ed., voll. 2, Londra 1927; W. C. Willoughby, The Soul of the Bantu, New York 1928; R. Pettazzoni, La Confessione dei peccati, in Storia delle religioni, VIII, Bologna 1929, cap. i.
Le lingue Bantu. - L'Africa centrale e meridionale, al sud di una linea che dal golfo di Guinea ad occidente vada all'equatore ad oriente, è occupata dalle lingue del gruppo Bantu, a eccezione dell'estremità meridionale del continente, ove si trova ora confinato il gruppo Ottentotto-Boscimano affine al Camitico, e ad eccezione anche del Sandawe che appartiene al medesimo gruppo ed è parlato fra il 5° e 6° grado di latitudine meridionale e il 35° e 36° grado di longitudine orientale, in prossimità delle lingue bantu Gogo, Lini e Irangi e delle lirigue camitiche Tatoga o Taturu e Burunge o Mbulunge (l'Iraku si trova più lontano). Anche il cuneo del gruppo Masai si spinge a est del lago Vittoria fino oltre il 5° grado di latitudine meridionale. La più settentrionale fra le lingue bantu sarebbe il Kaka nell'Adamana, all'8° grado di latitudine settentrionale.
Il nome ba-ntu significa "uomini" (plurale di mu-ntu "uomo").
Il gruppo Bantu comprende un grande numero di lingue molto omogenee nonostante la grande estensione del territorio occupato. Per questa ragione l'affiuità linguistica fu presto riconosciuta.
Il viaggiatore e naturalista tedesco Lichtenstein, che si era recato al Capo di Buona Speranza presso il governatore olandese nell'intervallo tra la prima e la seconda occupazione inglese (1803-1806), avendo confrontato tra loro un grande numero di vocabolarî, specialmente quelli di Mozambico raccolti da un gesuita, giunse alla conclusione che le lingue dell'Africa meridionale da Benguela a Kilwa formando un'unica famiglia. Tale scoperta egli annunziò e dimostrò in una memoria pubblicata a Weimar nel 1808 (Allgem. Archiv für Ethnographie u. Linguistik, pp. 258-331), in cui sono esaminati anche i prefissi nominali, che formano la piti notevole caratteristica delle lingue bantu. Indipendentemente dal Lichtenstein, come pare, arrivò l'inglese Marsden a riconoscere l'unità delle lingue dell'Africa a sud dell'equatore (escluso l'Ottentotto-Eoscimano) verso il 1816. Anche il francese Vivien de Saint-Martin sostenne l'unità di quelle lingue in una comunicazione alla Société de Géographie di Parigi nel 1847. L'affinità fu poi scientificamente dimostrata da C. von der Gabelentz, Ewald e Pott, e divulgata da Ritter, Prichard e Latham.
Ma il vero fondatore della glottologia bantu è il tedesco Bleek. La prima parte della sua Comparative Grammar of South African Languages, pubblicata nel 1862, comprende la classificazione delle lingue dell'Africa a sud dell'equatore e la fonologia. Allo studio delle lingue bantu va parallelo quello dei dialetti ottentotti. Le corrispondenze fonetiche sono riassunte in tabelle in cui il cafro è preso come base. Nel 1869 fu pubblicata la prima sezione della seconda parte, con uno studio accurato dei prefissi nominali bantu e dei suffissi nominali ottentotti. Per la morte prematura il Bleek non poté compiere la sua opera, che doveva comprendere quattro parti.
Una Comparative Grammar of the South-African Bantu Languages completa diede nel 1891 il gesuita Torrend. L'esposizione è limpidissima e assai pregevole la morfologia.
Il più autorevole bantuista è Carlo Meinhof. Dopo una serie di lavori preparatorî, egli pubblico nel 1899 un Grundriss einer Lautlehre der Bantusprachen: che ebbe una seconda edizione molto ampliata nel 1910. Esso contiene anche un utilissimo elenco di voci proto-bantu. Al medesimo autore dobbiamo i Grundzüge einer vergleichenden Grammatik der Bantusprachen, Berlino 1906, e molti altri lavori speciali. Al Meinhof spetta il merito di aver creata la fonologia scientifica del Bantu.
Il primo libro stampato in una lingua bantu fu pubblicato a Lisbona nel 1624. Nello stesso secolo vennero in luce altri lavori, poi gli studî bantu subirono un'interruzione e non furono ripresi che nel sec. XIX.
