ballata
Il termine b. è usato da D. sempre in riferimento a una sua b.: Rime LVI 19, LXXX 2, Vn XII 9 (2 volte), 10 1, 11 5, 15 43 (ripreso al § 16, dove il termine ricorre anche nel commento in prosa) e 17, Rime dubbie II 2. In Cv III IX 1, X 1, 3 e 5 ricorre sempre ballatetta in riferimento alla b. Voi che savete (Rime LXXX): il suffisso -etta (nonostante -t- della radice) è per influenza del diminutivo provenzale -et / -eta (si ricorda la ‛ canzonetta ' di Iacopo da Lentini, Meravigliosamente 55, nella probabile assenza di -etto nel siciliano antico).
I poeti fiorentini anteriori a Cavalcanti e a D. sono così fortemente sicilianizzanti e hanno così scarsamente profittato di altre esperienze tecniche toscane, quali quelle di Guittone e di Bonagiunta, da non conoscere la b.: si noti che si tratta anche di poeti che hanno lasciato un notevole numero di rime, quali Chiaro Davanzati e Monte Andrea.
Alle ballate riserva, come è noto, tutta una sezione il codice Palatino della fine del Duecento, proveniente istruttivamente da Lucca, la patria appunto di Bonagiunta, e tanto antico da contenere di D. nulla e di Cavalcanti soltanto la ballata giovanile, probabilmente a D. dedicata, Fresca rosa novella. Ed è proprio Cavalcanti che lancia a Firenze la novità della ballata: un quinto dei suoi componimenti sono ballate, e i cavalcantiani minori, Lapo Gianni e Gianni Alfani, adottarono quasi sistematicamente la ballata. Del resto, non è infrequente imbattersi nel primo Trecento in serie di ballate da ricollegarsi anche, in qualche maniera, a questa fioritura stilnovistica: basti ricordare Guido Novello da Polenta, in cui per altro D., suo ospite, non ha lasciato traccia.
D. è poco attratto dalla ballata, nelle sue varie forme. Appare subito notevole che nessuna delle cinque ballate estravaganti dantesche sia per Beatrice (e nemmeno quella, fra le dubbie, assegnabile a D. con maggior probabilità): la cosa attribuisce loro una speciale posizione marginale.
L'unica ballata per Beatrice, che è anche l'Unica della Vita Nuova (Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore), è la prima poesia di D. scritta sicuramente per Beatrice. Le rime incluse nei capitoli precedenti sono tutti sonetti con evidenti particolarità tecniche che li situano fra le prime scritture di D.: nel primo sonetto, ecco il sostantivo parvente, col significato di " parere ", " opinione ", che è il provenzale parven, largamente usato dalla poesia siciliana e siculo-toscana, ma che non sarà mai più assunto da D.; due sono sonetti doppi, uno schema che D. mai più ripeterà (l'altro sonetto doppio attribuito a D., Se Lippo amico [Rime XLVIII], potrebbe essere addirittura a quelli anteriore, tanta ne è l'immaturità tecnica e linguistica). I quattro sonetti che seguono la b., che segnano cioè l'intervallo fra questa e la canzone Donne ch'avete, con cui D. darà inizio alle rime sulla lode, " s'iscrivono con tutta evidenza nell'ambito di un'esperienza modellata sui toni angosciosi dell'espressione poetica dell'amore di Guido Cavalcanti " (Pernicone).
Ma già la ballata in questione è di chiara derivazione cavalcantiana, per non pochi echi e andamenti: Tu vai, ballata, sì cortesemente, / che sanza compagnia / dovresti avere in tutte parti ardire (vv. 5-7), fa pensare al cavalcantiano " va' tu leggera e piana... / che per sua cortesia " (del resto è stato acutamente osservato sulla ballata appunto Perch'io non spero di tornar giammai " che il ‛ deboletto sonno ' della Vita Nuova, III 7, sembra postulare 37... e non viceversa, trattandosi, nel suffisso applicato all'aggettivo, di stilema tipicamente cavalcantiano ", Contini, Poeti II 541); e lo schema, con le stanze di due piedi Abc e la sirma CDDX, in cui si hanno i due versi a rima baciata endecasillabi, è vicinissimo a quello della cavalcantiana Quando di morte mi convien trar vita, in cui però i due versi a rima baciata della sirma sono settenari: che si abbia, già a quest'altezza, una prima manifestazione della preferenza dantesca per l'endecasillabo?
