BALDOVINO
Di stirpe franca ("genere francus" è detto nel cod. Lat. monacense 4623 della cronaca di Leone Ostiense, cfr. Chronica p. 620, apparato), discepolo di Oddone di Cluny ("discipulum suum" lo chiama Ugo di Farfa, Destructio…, p. 40), fu uno dei suoi principali collaboratori nell'opera di riforma monastica che il grande abate condusse nel territorio romano e a Montecassino col pieno appoggio ed anzi dietro esplicita richiesta dei pontefici e di Alberico signore di Roma; dopo la morte di Oddone (18 nov. 942: il Leccisotti, p. 276, avanza l'ipotesi che si possa spostare al 945), fu colui che ne raccolse l'eredità guidando il buon proseguimento dell'opera specie nell'ambito cassinese. Talo ce lo dimostrano le dignità che Oddone accentrò nelle mani di B., secondo quello che sarà un caratteristico uso cluniacense: ben poco infatti ci è giunto sui particolari della sua attività specie per quanto riguarda l'ambito romano. Proprio a B. Oddone, nominato "archimandrita" dei monasteri romani da Alberico (estate 936) perché vi facesse rinascere una regolare vita religiosa - era questa assai scaduta tra la fine del IX e gli inizi del sec. X (cfr. Hamilton, p. 45 e passim) -, affidò il compito di operare in Roma, preponendolo a due dei quattro monasteri per i quali ci è noto il suo diretto intervento: quel monastero di S. Paolo per la cui riforma principalmente Oddone era stato chiamato, e che era il più importante tra quelli che erano sopravvissuti alle devastazioni saracene, ed il monastero di S. Maria sull'Aventino che lo stesso Alberico aveva fondato nella sua casa natale. Fu infatti il "domnus abba Balduinus" che pregò Oddone, mentre si trovava a S. Paolo, probabilmente durante il viaggio che questi compì a Roma durante il 938, di emendare e di commentare ("ei corrigeret et glosulis emendaret") una vita di s. Martino di Tours, santo cui Oddone era devotissimo, scritta in forma di dialogo da Gallo e Postumiano (Vita s. Odonis..., l. II, C. 22, coll. 72 s.). Fu il "domnus Balduinus abbas" che il giorno dell'Assunzione del 942 (15 agosto) chiese ad Oddone, che si era recato nel monastero di S. Maria sull'Aventino, di celebrare una messa per la comunità.
Per quanto questi siano gli unici accenni puntuali a B. che Giovanni, biografo di Oddone e principale fonte sull'attività romana di B., ha lasciato, tuttavia un'attenta lettura della Vita permette di aggiungere qualche cosa di più. È probabile, come pensa lo Hamilton (p. 48), che B. abbia rinsanguato le comunità di S. Paolo e di S. Maria sull'Aventino con elementi transalpini - la sua stessa nomina prova come difficilmente a Roma si potessero trovare personalità capaci di intendere e proseguire la riforma di Oddone - come Otegario, che probabilmente dirigeva lo "scriptorium" di S. Paolo (a lui si rivolse per aiuto Oddone quando cominciò ad emendare la vita di s. Martino), il proprio fratello Fermo, il quale era al fianco dell'abate di Cluny nel viaggio che questi fece alla corte di Pavia nel gennaio-febbraio 938; certo riuscì ad attirare anche romani, come il cugino di Giovanni, Gisleberto, monaco di S. Paolo, lo stesso Giovanni, tra i primi discepoli romani di Oddone (Vita..., l. II, c. 7, p. 66), che fu priore di S. Paolo (fine 938-inizi 939) sotto il suo abbaziato (Arnaldi, p. 29), e a informare del nuovo spirito rinnovatore uomini come Aligerno che, napoletano di nascita, si monacò sotto la guida di B. secondo la tradizione cassinese a S. Paolo (Leonis... Chronica…, l. II, c. 1, p. 628) e secondo Ugo di Farfa a S. Maria sull'Aventino (Destructio..., p. 40), portando quindi a Montecassino, di cui fu grande abate, i frutti dell'insegnamento romano.