Una classificazione genealogica delle lingue bantu veramente scientifica fu data per la prima volta da F. N. Finck, Die Verwandtschaftsverhältnisse der Bantusprachen, Gottinga 1908. Dopo avere criticamente esaminato i tentativi del Bleek, di F. Müller, del Torrend e del Jacottet, e premessi i criterî fondamentali, il Finck dà una nuova classificazione fondata su 7 caratteristiche, la quale si può riassumere così:
A) Sezione esterna (prima immigrazione):
I. Sud-est. - 1. gruppo Cafro; 2. gruppo Thonga; 3. Venda; 4. gruppo Ciuana; 5. Lenge o Siga; 6. gruppo Macua.
II. Nord-ovest. - 1. Bubi, ecc. (Fernando Poo); 2. gruppo Camerun; 3. Fang; 4. Pongwe, 5. gruppo del medio Congo.
B) Sezione mediana (seconda immigrazione):
I. Est. - 1. gruppo Nyoro; 2. gruppo Ganda; 3. Kamba; 4. Rega; 5. gruppo Taita; 6. Pokomo; 7. gruppo Nika; 8. gruppo Giaga; 9. gruppo Nyamwezi; 10. gruppo Rundi; 11. gruppo N'wema; 12. gruppo Guha; 13. gruppo Shambala; 14. gruppo Suaheli; 15. gruppo Sagaza; 16. Kinga; 17. gruppo Gangi; 18. gruppo Ungu; 19. Konde della costa; 20. Konde del Niassa; 21. gruppo Komoro; 22. Pangwa; 23. Yao; 24. gruppo Sena; 25. gruppo Senga; 26. gruppo Ka r anga.
II. Ovest. - 1. gruppo Herero; 2. gruppo Tonga; 3. gruppo Mbundu sud; 4. Kwango o Mbunda; 5. gruppo Rotse; 6. gruppo Angola; 7. Loango o Fiote; 8. Buma; 9. Lunda; 10. gruppo Luba.
Le caratteristiche, tutte di ordine fonetico, sono le seguenti:
Nel suo Saggio sui numerali il Trombetti ammise col Finck quattro sottosezioni, ma riunite diversamente in due sezioni principali. L'esame dei numerali suggerisce, infatti, una prima divisione del Bantu in orientale e occidentale (linea approssimativa di divisione: il meridiano delle Cascate di Stanley e delle Cascate Vittoria, il 25°).
Inoltre oko "1" è più frequente nella regione occidentale che nell'orientale, mentre mu-longo "10" sembra essere caratteristico di questa. Infine le forme del "3" e del "5" sono quasi esclusivamente del tipo taṭo e taṇo nella regione occidentale, mentre nella regione orientale si presentano frequentemente anche i tipi satî e sanî. Ma le differenze più notevoli si riscontrano nei numerali dal 6 al 9, e ciò si comprende facilmente: ta-n-datu è "3+3" e na-na "4+4", mentre nella regione occidentale il sistema è quinario, almeno in 6 = 5 + 1 e in 7 = 5 + 2.
Tuttavia il Trombetti riconosce una speciale parentela delle lingue del sud-est con quelle del nord-ovest e ammette un'assai antica migrazione da nord-ovest verso sud-est, nella quale egli vede la causa del distacco del gruppo Ottentotto-Boscimano dalle lingue affini delle regioni settentrionali.
Si hanno anche classificazioni di H. S. Johnston, L. Homburger e Drexel (v. sopra, e cfr. W. Schmidt, Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde, Heidelberg 1926, p. 91 seg.).
Il sistema fonetico proto-bantu è il seguente:
Questo sistema appare molto arcaico (e quasi identico a quello ammesso dal Trombetti come primordiale) per la mancanza assoluta di spiranti, compreso s, e per l'equivalenza l = d (manca r). Le esplosive sonore sono spesso nasalizzate, ma ng nd mb non si possono considerare come gruppi di consonanti. Questi mancano del tutto: le sillabe, infatti, sono di regola costituite da consonante + vocale, ossia sono aperte, e perciò le parole cominciano di regola con consonante e finiscono sempre in vocale.
Di fronte allo scarso numero delle consonanti, è notevole la varietà delle vocali. Mancano, secondo Meinhof, veri dittonghi, ma sono frequenti le combinazioni come va e wa, e in molte lingue bantu ai o oi corrispondono a e e we di altre. Da ai e ia si ha e, da au e ua si ha o.