Ma la b. Per una ghirlandetta (Rime LVI) si presenta con una struttura che mostra che D. ha rivolto la sua attenzione, sia pure in modo del tutto sporadico, anche a forme di ballata diverse da quelle adottate e diffuse dal Cavalcanti. Per una ghirlandetta, con fronte a9b9a9b9 e sirma b7y7x7, presenta la fronte tutta di novenari, senza nessuna rispondenza nelle ballate degli stilnovisti: ci sovviene la massiccia presenza di novenari (o ottonari-novenari) nelle ballate dei Memoriali bolognesi (per non ricordare il laudario cortonese o le laudi-ballate di Guittone): in L'anghossosa partença, trascritta in un memoriale del 1287, si ha la fronte di ottonari (-novenari) e la sirma di settenari (più un endecasillabo). La ballata si situa così nel momento in cui D. operava tentativi poi del tutto abbandonati, quali il sonetto doppio o la stanza isolata (esperienze, per altro, queste due ultime, di chiara derivazione dai siculo-toscani; e non si dimentichi che usano il novenario nella canzone sia Iacopo da Lentini, sia Guittone).
Il rilievo può assumere anche importanza filologica: tenuto anche conto della rima imperfetta nell'arcaica canzone Lo doloroso amore (Rime LXVIII), sarà forse da riabilitare Fioretta mia bella e gentile (LVI 12), in rima con i miei sospire, corretto dal Barbi bella a sentire, soprattutto proprio per ripristinare la rima perfetta (v. anche ASSONANZA).
Mentre la Fioretta della ballata esaminata è stata riconosciuta come la prima donna dello schermo, nella Violetta della ballata Deh, Violetta (schema di due piedi ABC, BAC e sirma CDDX) Si è vista la seconda delle donne-schermo, ma non pare probabile che le due figure possano essere tenute distinte.
Le due ballate I' mi son pargoletta e Perché ti vidi giovinetta (Rime LXXXVII e LXXXVIII) vanno congiunte anche per l'identico schema di due piedi AB e sirma BXX, e perfino per una più sottile particolarità tecnica, cioè il richiamo fra l'ultimo verso della ripresa e il primo della prima stanza (ond'io fui. / I' fui; pres'hai orgoglio e durezza nel core. / Orgogliosa se' fatta). ‛ Pargoletta ' ha suggerito connessioni diverse delle due ballate con la Pargoletta del Purgatorio e perfino con la Pietra, che è detta pargoletta nel congedo di Io son venuto: " invalida anch'essa, giacché la Pargoletta è, qui, pure angioletta (v. 19), e tanto varrebbe allora, alla stessa stregua, riconoscerla in Beatrice, perché questa è nella Vita Nuova (II 8), un'angiola giovanissima " (Contini, Rime).
Si osservi che le quattro ballate estravaganti esaminate sono collegate da un interessante particolare linguistico-stilistico, la concentrazione cioè di suffissi alterativi: Rime LVI 1 e 5 ghirlandetta, 7 angiolel, 12 Fioretta, 18 parolette; LVIII 1 e 5 Violetta; LXXXVIl 1 pargoletta, 19 angioletta; LXXXVIII 1 giovinetta. Orbene, lo studio dei suffissi alterativi dimostra che la lingua di D. è nel suo complesso piuttosto parca di suffissi, ma che la suffissazione è evitata particolarmente quando il tono linguistico generale tende a innalzarsi, e non a caso la più gran parte dei pochi suffissi alterativi delle Rime si concentra in queste ballate (v. in Appendice la trattazione sulle strutture grammaticali del volgare di Dante).
