BALLO (V, p. 989)
La morte di Sergej Djagilev (1929) chiude la prima fase del rinnovamento orchestico europeo: durante il ventennio, che s'inizia nel 1909 coi memorabili trionfi parigini dei balletti russi, erano sorte le prime fondazioni del balletto inglese; era apparsa e svanita, dopo quattro anni di mirabile vita, la fulgida meteora del balletto svedese di Jean Borlin e Rolf de Marés (1920-1924) e s'erano affermati in Germania il Folkwang-Tanztheater-Studio di Essen e l'arte di Kurt Joos. La scomparsa di Djagilev accelerò la disintegrazione, già latente, del balletto russo e portò alla dispersione della grande compagnia che si era costituita con "maîtres de ballet" e coreografi russi discepoli della grande scuola di Marius Petipa e di Enrico Cecchetti. Occorreva molto coraggio per superare la crisi, e lo trovò un audace cosacco che, ad una avventurosa carriera militare, univa un'ardente passione per il teatro: il colonnello Wassili de Basil.
Associandosi a un artista, René Blum, a un esperto direttore di teatro, Sergej Grigorev, e a un grande coreografo, George Balanchin, riuscì a riunire nella compagnia dei Ballets Russes de Monte Carlo" i migliori astri della scuola russa, attenendosi all'estetica e al repertorio che l'avevano resa celebre e trovando nella sua vitalità e nel fervore del pubblico anglosassone, enormemente cresciuto negli ultimi anni, lo slancio e la irresistibilità dei giorni parigini. Questo avveniva nel 1932, ma già l'anno prima in Inghilterra, a conclusione delle istituzioni suaccennate - scuola di Serafina Astaf'eva e di Nicolas Legat, Cecchetti Society, Ballet-club di Marie Rambert, Camargo Society - la grande coreografa-ballerina irlandese Ninette de Valois, con l'aiuto di un geniale coreografo, Frederick Ashton, e del musicista Constant Lambert, aveva posto su basi nazionali il balletto inglese col "Sadler's Wells Theatre" unitosi nel 1935 all'"Old Vic" in una solida istituzione che, con musica, scenarî e danzatori inglesi, tra i quali spiccano Alicia Markova, Margot Fonteyn, Moira Shearer, Andrée Howard, Anton Dolin, Robert Helpmann, e, soprattutto, nel campo di una originalissima coreografia neo-romantica, Anthony Tudor, tiene alta oggidì la fama del balletto e dello stile inglese. Segnaliamo come rappresentativi di questo: il "masque" danzato Job (musica di V. Williams), il simbolistico Checkmate (musica di Arthur Bliss), il pittoresco The Rake's Progress (da W. Hogarth) di Ninette de Valois, il burlesco Façade ("suite de danses" di W. Walton), il sereno The Wise and Foolish Virgins (S. Bach) e The Dante Sonata (F. Liszt) di Frederick Ashton, Hamlet (P. Čaikovskij) di R. Helpmann e gli ultimi caratteristici lavori di A. Tüdor: Dark Elegies - cupa interpretazione dei Kindertotenlieder di G. Mahler - e Pillar of Fire - plastica e "xtra-versione" della Verklärte Nacht di A. Schönberg.
Il successo britannico e l'esempio del de Basil galvanizzò le iniziative americane per un balletto autoctono: giovandosi dapprima dell'opera dei grandi coreografi russi, M. Fokin, L. Mašin, G. Balanchin, M. Mordkin, T. Gavrilov; ricollegandosi alle radici americane della danza classica d' Isadora Duncan e allo splendido magistero coreico di Ruth St. Denis e Ted Shawn - la cosiddetta "scuola dei Denishawn", da cui sono emersi gli astri della danza americana attuale: Marta Graham, Doris Humphrey, Charles Weidman - e grazie infine alle organizzazioni scolastiche e teatrali di R. Pleasant e L. Kirstein, veramente americane nei mezzi e negli scopi, il balletto "yankee" è sorto nel 1938-40 coll'anglo-russo-americano "Ballet Theatre" e, soprattutto, col "Ballet Theatre of New York" interamente anglosassone.