L'accento dinamico, originariamente sulla sillaba radicale, è debole: perciò le sillabe atone non vanno soggette a riduzione o a dileguo. Fanno eccezione le lingue del nord-ovest, nelle quali, insieme con la tendenza al monosillabismo, si sviluppa più che altrove l'accento musicale.
Tra le continuazioni delle esplosive semplici e delle esplosive nasalizzate sorgono spesso differenze o alternanze assai forti. Per averne un'idea si notino le seguenti forme del Sotho:
La ragione è che nel Sotho le esplosive del Bantu sono rappresentate nel modo seguente:
Perciò pono deriva da *m-bono, ecc.
Oltre al fenomeno della nasalizzazione hanno grande importanza nelle lingue bantu i fenomeni della palatalizzazione e della labializzazione, prodotti rispettivamente dalle vocali i e u sulle precedenti consonanti esplosive.
Caratteristica fondamentale delle lingue bantu è la distribuzione dei sostantivi in classi, distinte mediante prefissi che variano dal singolare al plurale; per es. mî- plur. ba- per le persone, mî- plur. mè- per le piante, nè- per gli animali, ka- per i diminutivi: mî-ana "fanciullo", ba-ana "fanciulli", ka-ana "bambino", tî-ana "bambini", ecc. Nelle lingue del Camerun i prefissi si presentano spesso in forma ridotta e tendono a scomparire, per es. Benga i-lalĕ "pietra": Duala dale, mu-Rundo di-toi "orecchio": Duala toi.
Altra caratteristica importante, collegata con la precedente, è la concordanza o congruenza, la quale consiste nel ripetere il prefisso del nome soggetto davanti a tutte le parole che si riferiscono a esso; per es. Tonga
I prefissi contenenti nasali ne sono privi davanti a parole di carattere verbale, per es.: Tonga mu-ntu u-lede "l'uomo egli dorme".
La classificazione riflessa è un'operazione mentale propria dell'uomo progredito nella civiltà, ma qui si tratta di una classificazione rudimentale che attesta, anzi, una mentalità primitiva. Poiché "uomo" è mu-ntu plur. ba-ntu, ogni nome di persona si conforma nei prefissi a questo nome tipico per tutta la classe; e così come si dice mu-ti "albero", plur. mi-ti, si dice pure mu-kuyu "albero del fico", plur. mi-kuyu, ossia mu-kuyu è un'espressione ellittica per mu-ti mu-kuyu.
Anche il fenomeno della congruenza attesta una mentalità primitiva. Quel ripetere il prefisso del nome soggetto serve a ribadire di continuo nella mente di chi ascolta il soggetto stesso, cioè la persona o la cosa di cui si parla. Con ciò si ottiene anche un'intima unione delle parole nella proposizione, la quale acquista una salda unità. Il prefisso rappresenta in compendio il nome soggetto e in certo modo l'idea dominante.
La declinazione è appena iniziata. Il soggetto sta in principio della proposizione come nella maggior parte delle lingue del globo, poiché esso rappresenta l'idea dominante che per prima si affaccia alla mente di chi parla. Anche espressioni avverbiali possono rappresentare il soggetto. Così nel Tonga si dice mu-n-ganda mula-sia "in casa è buio", quasi "lo in casa esso è buio", con mu-n-ganda "in casa" soggetto della proposizione; e nel Suaheli, come si dice ni na mthu "io ho un uomo", così si dice pa na mthu "là c'è un uomo", ossia gli avverbî dimostrativi non si distinguono sintatticamente dai pronomi dimostrativi e personali.
L'oggetto diretto segue il verbo e di regola viene anticipato mediante un pronome incorporato, per es.: Cafro w-a-m-tanda yena "egli lo ama lui", u-Satani w-a-m-kohlisa u-Ewa "Satana egli la ingannò l'Eva". Così dunque nelle forme verbali il pronome oggettivo sta tra il pronome soggettivo e il verbo: si ha in Cafro u-si-tanda come in italiano tu ci ami. In questo caso l'oggetto diretto precede il verbo come nella nostra lingua. Forme speciali di accusativo ci sono soltanto per alcuni pronomi: -kî- "te", -mî- "lui", "lei", e talune forme del riflessivo.
L'oggetto indiretto viene espresso mediante una forma speciale del verbo in -ela o -ila (forma relativa): cfr. in tedesco ich schenke ihm e ich beschenke ihn.