Estesasi l'azione riformatrice di Oddone a sud di Roma, specialmente in direzione di Montecassino, sempre assistita dal patrocinio della Chiesa e di Alberico - e c'è chi ha visto nell'appoggio del principe romano soprattutto un mezzo per intervenire e controllare le cose dell'Italia meridionale (cfr. Kölmel) - ancora una volta B., abate di S. Paolo e di S. Maria sull'Aventino, risulta in primo piano, posto a capo dell'abbazia di Montecassino, esecutore ed interprete fedele del pensiero dell'abate cluniacense. Difficile è determinare il momento in cui a B. fu affidato il compito di risollevare le sorti della comunità cassinese, ormai da lungo tempo soggetta all'influenza dei principi capuani sul cui territorio s'era stabilita (896) dopo la distruzione saracena del monastero di S. Benedetto di Montecassino (883). Secondo la testimonianza di Ugo di Farfa, Oddone, dopo aver ricondotto all'ordine la comunità "Cassinense quoque monasterium sub illius [Oddone] magisterio ad normam regularis ordinis reductum est", Destructio..., p. 40), vi prepose il suo discepolo B. ("Ibi denique praeposuit discipulum suum venerabilem abbatem Balduinum nomine", ibid.).
Poiché la fonte fa pensare chiaramente ad un intervento personale di Oddone per la nomina di B. alla direzione dell'abbazia, molti studiosi ritengono che questa si sia verificata prima della sua morte e precisamente durante il pellegrinaggio che l'abate di Cluny compì al Gargano; intorno al 939 o 940, quindi, se si accetta come anno di morte di Oddone il 18 nov. 942, o nel 942 se si fissa la morte al 18 nov. 945 (Leccisotti, p. 276). Quest'ultima ipotesi avrebbe il vantaggio di accordare la testimonianza di Ugo di Farfa con il fatto che il predecessore di B. nell'abbaziato cassinese, Adelperto, morì il 27 dic. 942 (Leccisotti, p. 275) e che le prime testimonianze documentarie di B. abate sono del gennaio 943. Se si preferisce invece la prima ipotesi, si deve pensare allora che B. abbia retto contemporaneamente ad Adelperto e poi, dopo la morte di quest'ultimo, da solo, la comunità. Se infine, come pensa il Leccisotti (p. 275), è da ritenersi poco probabile che ci siano stati due abati contemporanei, e d'altra parte non si vuol rinunciare alla data tradizionale della morte di Oddone, bisognerà intendere le parole di Ugo di Farfa non alla lettera, ma come espressione d'una designazione, realizzatasi post mortem di chi l'aveva fatta.È certo comunque che B. operò a Montecassino nel solco tracciato da Oddone, e vigorosa fu la sua azione, più densa di sviluppi di quella romana, per recuperare alla comunità la sua autonomia, indispensabile per la rinascita della sua vita spirituale, e i beni perduti. Ciò risulta da numerosi diplomi richiesti ed ottenuti sia da quanti avevano a cuore, per motivi di carattere religioso o solo politico, come il papa e con lui certo Alberico e il re d'Italia, che l'abbazia si sottraesse alla pesante e non disinteressata tutela che di fatto esercitavano su di essa i principi di Capua, sia da quanti, come gli stessi principi di Capua, in quel momento almeno, e Bisanzio, speravano di indebolire i propri fedeli, arricchitisi alle spalle del monastero, aiutando Montecassino a ricostituire il suo patrimonio.