Tra il 1940 e il 1945 sono poi nati, accanto alle ultime reviviscenze delle compagnie russe in terra americana - il "Ballet Russe Highlights" di S. Mašin, i "Ballets Russes de Monte Carlo" passati alla direzione di S. Denham e l'"Original Ballet Russe" di W. de Basil - il "Foxhole Ballet", il "Philadelphia Ballet" con le sorelle Dorothy e Catherine Littlefield, il "Chicago Opera Ballet" con la originalissima danzatrice e coreografa Ruth Page e, sopra tutte, quella compagnia d'avanguardia "yankee" che è il "Ballet Caravan".
Anche in America, dunque, esiste oggi un balletto tipicamente nazionale, con ballerine (tra le più famose: Nana Golner, Alicia Alonso, Marie-Jeanne, Nora Kaye) e musicisti, scenografi e ballerini-coreografi (Agnes de Mille, Jerome Robbins, William Dollar, Michael Kidd, Eugène Loring, Lew Christensen, Todd Bolender), tutti americani. Tra i balletti più originalmente "yankee" notiamo: quelli di A. de Mille, il Black Ritual per negri, Rodeo, Civil War e il recente Tally-Ho!; On Stage! di M. Kidd, e il più caratteristico dei balletti americani: Frankie and Johnny del duo R. Page-B. Stone. Uno strano balletto parlato, scritto da William Saroyan è The Great American Goof di E. Loring.
Tra le più note compagnie di balletti afroasiatiche, abitualmente in America, vanno ricordate quelle indiane di Ram Gopal e di Uday ShanKar, e i danzatori negri di Berto Pasuka.
Il balletto francese presenta ancor oggi un grande nome, quello di Serge Lifar. Il suo schietto temperamento artistico, che si attiene fedelmente alla tradizione diaghileviana, gli ha dato grande autorità come ballerino-coreografo a Parigi (Scuola e balletto dell'Opéra) e alla succursale mediterranea, ov'egli ha fondato ultimamente (1945) i "Nouveaux Ballets de Monte Carlo" con una pleiade di giovanissime reclute della grande scuola franco-russa (maestri Léo Staats, Ricaux, Michajl Volinin, Olga Preobraženskaia) tra le quali spiccano: Janine Charrat, Yvette Chauviré, Youly Algarov, Alexandre Kaljužnyj. Nello stesso anno Boris Kochno ha fondato il "Ballet des Champs-Elysées", subito affermatosi grazie alla giovinezza e all'eccellenza orchestica di Roland Petit, Jeau Babilée, Ethery Pagava, Irene Skorik, Solange Schwarz, Ana Nevada.
Il ballo tedesco, che ha avuto una splendida primavera nel ventennio di pace con una fioritura di scuole "estetiche" sulla danza e studî, specialmente sugli antesignani dello stile tedesco, Rudolph von Laban e Mary Wigman, è oggi solo un buon ricordo, sebbene la compagnia dei "Ballets Joos" salita a grandissima fama, attesti l'originalità dell'arte germanica: la compagnia si trasferì in Inghilterra dopo l'avvento del nazional-socialismo ed introdusse elementi di satira politica in La guerra. Nella danza teatrale si nota in questi due ultimi anni (1947-48) qualche timido tentativo di ripresa, specie a Berlino, dove la "maîtresse de ballet" e coreografa Tatjana Gsovsky è tornata al suo posto alla Staatsoper con artisti - quasi tutti provenienti dalla scuola di T. Eduardova, che fu per lungo tempo l'unica maestra di danza classica in Germania - ancora e sempre obbedienti all'estetica dell'espressionismo drammatico e pantomimico e alle suggestioni di un plastico atletismo.