Il genitivo viene indicato dalla particella -a- e si pospone al nome reggente, per es. Suaheli vi-su vy-a-mzungu "i coltelli dell'europeo".
L'unico vero caso è il locativo, che si forma mediante la posposizione -i, -ni o -i-ni, per es. Suaheli numba-ni "in casa". Vi sono poi tre prefissi locativi: pa- "su", kî- "presso", "verso", mî- "entro".
Gli aggettivi sono poco numerosi e provengono in gran parte da forme verbali. Perciò nel Sotho e altrove l'attributo ha carattere di predicato, per es. mî-thî e (oppure yî) mî-χîlî "l'uomo che (è) grande, l'uomo grande".
Il Bantu ha un ricchissimo sistema di dimostrativi che hanno per base i prefissi nominali, onde tanti sono i dimostrativi quante sono le classi. Si distinguono tre forme secondo le tre posizioni dell'oggetto. I pronomi e avverbî della seconda posizione sono formati con -o. Così dal bantu pa- prefisso locativo il Sotho forma il dimostrativo ϕα-î, il Cafro con contrazione a-pho. Abbiamo:
Nei pronomi personali si distinguono tre forme: 1. pronomi preverbali; 2. possessivi; 3. assoluti. Questi ultimi sono di regola bensì bisillabi per mezzo di affissi o raddoppiamenti, mentre i possessivi quasi sempre e i preverbali sempre sono monosillabi. Forme normali dei pronomi preverbali della prima e seconda persona:
I corrispondenti suffissi possessivi sono:
Per "io" assoluto sono frequenti le forme con m in luogo di n, forme che si usano anche come preverbali e possessive. L'oggettivo kî deriva da *kî-î "verso te". Origine simile ha il possessivo -ko, cfr. Sotho -χ-a-î da *kî-a-î "presso di te", "tuo". I pronomi possessivi delle varie classi (esclusa la prima e seconda) hanno di regola la desinenza -o, identica a quella dei dimostrativi della seconda posizione.
I temi verbali primitivi sono di regola bisillabi con armonia vocalica completa nel Bantu occidentale e in talune lingue della sezione orientale, per esempio:
È questo un fenomeno primitivo che si osserva in molte lingue arcaiche. Armonia completa o incompleta si ha anche nelle forme derivate, quando alle vocali radicali a i u segue i u e alle vocali radicali e o segue e o; per esempio Yao
Nello Shambala si trovano verbi composti di due temi, come fi'ka-le'ta "affrettarsi" + "recare" = "recare tosto". È probabile che formazioni simili si trovino anche in altre lingue bantu, poiché su questo processo sono fondate molte forme deverbali.
I verbi derivati si formano mediante suffissi. Tra questi sono notevoli i suffissi vocalici comuni al verbo e al nome:
Il nome non ha suffissi proprî, poiché in ultima analisi è sempre una forma verbale. Così, per esempio, il Sumbwa i-tekero o butekero "cucina" non deriva direttamente da teka "cuocere" con suffisso -ero, bensì dalla forma relativa di questo verbo, che è tekera.
Tra i suffissi consonantici sono notevoli i seguenti, che formano una serie bipartita, in cui le forme con k sono intransitive, quelle con l transitive:
L'inversivo indica il contrario del verbo fondamentale (come in italiano legare: slegare, chiudere: dischiudere).
Abbiamo inoltre: -a-ta riflessivo, -pa denominativo, -ga durativo, -a-na reciproco, -a-ma stativo (cfr. ma stare), -ba id. Vi sono poi combinazioni come -a-kala, -î-kîla, -pala, ecc.
Il raddoppiamento è frequente e può essere completo o incompleto, per es. Cafro teta "parlare": teta-teta "ciarlare", hamba "andare": hamba-hamba "vagare"; Suaheli puta "battere": pu-puta "bastonare ben bene".
Nella coniugazione i modi sono indicati generalmente per mezzo di suffissi e i tempi per mezzo di prefissi. Suffissi vocalici sono:
Notevole è la forma negativa, per es. Suaheli tu-(n)a-tuma "noi mandiamo", negativo ha-tu-tumi "non noi-mandiamo, noi non mandiamo" (cfr. il cong. tu-tume che noi mandiamo).
In parecchie lingue vi è il modo relativo, il quale viene espresso con un suffisso invariabile (Benga -e, Sotho -χo, Cafro -yo, per es. Cafro i-haše e-li-baleka-yo "equus currii qui, il cavallo che corre") oppure con un pronome relativo variabile secondo la classe dell'antecedente.