Non troveremo quindi suffissi alterativi nella ballatetta (come da D. stesso chiamata in Cv III X 1) Voi che savete (Rime LXXX, con due piedi AB e sirma BCCX; ma per gli schemi, v. anche RIPRESA), che va letta allegoricamente.
Anche se si voglia attribuire a D. la mediocre Donne, i' non so (Rime dubbie III), a lui assegnata dall'autorevole codice Escurialense e dai suoi discendenti, il patrimonio dantesco di ballate non ne verrà gran che aumentato (non sono invece di D. Io non domando [Rime dubbie XVI], anche per le ragioni portate dal Contini [Rime 255], e In abito di saggia messaggiera [Rime dubbie II], nonostante le complesse ragioni addotte dal Barbi: " è un cibreo di frasi fatte, e l'anonimato le conviene benissimo ", Contini).
Insomma, anche in riferimento alle ballate dantesche si può accertare quanto forviante sarebbe l'allegare il De vulg. Eloq., che è, nella parte che ci è rimasto, tutto teso a giustificare le grandi canzoni del Convivio, o al Convivio destinate, come il massimo possibile dell'altezza linguistica e stilistica: D., dopo aver sostenuto la maggior nobiltà della canzone rispetto alla ballata, sostiene l'eccellenza della seconda sul sonetto, affermazione determinata dallo stesso procedere sillogistico del trattato e non dal vero rapporto fra le ballate e i sonetti da lui composti. Fra il concentrato lirico del sonetto, rapido di toni e di armonie, e la canzone con le sue pressoché infinite possibilità di variazioni melodiche, la ballata doveva avere agli occhi di D., con la sua ripresa, qualcosa di troppo facilmente cantabile (e il Petrarca, che appare anche in questo particolare il continuatore di D. lirico, doveva similmente sentire).
Bibl. - M. Barbi, Una ballata da restituirsi a D., in Studi 3-96; V. Pernicone, Le Rime, in " Cultura e scuola " 13-14 (1965) 677-689; I. Baldelli, D. e i poeti fiorentini del Duecento, Firenze 1968; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, I e II, Oxford 1967.
Musica. - A questa forma poetica, citata sporadicamente nel De vulg. Eloq., nel Convivio e nelle Rime, D. avrebbe voluto dedicare un'apposita trattazione nel IV libro del De vulg. Eloq.; ma poiché l'opera è rimasta interrotta al cap. XIV del II libro, la fonte principale rimane per noi il cap. III del libro II stesso: ché le altre citazioni (VE II VIII; Cv III IX e X) non contengono alcun elemento utile per una chiarificazione del pensiero dantesco in materia.
