Banditi a Orgosolo
(Italia 1961, bianco e nero, 98m); regia: Vittorio De Seta; produzione: Vittorio De Seta per Titanus; soggetto: dalle inchieste di Franco Cagnetta. sceneggiatura: Vera Gherarducci, Vittorio De Seta. fotografia: Vittorio De Seta, Luciano Tovoli; montaggio: Jolanda Benvenuti; costumi: Marilù Carteny; musica: Valentino Bucchi.
Michele Jossu, un pastore di Orgosolo che segue il proprio gregge (è stato per lungo tempo a servizio di un gregge non suo) assieme al fratello appena uscito dall'infanzia, è costretto da tre briganti a dar loro asilo e per questo verrà sospettato dai carabinieri addirittura di omicidio. L'uomo è costretto a darsi alla macchia ‒ con brevi discese al paese, dove ha la solidarietà di un amico e della sorella adolescente di questi ‒ e, braccato, quando il gregge muore in conseguenza della fuga verso un altro territorio, si farà bandito a sua volta, rubando il gregge di un altro, lasciando il fratello al paese dove sarà servo di altri proprietari.
Il film è ispirato alle inchieste di Franco Cagnetta sulla vendetta barbaricina pubblicate su "Nuovi argomenti" sul finire degli anni Cinquanta. Vittorio De Seta aveva già al suo attivo bellissimi documentari in Ferraniacolor sulla Sicilia (Lu tempu di lu pisci spata, 1955, Contadini del mare, 1955, Surfarara, 1955, Pescherecci, 1958, e documentari sulla Sardegna (Pastori di Orgosolo e Un giorno in Barbagia, entrambi del 1958). Il regista affrontò il suo esile ed essenziale soggetto con l'aiuto della popolazione locale e dei suoi 'attori', rigorosamente presi dalla vita ed esperti di quanto dovevano recitare. Spostandosi sui luoghi, anche nei punti più impervi della montagna, con una troupe minima (sua moglie Vera Gherarducci, l'operatore Luciano Tovoli ma non per tutta la durata della lenta e faticosa lavorazione) De Seta ha realizzato il suo film secondo i canoni della ricostruzione documentaria e secondo il magistero di Robert Flaherty, pronto a cambiare sul momento una sceneggiatura tuttavia predisposta, per scarni dialoghi e per azioni primarie che danno al film un carattere di constatazione, allontanandolo da ogni tentazione di romanzo. Volti e sguardi, case e natura, uomini alberi animali oggetti evidenziano la laconica psicologia degli interpreti radicandola nella concretezza dei fatti. Il film accoglie con massimi rispetto e attenzione le indicazioni degli interpreti, definendosi così come opera di gruppo oltre che di autore, ed è questo ad avergli conquistato nell'isola una statura di opera pienamente sarda, l'unico film girato da un regista venuto 'dal continente' a non essere stato considerato una piccola o grande aggressione 'coloniale' alla sardità.
Ben oltre questi elementi, il suo valore è però nella dimensione tragica che la vicenda dei due fratelli assume momento per momento, in un processo che appare ineluttabile e fatale. È la logica del sottosviluppo che esso infine mostra e dimostra, senza prediche e senza messaggi, e rifiutando ogni ricatto spettacolare e sentimentale caro alla lezione neorealista non rosselliniana. È a Rossellini e alle sue opere migliori che, infatti, e più che a Flaherty, il film si apparenta; e all'opera di due coetanei che esordirono nel lungometraggio nello stesso anno di Banditi a Orgosolo, il 1961, e nello stesso festival veneziano: Ermanno Olmi con Il posto e Pier Paolo Pasolini con Accattone. Il neorealismo era morto, e il suo canone si era intristito nella commedia zavattiniana, nella denuncia gridata, nel populismo di maniera; ma rinasceva con questi autori in altri modi e in altre vesti, come lezione della realtà, come linguaggio della realtà. L'unico rimprovero accettabile, tra i molti pretestuosi che vennero mossi al film, fu di non aver tenuto conto del fatto che, mentre la condizione dei pastori era sempre la stessa, intorno il mondo cambiava e i primi effetti del boom avevano raggiunto anche l'isola, preparandosi a sconvolgerne l'antropologia come nel resto del paese. Ma è anche per questo che Banditi a Orgosolo, estraneo a ogni cronachismo e retorica, ha saputo attraversare tanti lunghi anni e durare come un classico in un'epoca prolificissima di grandi opere. Al pari di Accattone, è stato a lungo studiato da molti registi del Terzo Mondo come un film esemplare.
Interpreti e personaggi: Michele Cossu (Michele Jossu), Peppeddu Cossu (Peppeddu Jossu), Vittorina Pisano (Montonia) e altri pastori sardi.
E. Bruno, Banditi a Orgosolo, in "Filmcritica", n. 112-113, agosto-settembre 1961.
S. Zambetti, Banditi a Orgosolo, in "Cineforum", n. 7-9, settembre-novembre 1961.
J. Douchet, Le bandit d'Orgosolo, in "Cahiers du cinéma", n. 124, octobre 1961.
G. Zuri, L'innocenza del bandito Michele Iossu, in "Cinema nuovo", n. 154, novembre-dicembre 1961.
B. Voglino, 'Il brigante', 'Banditi a Orgosolo', in "Cinema domani", n. 1, gennaio-febbraio 1962.
G. Fofi, G. Volpi, Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Torino 1999.
Sceneggiatura: in "Cinema nuovo", n. 153, settembre-ottobre 1961 e n. 154, novembre-dicembre 1961.