Il perfetto indica azione compiuta e stato conseguente. Nei verbi derivati -i si aggiunge al verbo semplice e al suffisso (che è un verbo ausiliare), onde alle forme del presente in -a-ma, -a-na e -a-la si contrappongono quelle del perfetto in -e-me, -e-ne ed -e-le (con e da ai), per es. imana "rimanere": perf. imene.
La forma più semplice del verbo è quella in cui il pronome sta immediatamente davanti al verbo, per es. Kaguru ni-langa "io vedo", u-langa "tu vedi". Questa forma non è frequente, però è normale col modo congiuntivo (cfr. il citato Suaheli tu-tume) e si trova non di rado nell'espressione negativa (Suaheli ha-tu-tumi), nel perfetto e nelle proposizioni relative.
Frequenti sono le forme con la particella -a- interposta tra il pronome e il verbo, come Tonga u-a-bona "tu hai veduto, vedesti", mu-a-bona "voi avete veduto, vedeste" (anche presente), Yao n-a-wene "io ho veduto".
Una particella frequente è anche -na-, che ha carattere verbale: Suaheli ni-na-penda "io amo"), con verbo monosillabo ni-na ku-dja "io vengo") (ku-dja; ingl. to come). Similmente con -li-: Suaheli ni-li-tuma o -n-a-li-tuma "io mandai", ma n-a-li ku-dja "io venni". Frequenti sono anche le perifrasi con ba o bè "essere".
Vario è l'uso di ka-, per es. Herero ka-eta "va porta" (ted. hole), Suaheli a-ka-tuma "ed egli inviò".
Come veri ausiliarî sono usati in varie lingue bantu molti verbi di significato generico come "compiere, andare, venire", ecc.; l'unione col verbo principale si fa in due modi: 1. con l'infinito del verbo principale, p. es. Suaheli ni me ku-la "io ho compiuto mangiare = io ho mangiato"; 2. con forme coordinate, per esempio Duala na ta na lîma "io fui io mandai = io mandai".
L'infinito ha il prefisso kî- corrispondente a to dell'inglese: Tonga ku-bona; ingl. to see.
La collocazione delle parole è diretta. Talvolta, nello stile narrativo, il verbo sta prima del soggetto come parola dominante. Ciò avviene sempre nella seconda persona plurale dell'imperativo, in cui il soggetto è rappresentato dai suffissi -i, -ni o -i-ni, per esempio Kamba ona-i, Suaheli ona-ni, Kaguru lange-ni da *langa-i-ni "vedete voi".
I pronomi dimostrativi in parecchie lingue stanno prima del nome, per es. nel Duala. Nel Suaheli si può dire yule mthu "quello uomo" oppure mthu yule "uomo quello".
La voce interrogativa sta di regola in fine di proposizione: Cafro w-a-ti-ni "egli ha detto che cosa?", Suaheli a-me ku-fa nani "è morto chi?"
I numerali semplici hanno due forme, una con la consonante iniziale pura e l'altra con l'iniziale palatalizzata per epentesi di un prefisso i.
Bantu orientale ta-n-datî "3 e 3" = "6" (Nyrwanda šešatu da *ša-išatu, cfr. šatu "3"), na-na o na-nai "4 + 4" = "8)". Nel Bantu occidentale si ha generalmente il sistema quinario con 5 + 1, 5 + 2, ecc. Il Pongue e-no-gomi (Orungu se-ni-homi) è sottrattivo da i-gomi "10"; cfr. le forme sudanesi del gruppo Mosi-Gurusi no-go, no-wo, na-go "9" (nelle lingue sudanesi il 10 ha di regola perduto lo m ed è ridotto a gwa, wo, ecc.).
I numeri ordinali sono resi nel Bantu mediante espressioni possessive, per es. Suaheli m-tu w-a-tatu "l'uomo quello dei tre, il terzo uomo".
Bibl.: Oltre alla bibliografia citata nel testo (Bleek, Torrend, Meinhof), v. G. De Gregorio, Cenni di glottologia bantu, Torino 1882; L. Homburger, Étude sur la phonétique historique du Bantou, Parigi 1913; A. Werner, The Bantu languages, Londra 1919; H. Johnston, A comparative study of the Bantu and Semi-Bantu languages, voll. 2, Londra 1919-1922; A. Drexel, Gliederung der afrikanischen Sprachen, in Anthropos, XVI-XVII, 1923-24.