Il capitolo III è rivolto a proclamare l'eccellenza della canzone sulle altre forme liriche, ivi comprese la b. e il sonetto. Cinque sono le ragioni di tale superiorità: di queste, quella che più importa prendere qui in esame è la seconda: quicquid per se ipsum efficit illud ad quod factum est, nobilius esse videtur quam quod extrinseco indiget: sed cantiones per se totum quod debent efficiunt, quod ballatae non faciunt: indigent enim plausoribus, ad quos editae sunt; ergo cantiones nobiliores ballatis esse sequitur extimandas (VE II III 5). La proposizione è certamente brachilogica, e necessita di qualche chiarimento. Sebbene non si conosca nulla di preciso circa l'origine di tale forma (con ogni probabilità, essa deve essere ricondotta al repertorio mediolatino paraliturgico, e soprattutto al tropo), è certo tuttavia che solo verso la metà del secolo XIII la b. aveva trovato modo di organizzarsi stabilmente secondo una struttura sua propria. Gli esempi pubblicati da Ezio Levi in " Studi Medievali " (1912-13) sono datati 1266; della stessa epoca, o di qualche anno posteriori, sono i componimenti compresi nei laudari, e che, almeno dal punto di vista strutturale, presentano notevoli affinità con le b.; ma, per limitarci alle b. in senso stretto, di argomento decisamente profano, è da notare che quasi mai esse sono accompagnate da melodia propria. Di esse ci è giunto solamente il testo poetico, a differenza di quanto avveniva per la canzone, in cui era consuetudine unire alle parole anche la relativa intonazione musicale. Con ogni probabilità, è proprio questa la differenza tra i due ‛ generi ' che D. intende puntualizzare. La canzone è autosufficiente, nel senso che è compiuta in ogni sua parte; possiede un testo poetico, una melodia che nella maggioranza dei casi è stata concepita e scritta in funzione di quel determinato testo, e persino esecutori propri (nunquam dicimus ‛ Haec est cantio Petri ' eo quod ipsam proferat, sed eo quod fabricaverit illam, in VE II VIII 4); mentre invece la b., per potersi tradurre in forma artistica compiuta, ha bisogno dei plausores ' i quali non si limitavano a danzare, ma addirittura improvvisavano la melodia, prendendola a prestito, o contraffacendola, da altre fonti. Altrimenti non ci spiegheremmo come tutto il repertorio ballatistico, non solamente quello italiano che della musica si è sempre disinteressato, ma anche quello provenzale, non ci abbia fatto pervenire nessun esempio di melodie per ballate, a eccezione del noto A l'entrada del tens clar (Pillet-Carstens, Bibliographie..., p. 461 n. 12) e che, appunto per la sua rarità, è stato pubblicato più e più volte.
Il carattere eminentemente orale, non scritto, della tradizione musicale propria della b. è confermato da una fonte poco più tardiva, il Decameron, in cui si trovano frequenti riferimenti alla pratica musicale estemporanea della ballata. Al termine di ogni giornata, dopo che tutte le novelle sono state narrate, il re o la regina invitano qualcuno della compagnia, mentre si svolgono i balli, a cantare una ‛ canzone ': ma la struttura di tali componimenti è quella della b., non della canzone. Nel congedo della giornata quinta, che ha l'ampiezza e la vivacità di una novelletta supplementare, il modo con cui è condotta la narrazione lascia desumere che le intonazioni musicali di questi componimenti erano largamente diffuse e note a tutti, al punto che bastava citarne l'incipit perché ciascuno intendesse subito a quale testo si facesse allusione; e appunto per simile larga popolarità, oltre che per il loro carattere leggero e scherzoso, queste musiche non furono ritenute degne - salvo qualche eccezione - di essere trascritte nei documenti ufficiali, ossia nei codici che contengono il repertorio musicale del Trecento italiano. Che la b. fosse una forma d'arte minore, di poche pretese, ed eseguita alla buona senza troppe cerimonie, è attestato anche da un carme in distici elegiaci di Giovanni del Virgilio, il noto grammatico e maestro di poesia classica nello studio di Bologna. Nel Diaffonus è descritta, con minuzia e vivacità di particolari, una scena agreste, durante la quale una schiera di giovani intreccia una danza al canto di versi teneri e sospirosi.
Pertanto, questo complesso di testimonianze è più che sufficiente a confermare la scarsa considerazione di D. per questa forma poetico-musicale: la quale, affidata prevalentemente all'estemporaneità dell'esecuzione, priva di una veste melodica originale la cui struttura fosse modellata puntualmente sulla morfologia della strofa, doveva necessariamente apparire di minor impegno della canzone, anche se più nobile del sonetto. La generazione successiva a D. elaborò invece la b. in misura qualitativamente non inferiore a quella dimostrata nelle altre due forme maggiori dell'Ars Nova musicale, il madrigale e la caccia.
Bibl. - N. Pirrotta, B., in Enciclopedia della musica, Milano 1963, I 171 (con bibl.); F. Fano, B., in La Musica, Torino 1966, I 315 (con bibl.).