Il balletto spagnuolo deve la sua fulgida rinascita all'arte incomparabile di "Argentina" (Antonia Mercé) morta quarantacinquenne il 18 luglio 1936, che, sola o con la sua compagnia, operando una plastica, integrale trasposizione delle musiche di I. Albéniz, E. Granados, M. De Falla, ha dotato la sua nazione di un teatro di danza tra i più originali del mondo. Accanto a lei deve porsi la grande figura di Vicente Escudero che, attingendo unicamente alle fonti del folclore gitano, ha ricondotto la danza virile alle nobili tradizioni del "baile flamenco". Intorno a costoro e alla celebre "Argentinita" (Encarnación López, nata a Buenos Aires il 15 marzo 1905, morta a New York il 24 settembre 1945), si muovono gli astri della danza iberica di ieri e di oggi: Laura Santelmo, attualmente direttrice di una accademia di danza a Parigi, l'andalusa Carmen Joselito e la straordinaria "Teresina". Tra i giovani brillano: Carmen Amaya con la sua compagnia, Pastora Imperio, Maria Paz, Lola Flover e due grandi "bailarinos": Juanito Garcia e il "Greco", un abruzzese, perfetto esecutore di focose "allegrias".
Il balletto sovietico subito dopo la rivoluzione ha trascorso un periodo assai fosco, caratterizzato da una strana e decisa involuzione che l'ha spinto al ripudio delle riforme di Fokin e al ritorno alle formule realistiche e tradizionali del balletto accademico ottocentesco. Ma qualche anno prima della seconda Guerra mondiale drastiche riforme hanno subìto le scuole di ballo del regime, culminate col festival del 1940 al teatro Kirov di Leningrado (l'antico Teatro Mariinskii) che fu un trionfo dei metodi Fokin-Djagilev, a cui si tengono tuttora fedeli i programmi dell'Istituto di coreografia di Leningrado. I soggetti sono però sempre rigidamente propagandistici, dal famoso Papavero rosso (1927) e dalle Fiamme di Parigi (1932) al recente Gayanne (1946). Molti, in quest'ultimi anni, basano il proprio tema sulla guerra e sull'invasione, altri sulla ripresa di antiche leggende e tradizioni, colorite dal tipico folclore slavo e dalla musica, per quanto è possibile, nazionale di S. Prokof′ev, B.V. Asaf′ev, D. Šostakovič e A. Chačaturjan. Il più apprezzato dei coreografi-ballerini è oggi V. Čabukjan; ottimo nelle danze folcloristiche è Igor Mojseev, già "maître de ballet" al Teatro Bolšoj di Mosca, ora diretto da M. Gabovič. Meritano di essere ricordate le "artiste del popolo" Tamara Chanum e Galina Ulanova.
In Italia un ampio risveglio dell'orchestica (italiana) ha operato da vari anni Jia Ruskaia coi suoi "concerti di danza" nei centri classici di Taormina, Agrigento, Siracusa, Capri, ai Maggi musicali fiorentini o nei varî festival internazionali; coi suoi finissimi balletti alla Scala: Sacrificio di Ifigenia (musica di Giuseppe Mulè), Affreschi di Pompei (M. Musella), Il Ratio di Persefone (E. Porrino), Slancio (R. Schumann); e, infine, col suo gruppo milanese di danzatrici, che meritò il lauro olimpionico a Berlino nel 1936 e, specialmente, con la istituzione della Scuola nazionale di danza a Roma (1940), oggi fiorentissima, a cui s'è aggiunto dal 1947 un corso di perfezionamento per maestre di danza e di coreografia. Dal suo gruppo milanese sono uscite Giuliana Penzi, già prima danzatrice alla Scala e all'opera di Roma e vincitrice del Premio internazionale di Bruxelles come solista, e Avia De Luca, prima danzatrice e coreografa al Comunale di Firenze, che ha dato a Milano (Lirico) un ottimo saggio di moderna coreografia con Tango di N. Sonzogno: ambedue sono oggi maestre di danza nella Scuola della Ruskaja.
