GUERCIO, Balduino
Nacque forse a Genova, presumibilmente verso il terzo decennio del sec. XII; non conosciamo i nomi dei genitori.
Esponente di spicco di una delle principali famiglie di orientamento guelfo dell'aristocrazia consolare che dominò la prima fase del Comune genovese, il G. può essere identificato, sulla base della più antica attestazione documentaria sicuramente a lui riferita - un rogito del notaio Giovanni Scriba del 1158 -, come un fratello minore del console Enrico, più volte ai vertici del Comune tra il 1137 e il 1160. In una data a noi sconosciuta sposò una Simona di cui ignoriamo il casato.
È stato talvolta confuso dalla storiografia con l'omonimo figlio di quest'ultimo, del quale tuttavia sappiamo con certezza, dall'annalista Ottobono Scriba, che rimase ucciso nel 1164 insieme con altri nobili durante gli scontri tra le fazioni dei "de Castro" e degli Avvocati verificatisi in coincidenza con l'arrivo in Genova del giudice Barisone d'Arborea.
Il G. compare ancora nei rogiti di Giovanni Scriba per gli anni 1159-63, mentre è assai probabile che il suo primo incarico pubblico sia quello connesso alla sfortunata esperienza di ammiraglio di una squadra di galee inviata a intercettare una squadra pisana di ritorno dalla Provenza nel 1166.
In tale occasione rimase vittima degli odi di fazione che dividevano anche gli equipaggi delle varie unità in quanto, durante il combattimento seguito all'intercettazione delle unità pisane, la sua galea e quella comandata dal console dei Placiti Guglielmo Galeta furono catturate dai Pisani poiché gli equipaggi avevano rifiutato di prestarsi mutua assistenza proprio a causa delle divisioni politiche fra i due comandanti.
Liberato grazie agli accordi di tregua intervenuti poco tempo dopo fra Pisa e Genova, il G. appare comunque essere uscito politicamente indenne dalle conseguenze della vicenda, tanto da venire scelto nel 1170 per ricoprire incarichi di grande responsabilità nell'ambito della complessa controversia apertasi fra il Comune genovese e il consortile dei conti di Lavagna per il controllo del castello di Frascario e di altre località dell'area del Tigullio; il G. in questa circostanza assolse al meglio l'incarico, riuscendo a impadronirsi, con un audace colpo di mano, della fortezza di Sestri Levante, di importanza strategica tanto rilevante nel controllo dell'area da indurre i conti a piegarsi alle richieste genovesi e a prestare formale atto di omaggio vassallatico al Comune. Un simile successo dovette riscattare definitivamente il G. agli occhi dei reggitori del Comune, che lo inviarono lo stesso anno, insieme con Nicola Embriaco e Ansaldo Golia, ad accompagnare il console Guglielmo Sardena a Lucca, dove dovevano essere meglio definiti gli accordi di alleanza antipisana dopo il rovescio subito dai Lucchesi e la distruzione dell'importante fortezza costiera della torre di Motrone.
A conferma dell'apprezzamento di cui ormai godevano le sue capacità, nel 1174 il G. venne chiamato, insieme con il marchese Alberto d'Incisa, Simone Doria, Folco de Castello e Ruggero "de Maraboto", a fungere da arbitro della pace fra Genova e i marchesi Obizzo e Moroello Malaspina al termine delle ostilità che per un biennio, su istigazione pisana, avevano sconvolto l'estrema Riviera di Levante; la sentenza arbitrale, in cambio della formale sottomissione dei marchesi e della consegna di una serie di fortificazioni al Poggio di Lerici e in altre località dell'entroterra della Riviera di Levante, destinate alla demolizione, imponeva a Genova il pagamento di un risarcimento ai marchesi di complessive 3700 lire in più rate, nonché la concessione del perdono agli abitanti di quelle Comunità che nel corso delle ostilità si erano schierate dalla parte dei Malaspina.
Ormai inserito solidamente nei circoli di potere del Comune, il G. proseguì negli anni successivi l'ascesa politica, senza per questo trascurare la cura delle attività commerciali che, secondo lo schema comune alla maggior parte dei membri della classe dirigente genovese del tempo, si indirizzavano verso il commercio transmarino.
Tale attività è attestata da un rogito notarile del settembre 1186 relativo a un contratto di accomendacio per la vendita di un carico di tessuti fra Baldizzone di Smerigio, come socius itinerans, e la società costituita da Idone "de Pallo" e il G. per commerciare in Terrasanta, dove i due avevano già un agente nella persona di Ugo di Ismaele (forse di origini ebraiche). Già prima, tuttavia, il G. doveva avere esteso i suoi interessi nell'Impero bizantino. Negli accordi di pace del 1218 fra Genova e Venezia, fedelmente riproposti nei rinnovi della tregua del 1228 e del 1251, si fa esplicito riferimento al risarcimento dovuto ai suoi eredi per i beni posseduti dal G. nei pressi di Costantinopoli "tempore Manuelis imperatoris", nonché ai servigi da lui resi all'imperatore Manuele I, presumibilmente connessi con i contatti stabiliti con la corte imperiale da suo fratello, il console Enrico, durante l'ambasceria da lui condotta a Costantinopoli nel 1160. Nel 1179 fu affidato proprio al G. l'incarico di condurre a Costantinopoli con la propria galera la principessa Agnese di Francia, promessa sposa del figlio di Manuele I, il futuro Alessio II.