Nel genn. 943 Atenolfo III, dietro richiesta di B., concesse otto liberti alla cella di S. Benedetto "in loco Candi" (Poupardin, n. IX, p. 146; cf. Gallo, p. 21); il 30 genn. dello stesso anno i principi di Capua Landolfo I, Atenolfo III e Landolfo II concessero da Benevento, "per rogum" di B., al monastero di Montecassino un privilegio di conferma di tutti i beni già concessi dai loro predecessori, relativi alla contea di Comino, e inoltre le donne libere sposatesi a servi dei monastero (Gattula, Adhistoriam..., I, pp. 52 s.; cfr. Gallo, pp. 7, 42); nello stesso giorno gli stessi principi confermarono al monastero anche il possesso di S. Sofia di Benevento (Gattula, Historia..., I, pp. 52 s.; cfr. Gallo, p. 23); il 15 maggio 943, inoltre, il re Ugo e Lotario, da Pavia, ove forse B. si era recato ("Omnium sancte Dei ecclesie fidelium nostrorumque... devotio noverit... Balduinum abbatem coenobii... Benedicti in monte Casini constructum... nostram adiisse celsitudinem..."), rogarono due diplomi di conferma: il primo (Schiaparelli, n. LXVI, pp. 196-200), con il quale prendevano sotto il mundeburdio regio il monastero di S. Benedetto, i suoi beni, l'abate ed i monaci, è di carattere generale, relativo alla "terra di S : Benedetto" e a tutte le celle e possedimenti fuori di essa; da notare tuttavia che in esso sono specificati solo i confini del territorio verso il ducato di Gaeta, probabilmente per il sorgere di contestazioni in quella direzione (dalla Forma della Quesa al Garigliano, in particolare il territorio della Flumetica che costituiva la parte più fertile e più ricca della Terra di S. Benedetto, cfr. Fabiani, p. 45); il secondo (Schiaparelli, n. LXVII, pp. 200-202) è di carattere particolare e riguarda le dipendenze e i possessi lontani del monastero; nello stesso periodo, "per eos dies", secondo quanto dice Leone Ostiense (Chronica, l. I, c. 59, p. 622; cfr. Mancone, n. 112, p. 107), B. chiese ed ottenne dal protospatario Basilio, che forse allora era a Salerno, una "carta restitutionis atque confirmationis de omnibus pertinentiis monasterii... per totam Apuliam, quas eo tempore perditas habebamus"; il 21 genn. 944 infine il papa Marino II rilasciò a B. su sua richiesta "quia postulastis a nobis", Gattula, Historia..., I, pp. 94 s.) la conferma di quanto fin,allora era stato concesso al monastero dai suoi predecessori, aggiungendo, tra le dipendenze, il monastero di S. Maria in Canneto conteso probabilmente (Brienza, p. 46) dal monastero di S. Vincenzo al Volturno, anch'esso allora trasferito a Capua. Assume un particolare rilievo, e va perciò sottolineata, la specificazione delle esenzioni confermate da Marino II al monastero nel campo della giurisdizione ecclesiastica, evidentemente in quel momento ben poco rispettate da parte sia laica sia ecclesiastica, eppure preliminari ai fini della rinascita d'una vita religiosa nuova: la libera elezione dell'abate da parte della congregazione; la libera scelta del vescovo ad saca ministranda;la sottrazione dei monastero e delle sue dipendenze alla giurisdizione vescovile; la libertà di scegliere da qualunque diocesi membri del clero e di accoglierli nel monastero; la proibizione ai vescovi di impedire il libero accesso del popolo "ad audiendum verbum Dei" nel monastero e nelle sue dipendenze; dipendenza diretta dalla Santa Sede. La lettera che lo stesso Marino II scrisse al vescovo di Capua Sicone (tra il novembre 942 e il 29 apr. 944, Inguanez, pp. 39), che rimprovera di aver sottratto al monastero cassinese la chiesa di S. Angelo in Formis (sotto il monte Tifata, presso Capua), è una conferma delle prevaricazioni di cui il monastero era oggetto anche da parte di chi avrebbe senunai dovuto tutelarlo e del basso livello cui era giunta la Chiesa capuana ("... laicali mente et habitu in principali aula nutritus ad famulandum... praestitisti, saecularia magis quam iura episcopalia meditaris magisque conventiculum laicorum quam clericorum cetus desideras... insuper ignorans studia litterarum...", questo è il ritratto poco edificante che il papa fa di Sicone).
L'opera di B. si rivolse anche alla riforma interna della comunità, appoggiandosi ad elementi che erano già cresciuti alla sua scuola e che portò con sé a Montecassino, come il già citato Aligerno (Leonis... Chronica, l. II, c. I, p. 628): a questo periodo sembra infatti che si debba attribuire l'introduzione nella comunità cassinese degli statuti del sinodo di Aquisgrana (807), "uno degli effetti, forse il più duraturo, della restaurazione di Oddone" (Leccisotti, p. 275, n. 12).