Il ballo teatrale non s'è risollevato completamente, in Italia, dalla decadenza in cui era caduto al principio del secolo: nei due grandi teatri, o a fianco di essi, esistono scuole degne delle gloriose tradizioni accademiche (Cia Fornaroli e poi E. Mazzucchelli alla Scala; N. Guerra, E. Caorsi e le sorelle Battaggi al Teatro dell'Opera; scuola romana di Gennaro Corbo, allievo del Cecchetti) da cui sono usciti gli elementi di quei corpi di ballo che servono, purtroppo, per integrazione degli spettacoli lirici e assai raramente per spettacoli di balletto, nei quali, a prescindere da fugaci apparizioni scaligere di Fokin, Mašin, Lifar, e dalla attività di Boris Romanov al Teatro dell'Opera (1934-37), domina da un decennio il ballerino-coreografo Aurel Milloš, che ha esercitato una notevole influenza sulle compagnie di Roma (1938-45), e di Milano (1945-47). Tra i migliori danzatori italiani emergono: la prima ballerina del Teatro dell'Opera, Attilia Radice - ultima allieva di Cecchetti - la ballerina-coreografa Nives Poli e le prime ballerine alla Scala, Olga Amati e Luciana Novaro; la danzatrice e coreografa Regina Colombo, allieva di E. Cecchetti e di J. Ruskaja; Lia e Ugo dell'Ara; Elio Foggiolti, Jolanda Rapallo, Ada Spicchiesi, Have Galassi, Nerina Colombo, Milly Clerici, Guido Lauri, Giovanni Brinati, Filippo Morucci, Guido Perugini, Carlo Faraboni, Walter Zappolini.
Risulta evidente da questa rapida rassegna il sorgere di scuole e balletti misti o nazionali che, pur non chiudendosi in formule esclusiviste (il ballo, come la musica, è per sua natura internazionale) determinano, attraverso il folclore e i caratteri delle singole genti, uno stile orchestico che non è, né può essere, nuovo (anche il russo non è che un innesto dello stile accademico italo-francese sulla invero straordinaria capacità coreica dei Russi), ma si colora volta a volta della fluida, sensibilissima finezza inglese, della elegante chiarezza francese, della forza e della complessità ideologica tedesca o della geniale eccentricità americana. È questo il fatto nuovo e importantissimo dell'ultimo ventennio di danza. Quanto al carattere formale dei balletti post-diaghileviani, possono scorgersi in taluni (Mašin, Lifar) le tendenze a una liricità essenziale sgorgante da una maggiore accentuazione della pura danza sulla complessa unità del balletto, in altri (Joos, balletti americani) una evidenza talora vistosamente pantomimica, più drammatica che dinamica, a detrimento di quel perfetto equilibrio di spiriti e forme coreiche mirabilmente raggiunto nelle creazioni di Fokin. Ma forse queste tendenze - già segnalate, del resto e talora accusate (A. Levinson) negli estrosi eclettismi dell'ultimo Djagilev- sono insite nella stessa natura composita del balletto, nelle sue necessità di cercare e di trovare ad ogni costo la novità per piacere e adeguarsi alle varie correnti dell'estetica contemporanea, attraverso le quali il balletto è passato, come una farfalla impolverandosi le ali di cubismo, d'espressionismo, di freudismo, di surrealismo e, recentemente, d'esistenzialismo, e, volta a volta, scrollandosene con quella grazia folleggiante ed aerea che costituisce, appunto, il suo più delizioso incanto.
Bibl.: A. Levinson, Les visages de la danse, Parigi 1933; C. Brahms, The Ballet, Londra 1936; id., R. Helpmann, Londra 1943; C. Beaumont, Complete Book of Ballets, New York 1938; id., Ballet designs (Past and Present), Londra 1946; id., The Sadler's Wells Ballet, Londra 1947; A. Dolin, Ballet Go Round, Londra 1938; A. L. Haskell, Ballet Panorama, Londra 1938; id., The National Ballet, Londra 1943; id., Ballettomania, 17ª ediz., Londra 1946; id., The Ballet Annual, Londra 1947; id., Prelude to the Ballet, Londra 1947; A. Stokes, Trought the Ballet, Londra 1942; id., Russian Ballets, Londra 1945; N. de Valois, Invitation to the Ballet, Londra 1942; L. Vaillat, Histoire de la danse, Parigi 1942; L. Bradley, Ballets Rambert, Londra 1943; C. Brahms - Sedgwick, R. Helpmann, Londra 1943; W. J. Turner, English Ballet, Londra 1944; J. Martin, The Dance, New York 1946; G. Anthony, R. Helpmann-Studies, Londra 1946; K. Ambrose, Ballet Impromptu, Londra 1947; G. Barodin, This thing called Ballet, Londra 1945; P. Michaut, Histoire du Ballet, Parigi 1945.