A ribadire la saldezza di questo rapporto si possono addurre sia il tenore della lettera dell'imperatore Isacco II al G. nel 1188, nella quale egli viene definito "λίζιοϚ" (homo ligius) dell'imperatore (che lo investe sostanzialmente di un ruolo di intermediario fra Genova e l'Impero), sia i legami di vecchia data del G. e della sua famiglia con l'Impero, che avevano a suo tempo provocato la risentita reazione di Ruggero II di Sicilia e dei principi normanni di Antiochia. Data l'importanza del ruolo del G. della colonia genovese a Costantinopoli, si è anche avanzata l'ipotesi che egli fosse anche stato il vicecomes incaricato di dirigerla e che proprio in questa veste avesse stretto rapporti con la corte.
Chiamato nel 1188 a far parte del collegio dei consoli del Comune, il G. si trovò ad amministrare la città in un momento di grave tensione interna, culminata nell'assassinio di uno dei consoli dei Placiti, Ingo "quondam Cassicii" Della Volta, e complicata dalla morte quasi contemporanea dell'arcivescovo Ugo Della Volta, che privava la scena politica cittadina di uno degli esponenti più prestigiosi e ascoltati da tutte le fazioni.
Si prefigurava quindi uno scenario nel quale la crisi del gruppo familiare dei Della Volta avrebbe potuto riaprire una fase di violenze interne alla città, con un ritorno agli scontri armati tra le fazioni; l'abilità diplomatica dei consoli - congiunta con le pressioni esercitate direttamente da papa Clemente III, che temeva il venire meno dell'appoggio genovese alla crociata in preparazione - riuscì tuttavia a bloccare per il momento la crescita della tensione e a incanalare le energie della classe dirigente nella preparazione della crociata. In quest'ottica si inquadrano anche due importanti accordi diplomatici stipulati in quel periodo: la tregua con Pisa (caldamente sostenuta dal papa) tendente a stabilizzare i rapporti fra le due potenze per la durata della crociata, ma soprattutto il trattato di amicizia con l'emiro di Maiorca, grazie al quale veniva assicurata per un ventennio ai mercanti genovesi la possibilità di navigare verso Maiorca e la costa spagnola senza pagare dazi, nonché l'assegnazione in Maiorca di un fondaco, con un forno, un bagno e una chiesa, concessioni che assicuravano ai Genovesi una posizione preminente in quello che era all'epoca forse il più importante emporio del Mediterraneo occidentale.
Nel 1189 il G. fu tra i molti nobili che presero parte alla spedizione marittima in Terrasanta, partecipando all'assedio di San Giovanni d'Acri. Dell'assenza degli esponenti più prestigiosi dell'aristocrazia guelfa approfittarono i filoimperiali per imporre il primo esperimento di governo podestarile in Genova, provocando un riacutizzarsi delle lotte di fazione.
Il mutamento politico determinò forse un allontanamento del G. dai circoli del potere; col ripristino del regime consolare, nel 1192, egli tornò a incarichi di rilievo, connessi principalmente alla sua esperienza nelle relazioni con il governo bizantino; in quell'anno infatti partecipò alla ratifica del nuovo trattato con l'Impero, ma soprattutto, nel 1193, si recò a Costantinopoli, insieme con Guido Spinola, come ambasciatore per arginare la crisi causata dagli attacchi pirateschi di Guglielmo Grasso (sulla cui nave era imbarcato anche un nipote del G.) contro il naviglio imperiale nelle acque dell'Egeo, missione condotta con successo.
Non altrettanta fortuna ebbe nel 1197 quando, in seguito alle azioni piratesche del genovese Gafforio, una nuova ondata di sequestri colpì la colonia genovese, e in particolare proprio il G., i cui beni fondiari, dei quali già nel 1201 venne chiesta formalmente la restituzione insieme con gli altri beni dei genovesi, non erano ancora stati restituiti nel 1251, nonostante i suoi eredi, i figli Giovanni e Simona (omonima della madre), fin dal 1218 avessero ottenuto l'impegno di Venezia, padrona del nuovo Impero latino d'Oriente, a una loro restituzione.
Numerosi atti notarili ci offrono informazioni sui beni della famiglia in Genova: la casa con portico e il balneum di proprietà del G., presumibilmente situati in prossimità della cattedrale di S. Lorenzo, come fa pensare un accordo del 1191 con i canonici del capitolo metropolitano, nonché su altri beni fondiari siti vicino alla città, per esempio in Multedo, e su diritti di decima, connessi all'origine vicecomitale della famiglia, da lui ancora esercitati nella località di Granarolo. All'attività di patrono del G. si rifanno invece atti che testimoniano le donazioni da lui fatte insieme con il fratello Bisatio, il nipote Bisatino e altri parenti, fra cui Rubaldo di Enrico Guercio, in favore dell'ospedale di S. Maria "de Lanurolo".
Dopo il 1192 non abbiamo più testimonianze dirette dell'attività del G., ma numerosi documenti relativi alla notevole attività esercitata almeno fino al 1225 da sua figlia Simona nell'ambito del commercio internazionale ci confermano la sua sicura esistenza in vita almeno fino al 6 apr. 1206. Fra questa data e il 1218 va quindi collocata la sua morte.
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