Si può pensare che l'azione intrapresa da B. abbia avuto felice successo e come suo primo risultato addirittura l'inizio del ritorno della comunità all'antica sede, ritorno che doveva definitivamente compiersi sotto la guida di Aligerno. Così almeno farebbero supporre due lettere che Agapito II (maggio 946-dicembre 955) avrebbe scritto su sollecitazione di B. ai principi di Capua, una a Landolfo II, l'altra ad Atenolfo III, precisa testimonianza da una parte degli ostacoli che i principi di Capua cercavano di opporre all'opera di B. quando questa si rivolgeva direttamente contro di loro, dall'altra della decisione del papa di appoggiare B. nel suo disegno di abbandonare la sede capuana. Ad Atenolfo infatti Agapito avrebbe ordinato la restituzione di S. Sofia di Benevento, da lui usurpata al monastero di S. Benedetto; a Landolfò di lasciare tornare sul monte i monaci; e se si deve prestare fede alle parole di Leone, appunto sotto B. "ex parte" i monaci abbandonarono Capua "praecepto Agapiti papae" (Chronica, l. II, c. 1, p. 628). Le lettere di Agapito sono tuttavia considerate una manipolazione di Pietro Diacono: sono rimaste infatti solo nel suo registro e tra l'altro mancano di note cronologiche; si può però concordare con il Leccisotti (p. 278) nel ritenere che effettivamente Agapito si sia mosso per indurre i Capuani a lasciare liberi i Cassinesi. All'abbaziato di B. sembra inoltre che si possano far risalire i primi contatti tra l'abbazia cassinese ed il monastero di S. Benedetto di Salerno, se fu in questo monastero salernitano che Giovanni, il biografo di Oddone, e priore di S. Paolo in Roma, si trasferì intorno al 942-943 (Arnaldi, pp. 36 s.). Non si hanno più precise testimonianze di B. fino al 16 ott. 955, e questa è l'ultima che lo riguarda: in tale data Agapito II concesse al monastero di S. Benedetto "Casini Montis", su preghiera del suo abate B., il monastero di S. Stefano di Terracina, fino a quel momento "iuris sancte Romane... Ecclesie", "ad restaurandum. et ad pristinum gradum revocandum" "quia per longam vetustatem in ruinis et desertis positus est" (Tosti, I, doc. B., pp. 219 s.). A Montecassino tra il 21 genn. 944 (privilegio di Marino II a B.) e il 16 ott. 955 sono testimoniati due abati, Maielpoto, già preposito dei monastero, il cui primo dato è del 30 ag. 944 (privilegio a suo favore di Landolfo II di Capua), morto il 24 ott. 949, e Aligerno eletto "in capitulo monasterii Capuani" "de praeposito" "abbas" il 25 ott. 949 (Leonis... Chronica,l. I, c. 60, pp. 622 s.). Generalmente si pensa, basandosi su di una notizia di Leone Ostiense, che B. sia stato richiamato in questo periodo a Roma da papa Marino II, conservando tuttavia la direzione del monastero cassinese; in questo Maielpoto ed Aligerno avrebbero figurato quindi come coabati, almeno fino al 16 ott. 955, ipotesi questa che può essere confermata dalla testimonianza di Ugo di Farfa: "... cui [Baldovino] successit in regimine - del monastero cassinese - suus condiscipulus atque coabbas Aligemus" (Destructio...,p. 40). Cosa abbia fatto B. a Roma, ammesso che sia da accogliere quanto Leone dice nel corso d'un racconto pieno di incongruenze cronologiche, non sappiamo. Se, come dice Leone, fu da Marino preposto all'abbazia di S. Paolo ("Cum... a supradicto papa Romae evocatus fuisset, eique quoniam magnae erat prudentiae abbatiam sancti Pauli idem pontifex commisisset...", Chronica, l. I, c. 58, pp. 620 s.), cosa assai strana poiché non risulta che B. sia stato sostituito nell'abbaziato romano durante la sua permanenza a Montecassino, non dovette agire con molta efficacia. Qualche anno dopo il suo ritorno a S. Paolo infatti - generalmente posto al 946: esso, se avvenne, si verificò dopo il 21 genn. 944 e prima della morte di Marino (aprile 946); ma Maielpoto il 30 ag. 944 risulta già alla direzione del monastero cassinese - il papa Agapito II (950 circa) chiese aiuto all'abate di Gorze, Einoldo, perché gli inviasse "aliquos... religiosos quos in monasterio beati Pauli, quod tunc: ad monasticum ordinem transferre moliebatur cum auxilio regis Albrici collocaret" (Iohannis abbatis Gorziensis Vita, c. 53, p. 352). A meno che non si vogliano considerare prova efficace dell'opera di B. a Roma le due lettere citate e sospette di Agapito II. Non è provato poi che la permanenza di B. a Roma sia stata di breve durata e che egli sia tornato subito nel monastero cassinese, come generalmente si pensa (cfr. Hamilton, p. 48); i numerosi privilegi concessi dai principi capuani tra il gennaio 944 ed il novembre 952, rispettivamente a Maielpoto e a Aligerno, farebbero semmai pensare il contrario.
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